A Bologna e lungo la via Emilia sulle tracce di scrittrici dimenticate

Chi sfoglia con interesse La Lettura, l’allegato domenicale del Corriere della Sera, avrà sicuramente letto del bel progetto in divenire nato l’11 giugno 2023 per censire le targhe apposte sulle abitazioni dove scrittrici e scrittori nacquero, vissero, lavorarono o morirono. Un censimento che in qualche modo assomiglia assai ai nostri, sulle tracce di personaggi spesso dimenticati o noti solo localmente, che segnala le presenze, ma pure le assenze di cui amministrazioni comunali e associazioni culturali dovrebbero occuparsi. Sono già stati pubblicati gli itinerari di Milano, Roma, Venezia, Torino, Napoli, Firenze, Genova e la Liguria, corredati da chiare mappe di Antonio Monteverdi, come quella che compare sul numero del 22 dicembre scorso, sulla quale ci soffermeremo.

Cristina Campo

Come sempre le targhe maschili sono una stragrande maggioranza e cittadine e paesi che costeggiano la via Emilia o la stessa Bologna hanno visto nel tempo celebri visitatori o residenti, anche se un dato comune è il prevalere di poeti e scrittori appartenenti al passato, se non a un passato remoto. Il breve articolo di Helmut Failoni nota subito che Dalla e Pasolini sono ricordati nel capoluogo regionale, è vero, ma poi il Novecento è per lo più dimenticato. In compenso non mancano Guinizzelli, Leopardi, Carducci, Pascoli, Jacopo della Lana, il primo commentatore della Commedia. Sarebbe bello creare un percorso, suggerisce, dedicato agli intellettuali che ebbero stretti legami con il Dams, nato in città nel 1971, vera fucina di arte, letteratura e spettacolo in senso lato. E le donne, ci chiediamo? In questa mappa a Bologna risaltano le assenze, prima fra tutte quella di Cristina Campo (Vittoria Guerrini, 1923-1977), nota traduttrice e scrittrice che nella primissima infanzia visse nel villino Putti, all’interno del Parco dell’Istituto Rizzoli. Di lei si è occupata più volte la nostra rivista a cui rimandiamo (n. 19, 154, 296). Altri nomi vengono proposti, e stavolta dobbiamo riconoscere la nostra ignoranza: Antonietta Ferroni (via San Vitale 58), Teresa Carniani Malvezzi (via Zamboni 30), Patrizia Vicinelli (via Siepelunga 28). Chi erano costoro? cosa hanno scritto?

Antonietta Ferroni, nata a Parma nel 1780, seconda di cinque figli, si trovò presto ad aiutare la madre nell’allevare i più piccoli a causa della morte precoce del padre. Nel 1798 sposò il medico Giacomo Tommasini e insieme si trasferirono a Bologna, dove ricevevano nel loro salotto intellettuali e letterati, da Leopardi a Giordani alla scrittrice Caterina Franceschi. Intelligente, colta, vicina alla causa risorgimentale, di idee aperte, pubblica nel 1829 i Pensieri di argomento morale e letterario, una raccolta di aforismi in cui tratta pure temi relativi al ruolo femminile nella società e alle condizioni disumane degli operai. Nello stesso anno la coppia ritorna a Parma dove il marito ha un incarico presso la corte ducale. Nel 1835 escono le sue Considerazioni intorno all’educazione domestica, ispirate al pensiero di Locke. Muore il 29 gennaio 1839 e l’epigrafe funebre viene scritta da Pietro Giordani. Nel 1891 le fu intitolata la Scuola Normale superiore femminile di Parma.

