India del sud. Spiritualità e arte

L’andare in India non è per me una vacanza, ma un’esperienza dentro me stessa, in un luogo che è totalmente altro da noi, un luogo che si muove con parametri ben diversi dal nostro occidente. Se ho desiderato andarci per la terza volta, credo ci sia laggiù qualcosa di me che io desidero incontrare e che mi lascia, e mi ha lasciato anche nelle volte precedenti, una ricchezza interiore particolare. L’India è il femminile di cui l’occidente razionale ha bisogno, perché ne è carente. È proprio questo matrimonio tra occidente e oriente che mi ha spinto a iscrivermi con quasi un anno di anticipo sulla data di partenza al viaggio, 28 dicembre ’24 – 9 gennaio ’25, organizzato da Paolo Scquizzato di Pinerolo; i 25 posti sono subito andati a ruba.
Solo al momento della partenza, in aeroporto, ho conosciuto i/le compagni/e di viaggio che, come supponibile, avevano simili aspettative alle mie, cosa che ha reso sempre serena la convivenza. Una guida indiana che conosce benissimo l’italiano perché ha studiato nelle università di Camerino prima e di Perugia poi, ci attendeva all’aeroporto di Chennai col pullman e ci avrebbe accompagnato per tutti i tredici giorni del viaggio nel Tamil Nadu, per un percorso ad anello di circa 800 km che, partendo da Chennai ci portava a Trichy, Thanjavur, Tannirpalli, Tiruvannamalai, Pondicherry, Mhabalipuram e infine di nuovo a Chennai per il rientro.
Il Tamil Nadu è uno stato nel sud est dell’India, il cui inverno corrisponde alla nostra tarda primavera, un nostro fine maggio, inizio giugno; è quindi tra dicembre e febbraio il periodo più adatto per visitarlo. Ci hanno detto che invece da aprile fino a giugno il caldo è torrido e non si potrebbe camminare sulle strade, da luglio a ottobre i monsoni infangano le strade. La guida, che si fa chiamare Felice, ci ha via via condotto presso i templi induisti spiegandoci le caratteristiche delle varie divinità; ognuna ha i suoi templi, le sue date speciali per le devozioni e ogni persona ha il suo culto particolare e ne segue fedelmente i riti.
Le divinità principali sono Shiva, signore del tempo che distrugge e rigenera, la sua consorte è Parvati e i lori figli Ganesha e Skanda; c’è poi Vishnù, la divinità maschile della pervasività dal colore azzurro della pelle; e infine Brahma, il creatore di cui vi è un solo tempio in tutta l’India ed era proprio sul nostro percorso. Le divinità principali hanno consorti, figli e nipoti in un intreccio complicato di vicissitudini difficili da memorizzare.

Ciò che ho compreso è che gli indiani non hanno molti dei come sembrerebbe, ma uno solo con molte facce quanti gli aspetti umani. I templi del sud dell’India hanno un’architettura ben diversa da quelli del nord. Il loro stile è chiamato dravidico, hanno grande complessità da sembrare città-tempio e assumono la tipica forma a tronco di piramide con i lati arcuati verso l’interno e sono rivestiti da statue policrome. L’interno del tempio è spesso costituito da sale e da spazi sostenuti da una selva di pilastri e colonne decorate.
Il primo tempio visitato è stato quello di Mylapore dedicato a Shiva in Chennai, capitale del Tamil Nadu, nome che ha ripreso dopo la dominazione britannica in cui era chiamata Madras.

È stata poi la volta del Tempio shaivita di Brihadeeswara con imponenti “gopuram”, torri di ingresso monumentali e del Tempio Sri Ranganathaswamy. Per la visita al tempio è indispensabile togliere le proprie scarpe come segno di rispetto, ci si mette in fila con le moltissime persone che entrano per assistere al rito che i bramini, vestiti di bianco, celebrano con incensi profumati e polveri colorate.
Le donne sono vestite col sari rosso sono festose, sorridenti, molto curiose di noi occidentali e desiderose di fare delle foto insieme a noi.

