Le giornate sfumano dall’autunno all’inverno, delicate come il vento freddo nelle vallate di montagna.
Proprio quando le due stagioni collimano, le genti della Valle Soana e della Valle di Cogne perpetuano l’antica tradizione della processione invernale al Santuario di San Besso, delizioso avamposto sito poco sopra i 2000 metri di quota nel Vallone di Campiglia, in uno degli angoli più suggestivi e selvaggi del versante piemontese del Parco Nazionale Gran Paradiso.
È un rito arcaico, che nasce millenni fa come culto pagano praticato dagli originari abitanti di queste valli, ovvero i Salassi: la popolazione di origine Celto-Ligure, che dominava anche le vallate valdostane, venerava la rupe solitaria del Monte Fautenio, proprio sotto i ripidi pendii della Rosa dei Banchi, con rituali propiziatori per il benessere degli armenti e per affrontare la stagione più buia e fredda. La stessa etimologia ci offre suggerimenti e spunti, in quanto “Bès” era la divinità dei pascoli che vegliava sulle attività pastorali.
Mutuata nella cristianità la leggenda narra di Besso, soldato della Legione Tebea, il quale si convertì al cristianesimo e fuggì dalle persecuzioni dell’Imperatore Massimiliano (240-310 d.C.) fino alla Valle Soana, dove si mise a fare il pastore predicando i dettami del vangelo ai locali. Un giorno però alcuni legionari romani fedeli all’imperatore lo scovarono, e lo gettarono dalla rupe del Monte Fautenio. Sempre la leggenda narra che, tempo dopo, alcuni pastori di Cogne che si recavano agli alpeggi di Campiglia videro nella neve un fiore di straordinaria bellezza e, scavando, trovarono il corpo di San Besso e gli diedero sepoltura. Essi avevano sentito parlare della sua storia e notarono, nel punto dove il suo corpo impattò al suolo, la sagoma del martire impressa nella roccia. E proprio lì vi edificarono prima una cappella votiva, poi il santuario a lui dedicato.
La fratellanza tra i cogneins e le genti di Campiglia Soana non è solo frutto di un mito: Cogne è nata proprio da un manipolo di pastori che, secoli fa, risalirono l’alto valico del Colle dell’Arietta alla ricerca di nuovi pascoli nel vallone dell’Urtier, i quali fondarono nella località del Cret (2019mt) l’antico nucleo abitativo che poi generò Cogne, spostandosi più a valle a riparo dalle valanghe. La stessa Valle di Cogne ha mantenuto nei secoli molti più rapporti con la vallata piemontese che non con il resto della Valle d’Aosta, da cui era separata per via della morfologia determinata dalle glaciazioni pleistoceniche, le quali ne avevano fatto una valle sospesa.
Mi faccio carico di queste arcaiche storie e, come da diversi anni a questa parte, mi reco a festeggiare con le persone amiche delle due vallate, quasi a suggellare il mio amore per questa zona dove la montagna sfuma i confini tra le parlate, le province, le regioni.
La stagione fredda mi avvolge, e crea quel senso di intimità tanto ricercato: meno luce rischiara i sentieri, la prima neve ammanta i pendii, e meno “fragore” si ha tra avventori, turiste e turisti, le/i fedeli che accorrono a celebrare questa festa invernale. Non siamo in giorni di ferie, e spesso la data coincide con giornate lavorative, comportando una minor affluenza.
Mi è capitato spesso di salire lassù a fare festa, condividere questa esperienza davvero emozionante con le amiche e gli amici valsoanìn e cogneins che ormai mi hanno accolto come uno “di loro”: la gioia, i balli, i momenti di rito e quelli improvvisati, la vita negli stessi spazi per quel pugno di giorni che, in cuor mio, danno davvero inizio e senso alle festività dicembrine, ataviche reminiscenze nel nostro Dna a richiamare quei culti profondamente legati alla natura, ai giorni freddi invernali dove ci si raccoglie nel proprio intimo, e si è più in comunione con essi e l’andirivieni del tempo.

Le celebrazioni stesse si intrecciano con le ore che passano lievi, tra tanti abbracci di saluto e brindisi sinceri, note di uno spartito fatto di canzoni popolari e un culto verace radicato nel cuore delle persone, aggrappato agli arditi pendii.
Ma voglio riportare alla mente anche le emozioni prima del giorno vero e proprio di festa, quando al rifugio/santuario siamo ancora poche anime, e si lavora insieme a sistemare il tutto per la ricorrenza. Il vallone della Balma, la Rosa dei Banchi che incombe silenziosa, le serate senza musica dove ci si può concedere attimi tutti “per sé”, camminando di notte nella neve, la buonanotte prima di controllare la brace del caminetto…
Credo che Besso sia felice nel vedere tutto ciò: non ci sono velleità turistiche, e non si cade nel tranello del “venerare la cenere” di un felice mondo alpestre che non esiste più. La realtà è che proprio qui si riesce a percepire quel fuoco sempre vivo che alimenta il futuro delle vallate, un fuoco umile che però viene costantemente rafforzato dalle persone che amano con sincerità queste terre.
Lo spirito di unione tra le genti, di questa montagna che unisce popoli apparentemente diversi, una montagna non “barriera” o “muraglia”, ma ponte che si traduce nelle ore di festeggiamenti dove tanti individui si ritrovano in questo cuore selvaggio del più antico parco italiano, trovano forse significato anche nel rinnovare il legame fra me, uomo, e la natura apparentemente dormiente dell’inverno.
E poco importa se San Besso è stato davvero il martire della legione Tebea, celebrato dalla mitologia, oppure la divinità pagana “Bès”, protettrice degli armenti per i popoli Salassi; la collettività ha dato volto a una ragione d’essere, che può diventare epiteto di tanti fattori coincidenti in cui la montagna, la natura e l’umanità ci mostrano la vera convivenza.
In copertina: la prima alba di dicembre.
Fotoreportage di Francesco Sisti.
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Articolo di Francesco Sisti

Co-fondatore dell’agenzia fotografica Clickalps, con cui ha pubblicato su riviste e libri di caratura nazionale e internazionale, è fotografo e blogger per l’agenzia valdostana Aosta Panoramica, e collaboratore per il Parco Nazionale Gran Paradiso. Cerca sempre di coniugare una frequentazione assidua della montagna con un approccio rispettoso della natura, frequentando le Alpi in tutte le stagioni.