Bologna, via Zamboni 30

Teresa Carniani era nata a Firenze nel 1785 da una famiglia benestante e ricevette una educazione tradizionale, ma ampia, che spaziava dalla geometria alle lingue, dalla musica al disegno. Giovanissima sposò il conte Francesco Malvezzi de’ Medici con cui si trasferì a Bologna dove riprese gli studi e istruì personalmente il quarto figlio, Giovanni, l’unico che le era rimasto in vita. Fu così che si avvicinò al greco antico, al latino, alla filosofia, al francese e all’inglese. Iniziò a cimentarsi nelle traduzioni e frequentò fra gli altri letterati Giacomo Leopardi che forse ebbe per lei un sentimento amoroso. Scrisse il poemetto La cacciata del tiranno Gualtieri ed entrò in Arcadia con il nome di Ipsinoe Cidonia; fu pure ammessa, per i suoi meriti, all’Accademia dei Filergiti di Forlì. Morì a Bologna nel 1859; nel cimitero della Certosa un’epigrafe la ricorda insieme al marito.

Patrizia Vicinelli, nata nel 1943, è stata una poeta inserita nella neoavanguardia del Gruppo 63 e ha pubblicato inizialmente su riviste; attiva anche nel teatro sperimentale, con il trasferimento a Roma, fra 1963 e 1965, si occupò di cinema e partecipò a due film di Alberto Grifi. La sua prima raccolta, à, a, A, opera di poesia sonora e grafica, uscì nel 1966 e poco dopo ne nacque un disco.

Patrizia Vicinelli, à, a, A

Nel 1968 fu fra coloro che si schierarono in difesa di Aldo Braibanti e l’anno successivo si trasferì a Tangeri, immergendosi nelle atmosfere mistiche e proseguendo con la poesia grafica. Nel 1979 sul periodico Tau/Ma fu pubblicato il suo lavoro di ricerca: Apotheosys of schizoid woman, che si legge da destra a sinistra, con inserimenti in varie lingue e collage di testi diversi. Rientrata a Roma, fu in carcere dove elaborò un testo teatrale, rivisitazione in chiave femminista della fiaba di Cenerentola. Nel 1985 pubblicò un altro libro, il poemetto Non sempre ricordano, da cui trasse una videoperformance. Continuò a lavorare come giornalista, a intervistare personaggi famosi, a fare l’attrice, a occuparsi di teatro. La sua ultima opera fu il poema I fondamenti dell’essere, in cui emerge la sua ricerca spirituale. Morì a Bologna nel 1991 per le conseguenze dell’Aids, testimone di una generazione piena di aspettative e di progetti, intellettuale scomparsa troppo presto e rimasta nell’ombra.

A Modena non si hanno tracce di targhe femminili né maschili; se ne segnalano invece due a Reggio Emilia per le residenze di Silvio D’Arzo (1920-52), celebre per il bellissimo racconto lungo Casa d’altri, pubblicato postumo. In provincia di Parma manca la targa per Lea Quaretti (1912-81), a Rigoso, in piazza Fiera Grossa, dove era nata; dopo un infelice matrimonio e momenti di autentico dolore, la scrittrice si trasferì a Venezia per riprendere in mano la sua vita. Iniziò a collaborare a riviste e quotidiani, entrando in contatto con vari intellettuali, fra cui l’editore Neri Pozza, suo marito con rito religioso 18 anni dopo il primo incontro. Solo alla vigilia della morte, nel 1980, l’unione sarà regolarizzata civilmente.

Lea Quaretti, Il giorno con la buona stella

La sua carriera è stata assai travagliata, perché, nonostante le qualità indubbie della sua prosa e giudizi critici positivi, il racconto Il faggio, i romanzi La voce del fiume e Una donna sbagliata, incentrati su affascinanti figure femminili, non ebbero i successi sperati. Cambiò editore e pubblicò con Vallecchi L’estate di Anna (1955), che vede al centro una donna chiusa nella propria follia, ma fu un’altra delusione. Ci restano degli appunti per un successivo romanzo, rimasto incompiuto; Lea smise di scrivere, amareggiata e convinta della propria incapacità. Intanto comunque aveva una intensa vita sociale, raccoglieva preziose confidenze e frequentava scrittrici e scrittori come Milena Milani, Gianna Manzini, Paola Masino, Bontempelli e Montale, che gravitavano nel mondo editoriale e culturale veneziano. Moltissimi anni dopo la scomparsa, nel 2016, Neri Pozza ha pubblicato i suoi interessanti diari, con il titolo complessivo Il giorno con la buona stella.

