Diario di una relazione di sostegno

Con lei torno a essere mamma, anche se siamo in un’aula di scuola. Lascio le mie, di figlie, e accolgo la vostra, cari mamma e papà, con quel passaggio dolce e naturale da un amore all’altro.
A volte mi sbaglio e la chiamo Bianca. Altre volte le dico “tesoro mio”, come faccio a casa con Alice. Chissà se glielo leggete in faccia quel mio modo spontaneo di chiamarla, chissà se lo fa suo, lo porta con sé, se le fa piacere…
Ogni mattina, dopo colazione, le asciugo la bocca con attenzione, con quel gesto che avevo abbandonato, me che lei ha riportato al mio presente. Mi chiedo se arriva, a casa, quel bacio che ogni tanto mi scappa di darle sulla testa, mentre lanciamo i nostri sonagli e lei ride felice. Non può raccontarvelo, Paola, come ha trascorso la mattina. Non possiamo riempire quaderni, mostrare voti, progettare insieme il lavoro che farà da grande. Lei non può ricambiare le mie carezze (e magari le scanserebbe, se ne avesse la possibilità, come fa mia figlia). Però possiamo stare insieme dentro un clima di amore, di cura, di protezione, di calore e scambio. È questo il nostro dono reciproco, la nostra migliore didattica, quello che costruiamo insieme ogni mattina.
Lei mi sente esattamente come io sento lei, ne sono sicura. E forse i nostri cuori hanno imparato a battere allo stesso ritmo. A volte penso che vorrei stare lì con te per sempre, Paola. Ma non si può. E allora un saluto veloce, una carezza sui capelli e volo all’altra scuola, dove c’è lui.
Lui che mi batte il cinque quando entro in aula, ma poi mi fa impazzire. Lui che non tace un secondo, che ce l’ha sempre con qualcuno. Lui che fa della provocazione la base della relazione, che non mi dà tregua, che fa la scimmia quando gli altri glielo chiedono, che ti sega i nervi con quel suo metterti continuamente alla prova. Lui che grida, che batte i pugni, che fa i versi, che ride quando non c’è niente di divertente. Io contengo, guido, cerco di mediare tra il mondo che ha in testa e quello reale, in cui viviamo noi, qua fuori. Ma ne ho incontrati troppi di ragazzi come Mirko per non sapere perché, sotto quella cascata di capelli biondi, ha preso forma un regno parallelo. Quello è il suo rifugio, il porto a cui condurre la barchetta dell’esistenza, il fortino inespugnabile dove rinchiudersi al sicuro.
Lui che è figlio di mille abbandoni, figlio di miserie e privazioni, si è salvato dal dolore costruendo, un pezzo alla volta, un mondo che ne fosse libero. E lo ha fatto nel solo modo che un bambino conosce: desiderandolo con tutte le sue forze, fino a renderlo più vero del reale. Come faremo ora a tirarti fuori di lì? Come riusciremo ad ancorare la tua barchetta allo scoglio della realtà, della dignità, a farti capire che c’è una profonda differenza tra il ridere con te e il ridere di te? Se solo qualcuno ti avesse insegnato ad amare te stesso quel tanto che basta per non permettere agli altri di ridurti a brandelli… E invece oggi è insieme la tua ossessione e la tua condanna. Il terrore di rimanere solo, il bisogno disperato di sentirti amato, mentre fai di tutto per farti odiare. Non ci riuscirai con me, Mirko: non posso odiare chi ha negli occhi il tipo di dolore che vedo nei tuoi. Puoi provarci fino allo sfinimento, non lo farò. Ti sgriderò, magari alzerò la voce, maledirò mille volte i tuoi comportamenti e quei quattro cretini che ti prendono in giro, ma non potrò mai volerti male.
E poi c’è lei, che sta all’ultimo piano, come le principesse, ma che un castello non ce l’ha. E neppure una casa o un piccolo tavolo tutto suo, dove mettersi a studiare. Lei che si attacca allo schermo di un tablet come fosse una zattera accanto alla nave che affonda. Lei che, come le onde di un oceano profondo, un secondo sfiora il cielo e quello dopo sprofonda in un abisso senza fondo. Lei che mi ruba tutto… Biro, computer, righello, evidenziatori e poi mi porta un cappuccino per ringraziarmi; che mi tempesta di parole sulla scuola, sugli appunti, sulle interrogazioni, ma poi mi scrive a matita sul banco, in silenzio, se deve dirmi qualcosa di personale che adombra il suo cuore. Guarda i miei occhi che leggono, la mia mano che cancella e forse spera che basti una gomma da matita a far sparire per davvero quel macigno di emozioni che mi ha appena scarabocchiato accanto. Senza le H e senza gli accenti, perché la scrittura è come la vita e a volte dei pezzi si perdono per strada. E allora bisogna andarci piano con le persone. La fiducia di Sonia te la devi guadagnare. Ne ha viste troppe per buttarsi senza barriere, a piedi uniti, in una relazione a due. Che poi i suoi, di piedi, devono essere operati di nuovo. Non ora, però, adesso vengono la quinta e l’esame di Stato: servono energie e testa. E dopo? Che ne sarà di lei una volta uscita di qui? Sogniamo insieme un contratto di lavoro e magari uno di affitto. Una casa. E dentro una famiglia a ruoli invertirti, in cui è la figlia che accudisce la madre e dà stabilità al quotidiano.
Perché no? È questo in fondo che devono fare la cultura e l’educazione: aiutarci a diventare grandi, a raccogliere i mattoni sui quali fondare la nostra vita. A noi, a tutte e tutti noi che sediamo in cattedra, è affidato il compito di fare da ponte, da mediazione nella grande avventura del sapere. E se saremo abbastanza brave e bravi, cari ragazzi e ragazze, vi indicheremo la strada per venire al mondo una seconda volta. Non abbiamo molto da portarvi in dono, ma quel poco ve lo diamo senza riserve, perché sappiamo che sarete voi a moltiplicarlo. Venite, mettiamoci in cammino. E alzando lo sguardo scopriremo, sopra le nostre teste di viandanti, la meraviglia di un immenso cielo stellato.

Le pagine di questa rubrica raccolgono testimonianze di insegnanti di sostegno che hanno scelto di condividere con noi riflessioni sul loro lavoro ed episodi particolarmente emblematici del mondo dell’inclusione fuori e dentro la scuola. La Redazione ringrazia tutte/i coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione, prestando la loro voce a Vitamine vaganti.

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.

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