Fuori da ogni tempio vi sono infinite bancarelle che vendono oggetti, souvenir, ma soprattutto ghirlande di fiori profumati per le offerte. Tutto sembra caotico, come lo è il traffico nelle strade, ma non ci sono incidenti e tutto si compie pacificamente, nonostante spesso camminino indisturbate tra la folla anche le mucche, considerate sacre. Purtroppo non è quasi mai possibile fare foto all’interno dei templi, così le celebrazioni rimangono nei nostri occhi e nei nostri ricordi personali con i gesti, gli incensi e i profumi.
Fuori da un tempio abbiamo visto una donna seduta al tavolino con una macchina da scrivere molto antiquata; scriveva lettere per chi ancora non sa scrivere.

Abbiamo indagato sul tema delle caste che erano apparse ingiuste anche agli inglesi. Secondo la cultura induista ogni persona nasce all’interno di una casta e questa appartenenza determina il lavoro, ciò che può o non può mangiare, dove deve abitare, chi sposare. Il matrimonio è accettato solo tra i membri della stessa casta così come i rapporti di affari, di lavoro e di amicizia. Anche per Gandhi le caste rappresentavano l’ordine sociale e, benché siano state abolite dalla Costituzione nel 1950, rimangono di fatto ancora presenti.
I matrimoni tra bambini sono fortunatamente spariti, rimangono ancora diffusi quelli combinati tra le due famiglie, con ragazze di almeno 18 anni e ragazzi di 21; i divorzi sono pochi e avvengono solo prima della nascita dei figli. Le unioni non sono mai considerate solo tra due persone, ma tra due famiglie e non si possono sciogliere. Le donne delle classi sociali più elevate sono emancipate e studiano nelle università insieme ai ragazzi. Felice, induista, ci diceva con orgoglio che, a differenza delle musulmane, le loro donne camminano a capo scoperto; al detestato dominio inglese egli era grato per una sola legge, quella del 1914, che aveva abolito il rito del Satì, l’orrenda regola che obbligava la vedova a salire sulla pira del marito e morire con lui.
Il nostro viaggio, giunto al terzo giorno, vede l’ingresso dell’Ashram di Shantivanam che ci ha ospitato per tre giorni; è la tappa più attesa da tutti/e, forse il vero motivo del viaggio nel suo aspetto spirituale, quello del matrimonio tra occidente e oriente. Io stessa nel documentarmi avevo trovato di grande interesse la fondazione, nel 1950, di questo luogo ad opera di due religiosi francesi, seguiti poi da un religioso inglese che ne ha assunto per diversi anni la guida. Da lungo tempo gli occidentali sono stati affascinati dalla spiritualità dell’India caleidoscopica e profondamente vitale, capace di arricchire la nostra esistenza senza dogmatismi.
Si approfondisce qui il primo dei personaggi spirituali del nostro viaggio: Henri Le Saux, bretone, 1910-1973, monaco benedettino che volle andare in India per trovare il Cristo nell’induismo. Ci lascia il suo Diario spirituale di un monaco cristiano, samnyasin hindù nel quale parla della via della meditazione nel silenzio, che consente un risveglio fuori dai condizionamenti, dove null’altro che il sé può penetrare nella profondità.
L’Ashram è sorto accanto a un fiume sacro, il Kaveri, o meglio la Kaveri, essendo femminili i fiumi in lingua hindi; è stato fondato da Le Saux e da Jules Monchanin, prete francese filosofo, costituito da piccole casette, perché i monaci hanno personali abitazioni, oltre a luoghi comuni quali il refettorio e la chiesa. È questo lo stile camaldolese, quello che Bede Griffith, il monaco inglese arrivato nel 1955 alla ricerca dell’altra metà della sua anima (come egli chiamava l’India), ritenne più consono al loro progetto di vita monastica.
La quarta figura importante per la vita di questo speciale monastero, e a me molto cara, è Raimon Panikkar; nato a Barcellona da madre catalana e da padre indiano, fu vero sostenitore dell’integrazione cristiano-induista.

