Per le donne del passato viaggiare non è mai stato scontato. E non lo era neanche durante il Gran Tour: nei secoli XVIII–XIX. Il viaggio, infatti, era considerato faticoso e richiedeva coraggio e prestanza fisica, inoltre aveva una funzione di formazione personale e culturale. E alle donne non venivano riconosciuti né tali qualità né altri compiti nella società che non fossero il governo della casa e l’educazione della prole.

Ancor più difficile è pensare a donne in viaggio verso la Puglia, poiché il Sud era visto come un luogo molto pericoloso: inospitale e incivile; infatti la tappa più meridionale inserita nel collaudato circuito del Gran Tour era Napoli.
Eppure, almeno sette donne, nei secoli del Gran Tour, sfidando le convenzioni del tempo, hanno lasciato traccia nei loro scritti di viaggi in Puglia: nel ’700 scrissero Mary Montagu, Hester Piozzi e Matilde Perrino; nell’800 Fanny Kemble, Paolina Leopardi, Aurelia Folliero e Jannett Ross. La loro esperienza e le loro opere richiamano aspetti comuni alle viaggiatrici loro contemporanee.
Nel Settecento, ad esempio, le donne viaggiavano per accompagnare e aiutare mariti o figli oppure per soggiornare, causa problemi di salute, in terre dal clima più mite; mentre l’Ottocento segnò un incremento delle viaggiatrici solitarie, favorite in Italia anche dalla costruzione, dopo L’Unità, di nuove strade e ferrovie, come la Linea Adriatica che collegava Ancona a Lecce.
La stessa evoluzione si riscontra nella loro produzione odeporica: nel ’700, i diari o le lettere, precedentemente non destinati al pubblico, cominciarono a circolare nei salotti letterari, come curiosità. Le successive pubblicazioni erano, nei primi tempi, spesso anonime, per evitare accuse di superbia, e mantenevano la forma diaristica o epistolare, ritenuta consona al genere femminile. Poi, dalla metà dell’800 le donne riuscirono a pubblicare scritti anche di tipo giornalistico.
Tutte queste opere, comunque, presentano delle differenze rispetto a quelle maschili: sono più intime ma anche più “empatiche” verso gli abitanti dei luoghi visitati; lontane spesso dai pregiudizi e clichés derivanti da letture precedenti.
Per ciascuna di queste viaggiatrici tracciamo un breve ritratto.

Mary Wortley Montagu (1689-1762) in viaggio verso Costantinopoli, giunse in Italia al seguito del marito, nominato ambasciatore britannico in Turchia. Lo accompagnò sebbene debilitata, perché da poco aveva avuto un figlio. Durante il viaggio e dalla Turchia, scrisse diverse Lettere, in cui appare la sua esuberanza, la sua curiosità verso la lingua, la cultura e le tradizioni locali, la sua apertura verso il nuovo e diverso: si adeguò ad esempio al costume del velo, entrò in un harem, promosse in Inghilterra una forma primitiva di vaccinazione contro il vaiolo, in uso in Turchia. Un’ampia selezione delle sue lettere orientali (le cosiddette Embassy Letters), pubblicata in forma anonima nel 1763, dopo la sua morte, fu immediatamente tradotta in molte lingue europee ed è considerata il primo autentico resoconto moderno sulla cultura islamica. Mary Montagu soggiornò anche in Italia, e in Puglia tra 1756 e il 1758, ma già nel suo viaggio di ritorno da Costantinopoli, nel 1718, scrisse di Brindisi in una Lettera alla sorella.