Non lontano Adriano Spatola e Giulia Niccolai sono invece ricordati a Mulino di Bazzano (Neviano degli Arduini) perché trasformarono un vecchio mulino in una fucina poetica. Giulia era nata a Milano nel 1934 e iniziò la carriera artistica come fotografa, viaggiando per l’Italia e gli Stati Uniti. A New York ritorna più volte ed è testimone di eventi che hanno fatto epoca, come la candidatura di J.F. Kennedy, assemblee dell’Onu, incontri con artisti emergenti e spettacoli musicali di grande rilievo. Vive circa dieci anni a Roma, proprio all’epoca della Dolce vita, che documenta con le sue immagini di Fellini, Giulietta Masina, Moravia, Flaiano.

Giulia Niccolai, Un intenso sentimento di stupore

Nel 1966 pubblica il romanzo d’esordio Il grande angolo in cui racconta la sua vita da fotografa. Dal 1970 con il compagno, il poeta Adriano Spatola, si trasferisce a Mulino di Bazzano, che lascerà nel 1979, e fonda e dirige la rivista di poesia Tam Tam e l’omonima collana di testi sperimentali. Pubblica anche libri di poesie e traduzioni dall’inglese; postumo, per Einaudi, esce Un intenso sentimento di stupore che raccoglie una serie di foto trovate in tre valigie dimenticate. Nel 1984, dopo una grave malattia e un soggiorno in India, si converte al buddismo e diventa monaca. Nel 2006 è stata nominata Grande Ufficiale al merito della Repubblica. Muore ad Alassio il 22 giugno 2021.

Il capoluogo, Parma, spiega nell’articolo Simone Innocenti, fa ben poco per mantenere viva la memoria; addirittura nel 2011 fu inaugurato, con tante buone intenzioni, il Giardino dei poeti, nel vasto parco urbano del Bizzozero: peccato che le 9 targhe siano ormai illeggibili, mentre se ne vorrebbero apporre altre 6 (comprendenti una poeta locale: Amelia Amoretti, 1911-2000). Fra i nomi presenti, ma appunto svaniti per l’incuria, troviamo due donne: Ada Ravasi e Francesca Morabito.

Ada Ravasi, Per la Patria
F. Morabito, Il misticismo di Giovanni Pascoli, frontespizio

Della prima siamo riuscite a trovare solo delle pagine sparse di poesie pubblicate nel 1917; la seconda (1883-1967) fu una raffinata studiosa e saggista, esperta pascoliana. La sua infanzia fu segnata pesantemente dall’assenza paterna: Francesco, il padre, morì quando lei non era ancora nata, la madre Vittoria la mantenne insegnando, ma era una donna distrutta dal dolore. Nel 1920 Francesca pubblicò il suo saggio Il misticismo di Giovanni Pascoli che fu assai apprezzato ed è rimasto un punto fermo della critica anche successiva. Su Aurea Parma comparvero altri studi dedicati a scrittori del passato e a suoi contemporanei, come Bonaventura Tecchi che le divenne amico. L’ultimo suo lavoro riguardante Carducci e Ghirardini, nel loro ruolo di docenti universitari a Bologna, uscì su Nuova Antologia (1964). In città le è stata intitolata anche una strada.