Nel refettorio abbiamo mangiato anche noi, seduti per terra, cibi vegetariani serviti in un unico piatto d’acciaio e consumati in silenzio, senza posate. La sera del 31 dicembre abbiamo assistito a funzioni religiose cristiane di fine anno molto toccanti, arricchite con gestualità induiste e canti accompagnati da strumenti musicali indiani. Attualmente vi sono 13 monaci indiani di cui alcuni parlanti la lingua italiana perché vengono ogni tanto a Roma e a Camaldoli.
Il priore, Dorothik, che ha condotto per noi sedute di yoga, ci ha portato a visitare un centro per anziani e anziane e una piccola scuola infantile da loro fondata per offrire un aiuto alle famiglie e sopperire alle carenze dello stato.

Lasciata la bella struttura dell’Asrham abbiamo proseguito col nostro pullman alla volta di un luogo di un altro mistico, Ramana Maharshi, nato nel 1879 e morto nel 1950, grande interprete dei testi Vedanta. Egli visse 17 anni in una grotta sulla montagna sacra a Tiruvannamalai, accanto al suo Ashram, sulla quale anche noi siamo saliti/e, per un trekking, proprio per sostare in silenzio in quella grotta illuminata solo da qualche candela. All’uscita ci attendeva un branco di macachi grigi dal muso nero in attesa di qualche briciola o di una banana. Il giorno dopo fu la volta di Aurovillage, il villaggio della pace universale fondato da Aurobindo, altro mistico del nostro viaggio. Nato a Calcutta nel 1872 da famiglia benestante, studiò in università inglesi, ma dopo un periodo di impegni politi legati alla conquista dell’indipendenza, divenne poeta, scrittore, maestro di yoga ed ebbe come collaboratrice Mirra Alfassa, 1878-1973, che verrà chiamata semplicemente mère, la madre.

Sarà lei, una mistica francese amante dell’arte espressionista e giapponese, a realizzare intorno alla metà degli anni ’60, la planimetria per la realizzazione della città di Auroville, gettando le basi per la sua costruzione che si articolava come un fiore in cui ognuno dei quattro petali racchiudeva un’area separata. È un luogo dove uomini e donne di ogni nazione, credo, tendenza politica e razza possono vivere in pace e armonia, realizzando l’Unità Umana. In questo villaggio si vedono molti occidentali provenienti da ogni parte del mondo, ci sono negozi, spazi per conferenze, belle abitazioni per chi voglia trascorrere lì del tempo, bei giardini e una grande sfera dorata per la meditazione nella quale purtroppo noi non siamo potuti entrare per un errore sulla necessaria programmazione

Aurovillage si trova nel territorio di Ponticherry, insediamento francese per 138 anni fino al 1954, la cui eredità è ben visibile nel quartiere francese, caratterizzato da strade alberate dai nomi francesi, ville coloniali color senape e boutique di classe, un bel lungo mare, una chiesa cattolica di inizio Novecento, bei negozi di profumi e incensi. Abbiamo fatto una gita in barca inoltrandoci nel fiume che sfocia sulla città dove abbiamo visto le mangrovie, formazione vegetale dei fondali marini bassi

Samkara Bhagavatpada, un mistico dell’ottavo secolo che commentò i testi sacri indiani, è stato l’ultimo dei nostri personaggi a carattere spirituale che abbiamo conosciuto in questo viaggio; siamo entrati nell’Ashram di Tirupati a lui dedicato e assistito direttamente a degli insegnamenti del bramino capo che ci ha impartito una riflessione sulla pace del cuore. Il nostro viaggio termina a Mamallapuram, sul mare, il golfo del Bengala che guarda Sri Lanka. Qui, fuori dal meraviglioso hotel della catena Radisson Blu Plaza, in cui abbiamo dormito l’ultima notte, una passeggiata sulla spiaggia a osservare i pescatori che riordinavano il pescato e loro reti, con la raccolta di conchiglie dai colori forti chiude il meraviglioso viaggio nell’India del sud.

Ho apprezzato la grande capacità dell’induismo a integrare il pensiero altrui senza fissare dogmi e credo che ciò abbia favorito anche la nascita della scuola teosofica, proprio nella zona di Madras, presso la quale Maria Montessori ha abitato per dieci anni, lasciando l’Italia del fascismo, per istruire le insegnanti indiane.

Fotoreportage di Maria Grazia Borla.

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Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.

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