Genere, lavoro, diritti

Il sesto incontro di La violenza di genere: teorie e pratiche fra passato e presente, il nuovo corso della Società Italiana delle Storiche, si intitola Genere, lavoro, diritti ed è presentato da Aurora Vimercati. Il corso, gratuito, è collocato all’interno del progetto La storia (di genere) al servizio del tempo presente, finanziato dai fondi Otto per mille 2023 della Chiesa Valdese.

La questione della parità di genere dal punto di vista del diritto costituisce l’intersezione tra gli interessi legati al genere, ai diritti e al lavoro. Essa si dipana lungo il corso di tutto il Novecento, il secolo del lavoro, un periodo di emancipazione e di conquista dei diritti lavorativi. Oggi il rapporto tra quest’ultimi e il lavoro presenta delle inedite sfaccettature e pone delle nuove sfide quando è sotto la luce della dimensione di genere; un’analisi in chiave storica offre importanti spunti per mettere in discussione una narrativa che ignora la presenza delle donne. Il tema della dignità del lavoro trova in relazione all’affermazione dei diritti femminili l’occasione di rilevare i problemi che ancora oggi affliggono la nostra società e che dobbiamo comprendere e affrontare.

La legislazione sociale nei primi del Novecento è segnata da numerosi interventi della politica volti a regolamentare il lavoro, soprattutto quello nelle fabbriche. In Italia la legge più significativa in tal senso è la Carcano del 19 giugno 1902, che univa a una disciplina di carattere igienico-sanitario la tutela delle donne e di fanciulli e fanciulle. Lo scopo era tutelare la capacità riproduttiva delle donne, che non doveva in alcun modo essere “contaminata” da eccessivi sforzi o contatti con sostanze chimiche nocive. La legge Carcano pose le basi per una tutela della donna nel suo ruolo di madre, strumento usato per disincentivare il lavoro extra-domestico e destinato a persistere nel tempo: il capitalismo trovò infatti nel patriarcato e nella sua visione della donna una condizione di sviluppo, che ancora oggi si manifesta anche se in forme diverse. Inoltre, il lavoro delle donne e dei fanciulli e fanciulle veniva accomunato in una legge protettiva di tipo sanitario che mirava a controllare la persona con divieti e restrizioni; la protezione della donna era limitata al suo ruolo di madre e solo per questo nacquero i primi congedi di maternità. Ciò esprimeva non un qualche riconoscimento ma un giudizio sulla preminenza del ruolo familiare del genere femminile, per giustificare la sua espulsione dalla produzione o marginalizzarlo. Il lavoro domestico era completamente escluso dall’attività del legislatore.

Questa politica è rimasta a lungo: il fascismo l’ha riaffermata con forza, continuando l’opera di esclusione delle donne dalla vita politica e sociale, riducendole a un ruolo subalterno valorizzabile solo attraverso la procreazione e vigilando sull’integrità della famiglia. Questo perbenismo non fece altro che esacerbare una concezione che non abbiamo del tutto estirpato.
Dopo la Seconda guerra mondiale le donne conquistarono con una dura lotta il riconoscimento dei loro diritti: la partecipazione alla stesura della Costituzione, l’estensione del voto, la possibilità di essere elette, sono tutte manifestazioni di questo nuovo sviluppo. L’articolo 3 della Costituzione riconosce il principio dell’eguaglianza formale e l’impegno dello Stato a rimuovere tutti i limiti alla libertà e a quell’eguaglianza che riguarda tutti e tutte senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali. I padri e le madri costituenti erano consapevoli che il progetto di sviluppo di una società profondamente arretrata, da ricostruire, avrebbe richiesto del tempo: la convinzione era che attraverso il lavoro i cittadini e le cittadine, in quanto lavoratori e lavoratrici, si sarebbero realizzati e avrebbero partecipato alla vita politica.
Rimangono tuttavia delle ambiguità. L’articolo 37 della Costituzione dice chiaramente che la lavoratrice ha gli stessi diritti e deve avere le stesse retribuzioni di un lavoratore, almeno nella teoria. Maria Federici, una delle costituenti, già all’epoca notava quanto fosse assurdo che fosse necessario ribadire la parità salariale, tema che ancora oggi scatena accesi dibattiti. C’è chi però considera questo articolo quello che di fatto sancisce la disparità di trattamento, in quanto nella seconda parte si afferma che il diritto al lavoro e alla parità non deve interferire col ruolo di madre e moglie. Il principio della necessità di eguale trattamento va così a cozzare con la disparità di trattamento effettiva, una ambiguità che tutt’oggi non è risolta in quanto l’articolo 37 viene usato come fonte di diritto. La parità di trattamento non può negare le precise condizioni che ostacolano le donne nel loro diritto al lavoro e che necessitano di specifiche politiche.

Entrata in vigore, la Costituzione iniziò ovviamente a essere applicata, e si imposero due strade interpretative: il principio dell’uguaglianza e quello della differenza. Nel primo caso si interviene a dare delle garanzie contro i licenziamenti ingiustificati, come quello per causa di matrimonio (L. 7/36) o per maternità (L. 1204/71); con la L. 604/66 si vieta il licenziamento per motivi sindacali, politici o religiosi, mentre la L. 903/1977 aggiunge quelli razziali, di lingua e di sesso. Successive integrazioni portarono al divieto del licenziamento per disabilità, età e nazionalità (L. 238/2021), ovvero per l’orientamento sessuale e le convinzioni personali (L. 216/2003).

Nel 1975 avvenne la riforma del diritto di famiglia che modificò molti articoli del Codice civile e che è considerato un passo decisivo nell’avanzata per i diritti femminili nel Paese in quanto si impegnava a garantire una maggiore eguaglianza tra i coniugi, rendendo la moglie meno dipendente dal marito. La L. 903/77 mirava a limitare gli atti discriminatori del datore o della datrice di lavoro, mettendo in evidenza come la volontà legislativa di cambiamento andasse a cozzare con una mentalità che quel cambiamento non lo accettava. La L. 125/91, emanata grazie all’influenza dei movimenti femministi, delle accademie e dei sindacati, si pose l’obiettivo dell’uguaglianza sostanziale e introdusse uno strumento, le azioni positive, che avrebbe dovuto intervenire nella dimensione reale delle relazioni di lavoro e dei rapporti di forza. Si assunse così consapevolezza della necessità di entrare nel merito dei rapporti materiali per poterli modificare.
Nello stesso periodo, però, il tema della parità di genere inizia a perdere centralità: il processo di integrazione europea inizia a svolgere un’azione importantissima di interventi legislativi che influenzeranno l’Italia. Tra gli interventi dell’Unione europea più significativi è quello del Gender mainstreaming: la realizzazione di politiche capaci di contrastare le disuguaglianze tra donne e uomini nella società a partire da un’analisi dei meccanismi che ne sono alla base, un processo che va dall’elaborazione all’attuazione, includendo la stesura delle norme, le decisioni di spesa, la valutazione e il monitoraggio, fasi che consentono al processo di correggersi almeno in teoria e perseguire i propri obiettivi di contrasto alle disuguaglianze.

La diffusione di tematiche femministe e soprattutto femminili sta mettendo in discussione molte convinzioni ideologiche della nostra società e causa un rigurgito conservatore che si appella alle ambiguità, come quella dell’articolo 37 della Costituzione, per insistere nel porre al primo posto l’adempimento delle funzioni familiari da parte della donna rispetto al suo lavoro. Non c’è oggi il desiderio di intervenire sui processi famigliari che possano mettere in discussione il rapporto di genere nella produzione e nella riproduzione.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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