Bruna Piatti, La parmigiana, edizione 1966

Una piccola via a fondo chiuso, quasi in campagna, è stata dedicata a Bruna Piatti, ma la scrittrice che ebbe grande fama con il celebrato romanzo La parmigiana (1962) del resto è ignorata sia nella città di nascita (Savona, 1910), sia a Fidenza, dove morì nel 1979, come pure nel luogo che portò agli onori della cronaca e dove visse a lungo, in due diverse case. E pensare che il suo libro vendette mezzo milione di copie e l’anno successivo ne fu tratto un film di notevole risonanza diretto da Antonio Pietrangeli, con Catherine Spaak nel ruolo della protagonista, Nino Manfredi e Lando Buzzanca nelle parti maschili. Il romanzo ebbe vasta eco per il contenuto ritenuto all’epoca scandaloso: storia della giovane Angelica, disinibita e consapevole della propria bellezza, che si prostituisce, pur conservando la sua voglia di vivere e la sua freschezza. Piatti collaborò con vari racconti a riviste femminili, fra cui Annabella e Marie Claire, e pubblicò un altro romanzo, nel 1965: La Venere e il Begriffo. Lasciò una terza opera incompiuta. Insieme ad Angela Maria Aimi fu autrice del volume: Donne di Parma: arte, grazie, bellezza di ieri e oggi (1951). Se la cercate su Wikipedia, non la troverete neppure. Possiamo affermare che si tratta di una delle scrittrici italiane più colpevolmente dimenticate.

Anche di Marianna Bucchich, di origini dalmate, proveniente dall’isola di Hvar, non si hanno tracce in città, dove abitò in via Partigiani d’Italia. Per trovare qualche informazione su di lei si deve ricorrere a un quotidiano locale, al momento della scomparsa (gennaio 2020), e scoprire che fu per circa venti anni la moglie del ben più celebre scrittore Alberto Bevilacqua, con cui visse per lo più a Roma. Si erano conosciuti nel 1955 durante un viaggio in treno, da Parma a Bologna, e si sposarono nel 1962.

Marianna Bucchich, Incontro cosmico

Eppure fu poeta e romanziera piuttosto prolifica perché sono ancora in commercio: Casa in transito, Il valzer di compleanno, La dama di compagnia (poesie), Le zie sulla riva del mare, Incontro cosmico (poesie), Il sogno dalmata (poesie), Il bosco viennese (poesie) e una raccolta di testi femminili sull’amore da lei curata insieme a Francesca Pansa. Cercando con tanta pazienza e qualche buona intuizione, abbiamo appreso che nel 1973 vinse ex aequo il premio nazionale Frascati di poesia con Poesia per la madre, mentre con Il bosco viennese vinse ex aequo il premio Dino Campana, assegnato a Marradi nel 1988. Fece inoltre parte del comitato d’onore della rassegna internazionale Padus Amoenus nel 2013; con la poesia Una peonia per Dario la troviamo fra i tanti poeti e poete che fecero un omaggio a Dario Bellezza in un numero speciale della rivista Fermenti (vol. 212).

Lungo la via Emilia, tracciata tra il 189 e il 187 a.C. dal console Marco Emilio Lepido per collegare rapidamente Rimini (Ariminum) con Piacenza (Placentia), prima di arrivare al mare si passa da Faenza, Forlì, Bertinoro, Cesena. Subito dopo San Mauro Pascoli, che ricorda la nascita del poeta già nel toponimo, si arriva a Sant’Arcangelo di Romagna, la cittadina dove hanno vissuto il poeta Raffaello Baldini e Tonino Guerra, poeta e sceneggiatore. Qui di targhe pare ci sia una certa abbondanza, a noi interessa soprattutto la lapide in pietra in ricordo di Giuliana Rocchi, una bella figura di poeta autodidatta che visse in via della Cella.

