La mia era una famiglia musicale. La musica si ascoltava a volume piuttosto alto quasi tutto il giorno e mio padre Alberto suonava a orecchio la fisarmonica, facendo smorfie strane, che mi impensierivano quando ero bambina. Nessun altro papà faceva così. La mamma diceva che Alberto “sentiva la musica” e io me ne convinsi quando vidi Xavie Cugat in una trasmissione televisiva insieme ad Abbe Lane. Le smorfie erano le stesse e si trattava di una persona famosa. Potevo stare tranquilla.
Anche mamma Marisa cantava spesso, quando lavava i piatti o si occupava delle faccende domestiche. Ho ancora davanti agli occhi l’immagine di papà e mamma di spalle, vicini, mentre davanti allo specchio del mobile della sala da pranzo, cantavano “la loro canzone”, Anema e core, incidendola sul registratore “a bobine” Geloso.
Al mio quattordicesimo compleanno mi fu regalata una chitarra e fui iscritta alla Scuola Musicale Gaffurio di Lodi per imparare solfeggio e chitarra classica. E lì cominciarono i miei guai. Anche mio padre voleva suonare la chitarra e contestava il fatto che io nelle mie esercitazioni strappassi le corde e “scassassi” lo strumento, che a poco a poco appresi essere in condivisione con lui. Ogni volta che, staccandomi dalle versioni di greco o di latino per respirare un po’, provavo a prendere la chitarra per suonarla, la strimpellava lui. Dopo una serie di discussioni, in cui rivendicavo il mio diritto di suonare quando e come volevo, le prime di una lunga serie con mio padre e dopo il mio primo e ultimo saggio a giugno, decisi che lasciavo a lui la chitarra che avevo chiesto in dono. Lui avrebbe continuato a suonarla a orecchio e come accompagnamento fino a poco prima di morire. Conservo ancora delle audiocassette con la sua voce da “cantante confidenziale”, come amava dire mia madre, che aveva il dono di vedere e descrivere il mondo «in rosa».
Allora ci rimasi male. Mi sembrò una discriminazione ”di genere” come si direbbe oggi, una prevaricazione maschile, una delle tante che avrei incontrato nella mia vita. Alla luce della mia esperienza di oggi, invece, credo sia vero quello che mi ha suggerito una amica carissima: il feeling che aveva con la fisarmonica lo aveva con qualsiasi altro strumento che lo portasse nel mondo delle note.
***
Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