Hester Lynch Piozzi (1741-1821) nacque in una delle più importanti famiglie di proprietari terrieri del Galles, sposò in seconde nozze il musicista Gabriele Piozzi e con grande scandalo, essendo questi di religione cattolica. Per sfuggire alle critiche, nel 1784 i due intrapresero un viaggio in Italia, che includeva anche la Puglia. Dell’esperienza, Hester scrisse un diario. La Puglia la colpì profondamente: descrisse Bari e Lecce, evidenziandone la bellezza architettonica e l’atmosfera vivace; si interessò anche alla vita quotidiana degli abitanti, alle usanze e ai costumi locali. Il suo approccio è spesso ironico con una spiccata attenzione per le particolarità sociali e culturali della regione. Il suo stile è molto musicale e raffinato, al confine tra la poesia e la prosa; Hester, infatti, aveva tentato di cimentarsi nella poesia, sperimentando diversi sistemi metrici, ma, secondo la mentalità dell’epoca, tale genere non si confaceva a una donna.
Matilde Carlotta Anna Antonia Eleonora Perrino (1760-1850) era nata a Napoli in un ambiente familiare aperto e progressista e aveva ricevuto un’istruzione completa, tra concerti, teatri, mostre e salotti. Il suo viaggio in Puglia iniziò l’8 maggio del 1786 e vi soggiornò circa un mese. Era al seguito del padre, Regio Consigliere di Ferdinando IV, inviato in quella regione per un viaggio di ricognizione; anche Matilde fece la “sua ricognizione” e la scrisse in forma epistolare Lettera di Matilde Perrino ad un suo amico, nella quale si contengono alcune sue riflessioni fatte in occasione del suo breve viaggio per alcuni luoghi della Puglia, in cui la giovane viaggiatrice risponde alla richiesta del suo anonimo amico, di fargli un ragguaglio sulle cose osservate e degne di nota, nella provincia di Bari. La Lettera venne pubblicata a Napoli nel 1787 e ripercorre l’itinerario effettivo compiuto da Bari verso Foggia, riportando per ogni tappa osservazioni e commenti, molto spesso di natura economica, riguardanti la gestione delle proprietà terriere o per interventi di natura sociale. Nel titolo si sente la necessità di giustificare la propria audacia per aver reso pubbliche delle riflessioni personali, come dovute a una richiesta di un non meglio specificato amico. Il padre, comunque, dovette apprezzarle, se, al ritorno, a Matilde, che in Puglia era venuta a contatto con il mondo contadino e aveva deciso di avviare un’impresa agricola, firmò un atto di affrancamento, per consentirle di stipulare contratti senza la sua intermediazione.

Frances Anne, detta Fanny (1809-1893) nacque da una famiglia inglese di attori da generazioni. Cresciuta in Francia, dovette calcare le scene a 20 anni, per aiutare la famiglia dopo un improvviso dissesto finanziario. Fu subito apprezzata e partì in tournée anche in America, dove conobbe il marito, un ricco proprietario terriero. Ben presto, però, apparve evidente la differenza di mentalità tra i due: durante una permanenza di quattro mesi nella piantagione di famiglia in Georgia, ebbe modo di vedere in prima persona le condizioni degli schiavi, e riconobbe l’orrore di tale sistema in un diario che riuscì a far pubblicare solo molti anni dopo. Separatasi dal marito, intraprese un viaggio in Europa che la portò anche in Italia. Descrisse il suo viaggio in Puglia nel suo libro A Year of Consolation (1847). Rimase colpita dalla bellezza architettonica della regione, in particolare dai trulli e dalle città storiche, come Alberobello, e dalla accoglienza degli abitanti; anche lei si soffermò, con autentico interesse, sulle tradizioni locali e sulla vita quotidiana e il suo stile di scrittura univa osservazione acuta e sensibilità poetica.