Giuliana Rocchi al lavoro

Sappiamo anche quando è stata apposta: il 28 maggio 2023, con una cerimonia alla presenza delle autorità e dei familiari, proprio accanto alla ceramica con la sua poesia Al coèsi dal cuntroèdi. Nell’articolo citato vengono riportati alcuni versi significativi per comprendere il personaggio: «Le mie mani/che per cinquant’anni/(mi ricordo/che andavo ancora a scuola)/han fatto tutti i lavori;/le mie mani/che han raccattato/legna e erbe/giù all’Uso/che hanno spigolato pannocchie,/le mie mani brutte/che per vent’anni/hanno sollevato/sacchi e fasci di canapa/più grossi delle loro forze/e fatto migliaia/di nodi al giorno». Giuliana ad Galinòun, dal soprannome del padre Federico, era nata, con il nome di Maria, il 16 aprile 1922 e morì a Rimini il 20 marzo 1996; il padre, morto quando era ancora bambina, era un narratore e inventore di storie in dialetto che certo influenzarono la futura poeta. Maria non poté studiare oltre la quarta elementare e il suo mestiere fu sempre l’operaia; scioperi e manifestazioni per mantenere aperta la fabbrica di cordami dove lavorava le ispirarono i primi versi, cominciò quindi a pubblicare sporadicamente su giornali locali. Incoraggiata dalla compaesana Rina Macrelli, sceneggiatrice e saggista, e persino da Tullio de Mauro, pubblicò nel 1980 la raccolta La vóita d’ona dòna che la fece conoscere e apprezzare, anche all’interno del movimento femminista. Uscirono poi La Madòna di Garzéun (1986) e Le parole nel cartoccio (postumo, nel 1998). Il poeta e critico forlivese Davide Argnani fu uno dei suoi estimatori e così scrisse nel 1989: «Giuliana Rocchi: una donna eccezionale che senza strumenti linguistici sovrastrutturali ha la capacità di comunicare il ribollire del proprio esistere in modo efficace, diretto, saettante e luminoso da sapersi trasformare in canto autentico e in una poesia colma di energia inusitata». Nel 2007 un significativo omaggio le è giunto dalla rivista letteraria Il parlar franco che le ha dedicato un’ampia serie di interventi.

Vicino alla costa troviamo Ravenna dove non potevano mancare i ricordi di due immortali poeti, Dante Alighieri con la sua tomba, e Lord Byron, che qui visse e lavorò attivamente per circa tre anni, dal 1819 al 1821. Lungo le rive dell’Adriatico si affacciano ridenti località, frequentate soprattutto nella stagione estiva: Riccione, Rimini, Bellaria, Cesenatico, e alcuni scrittori sono ricordati, da Panzini a Guareschi, a Moretti; ma noi ci fermiamo a Cervia, cittadina nota per le attività legate alla lavorazione del sale. Non molto noto il fatto che Grazia Deledda cominciò a frequentare la località, allora poco turistica, nel 1920, su consiglio dell’amico e collega Marino Moretti e nel 1928 acquistò villa Caravella, dove una targa ne testimonia la presenza. Per una quindicina di anni la scrittrice nuorese vi soggiornò per lunghi periodi perché desiderava una dimora tranquilla, fra campagna e mare, dove passeggiare e lavorare in un ambiente appartato, e la trovò appunto nella casa “color biscotto” a cui talvolta accenna nei suoi scritti; questi luoghi fanno da sfondo a varie opere, come La fuga in Egitto e Il paese del vento. Nel 1927 ne divenne cittadina onoraria e in seguito le è stato dedicato un monumento, che raffigura una pescivendola e una pastora, per accomunare le sue due anime e il legame fra la Sardegna e la costa romagnola; le sono stati intitolati un tratto del lungomare e il giardino accanto alla cattedrale. Dal novembre 2023 è stato pure inaugurato un trekking urbano, guidato e con letture, dal titolo «A Cervia Grazia è nell’aria» che segue una apposita segnaletica per raggiungere la sua dimora, rimasta esternamente intatta, ma quasi nascosta fra edifici molto più alti e parcheggi.

L’itinerario finisce qui, ma speriamo di aver almeno sollevato un velo e riportato un po’ di interesse sulle poete e romanziere di cui ci siamo occupate, così lettori e lettrici potranno approfondire le proprie conoscenze e curiosare fra le pagine dei loro libri.

In copertina: Cervia, segnaletica per il villino di Grazia Deledda.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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