Paolina Leopardi (1800-1869) era chiamata affettuosamente “Pilla” dal celebre fratello Giacomo, ma da piccola scherzosamente, sempre da lui e dall’altro fratello Carlo, anche “don Paolo”, perché, essendo sempre vestita di nero e portando i capelli corti, durante i loro giochi le affidavano il personaggio del parroco. Cresciuta, recensiva e traduceva articoli di giornali francesi per conto del padre, nella redazione delle riviste La Voce della Ragione e La Voce della Verità. Ma, come il fratello, sentiva l’ambiente aristocratico in cui viveva reclusorio e freddo e desiderava lasciare Recanati: più volte se ne era lamentata nelle lettere alle sorelle Brighenti, sue amiche epistolari. Poté farlo però solo all’età di 59 anni, dopo la morte dei genitori. Allora, nel 1857, smessi finalmente gli abiti neri, partì da Recanati in un continuo viaggio, di città in città. Una svolta nella sua vita, anzi una seconda vita! E, con la Linea Adriatica già funzionante, scese a Foggia, Bari e Brindisi tra il 9 e il 15 giugno 1865. Da varie parti d’Italia spedì alla cognata Teresa Teja, moglie del fratello Carlo, 120 lettere: le Lettere di Paolina Leopardi a Teresa Teja dai viaggi in Italia (1859-1869), oggi depositate in due manoscritti apografi, presso l’Archivio di Stato di Reggio Emilia. Della Puglia Paolina ammira soprattutto il capoluogo dauno, all’epoca al massimo splendore; mentre Brindisi e Bari non le piacciono.
Aurelia Folliero de Luna Cimino (1827-1895), nipote di Matilde Perrino, nacque a Napoli; molto giovane sposò l’avvocato e librettista Tommaso Cimino, patriota napoletano, che seguì nell’esilio a Londra nel 1847. Dopo la separazione dal marito, Aurelia si dedicò completamente alla sua carriera di giornalista e scrittrice, prima in Inghilterra, poi in Italia: a Firenze, a Cesena e infine a Roma, dove si spense. Il suo impegno riguardava anche il sociale e in particolare i diritti delle donne: nel 1872, ad esempio, fondò il periodico Cornelia, dall’esplicito sottotitolo Rivista letteraria, educativa, dedicata principalmente agli interessi morali e materiali delle donne italiane; nel 1878, a Parigi, in occasione dell’Esposizione Universale, partecipò al Congresso internazionale dei diritti delle donne; nel 1882 istituì a Cesena un istituto agrario per orfane, gratuito, che, però, fu costretta a chiudere per le ingenti spese di gestione, nonostante gli importanti riconoscimenti ricevuti; infine, ottenne che tutti gli istituti delle Belle Arti accettassero le donne tra i loro studenti. Il suo scritto Lagune, monti e caverne. Ricordi de’ miei viaggi presenta un taglio giornalistico: è costituito, infatti, da una serie di “articoli” dedicati a varie località, italiane e straniere, ciascuna descritta con le proprie attrattive artistiche e paesaggistiche. Il secondo capitolo, Un mese in ferrovia, è stato scritto al ritorno dal suo viaggio nel Sud d’Italia nel 1872 e riguarda anche l’itinerario che compì in treno da Foggia a Bari, per poi proseguire per Taranto. In esso la Folliero si sofferma soprattutto sulla città di Bari.

Janet Ann Duff Gordon Ross (1842-1927) crebbe in una ricca e colta famiglia londinese, il cui salotto era frequentato da scrittori anche famosi, come Alfred Tennyson e Charles Dickens. Sposò a soli 18 anni Henry Ross, un banchiere con interessi al Cairo e con lui si trasferì ad Alessandria d’Egitto, da dove, grazie ai suoi contatti, diventò corrispondente del Times. Poi, nel 1867, a causa di una crisi finanziaria, la coppia, in ristrettezze economiche, giunse in Italia: si stabilì nei pressi di Firenze e si dedicò con successo alla gestione di una fattoria. Intanto Janet riuniva ancora attorno a sé scrittori, poeti e artisti inglesi che giungevano in Italia. Il loro viaggio in Puglia risale al 1884: sfruttarono la nuova linea ferrata, ma per lo più si viaggiava ancora in carrozza, lungo vie sconnesse e infestate dai briganti. Janet, nonostante le raccomandazioni degli amici, non solo non mostrò paura, ma raccontò di aver trovato gli abitanti del Meridione aperti e accoglienti. Di base in una villa nei pressi di Taranto, percorse la regione, interessata soprattutto alle figure di Federico II e del figlio Manfredi. Da questo viaggio nacque, infatti, il libro La terra di Manfredi, pubblicato nel 1889. A Taranto partecipò anche a tutte le processioni della Settimana Santa, mescolandosi alla folla, al seguito della banda municipale; indossava, inoltre, stivaloni da uomo e andava in giro con un ragazzino tarantino che la aiutava con il dialetto; descrisse la pizzica e trascrisse alcune canzoni popolari. E scoprì, persino, durante una delle escursioni, il dolmen di San Giovanni di Statte. I Ross tornarono in Toscana nel 1888.
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Articolo di Daniela Anna de Carlo

Docente di lettere in una scuola superiore a Lodi, è nata e si è formata a Lecce, da cui in passato è stata corrispondente e giornalista pubblicista per la Gazzetta del Mezzogiorno. Coltiva diversi interessi: progetti scolastici e sport con giovani, sostegno linguistico e volontariato in oratorio, coro, giardinaggio e interior design.
