Brics+. La coesione geopolitica e il vertice di Kazan

Nell’ultimo incontro del seminario Giga – UniGramsci si arriva al cuore del problema. È inutile negarlo, anche se i nostri media generalisti trattano questo tema solo in contrapposizione al G7 o sottovalutandone le implicazioni geopolitiche: è in atto uno scontro aperto fra l’Occidente globale e le potenze emergenti raccolte nel Brics, «metaforica punta dell’iceberg della variegata entità costituita dall’insieme dei Paesi del Sud economico», come ricorda il prof. Vento nella sua accurata presentazione del 26 novembre scorso. Questo scontro è dovuto a quella che Limes chiama “transizione egemonica”, in cui assistiamo alla strategia statunitense volta a procrastinare sine die il proprio dominio unipolare, ignorando o apertamente contrastando i tentativi dei Brics+ di contribuire alla riorganizzazione su base multipolare delle relazioni internazionali. Lo scontro, come emerge da molti documenti ufficiali statunitensi e della Nato, vede da un lato gli Stati Uniti e i loro “alleati/subalterni occidentali” e, dall’altro, la Russia nello scacchiere esteuropeo e la Cina nel quadrante Asia-Pacifico. Lo scopo è contrastare o rallentare l’ascesa della Cina, contenendone le legittime aspirazioni di controllo dei mari rivieraschi. L’Occidente globale comprende i paesi della Nato e i suoi alleati soprattutto asiatici, oltre a Israele, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone, tutti presenti al vertice Nato di Washington del 9-11 luglio 2024. Lo scontro in atto ha portato a un riarmo di tutte le parti in gioco: l’Europa orientale ha avuto un incremento delle spese militari nel decennio 2013-2022 del 72% e l’Asia Orientale del 50%. Tra i Paesi della Nato globale il Canada ha aumentato le spese militari del 49%, l’Australia del 47% e la Corea del Sud del 37%; il Giappone, che dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki si era ripromesso di non impegnarsi più nelle guerre, ha aumentato le spese militari del 18%. È interessante osservare che l’Ucraina, che si sta riarmando significativamente non dal 2022, come vuole la narrazione mainstream, ma dal 2014, anno in cui la Nato è entrata nel territorio della “terra di confine” ad addestrare gli ucraini, per ammissione stessa del suo ex segretario Stoltenberg ha aumentato le spese militari, sempre nel decennio in questione, del 1661%, la percentuale più alta nella storia delle rilevazioni del Sipri di Stoccolma a fronte di un 15% della Russia.

Come già ricordato l’allargamento del Brics risale al primo gennaio dello scorso anno e ha visto l’ingresso di Iran, Emirati Arabi Uniti, Egitto ed Etiopia. L’Arabia Saudita, inizialmente intenzionata a far parte di questo aggregato geopolitico eterogeneo, non ha ancora formalizzato l’adesione. Il confronto con i Paesi occidentali però non deve limitarsi a quello con il G7 a mera comparazione dell’entità del Pil, sottolinea Vento, riconoscendo che questi ultimi hanno molti più elementi in comune tra loro di quanti ne abbiano i Brics+: «La democrazia cosiddetta “liberale” (ormai non si sente più parlare, come un tempo, di democrazia tout court, chissà perché), il sistema capitalistico in versione liberista, economie e sistemi finanziari integrati, un percorso storico condiviso almeno dal secondo Dopoguerra, consolidate relazioni internazionali, una stringente alleanza politico-militare (la Nato, ora nella versione globale) una postura geopolitica unitaria sotto l’indiscussa leadership statunitense».
Il Fmi nel suo Outlook di ottobre scorso prevede che le divergenti traiettorie di crescita tra i due gruppi di Paesi siano destinate a portare nel tempo a un possibile futuro sorpasso dei Brics+. Ma i Brics+ hanno molte differenze tra di loro e il punto cruciale riguarda proprio il processo di coesione e integrazione, non facile. Un’importante precisazione sulla grandezza della Ppa (Parità di potere d’acquisto), ben descritta nella presentazione del professor Vento, serve a capire l’approccio analitico seguito dallo studioso di geopolitica nel giudizio sui Brics+: il futuro dei Brics+ non si giocherà tanto sulla quota di prodotto lordo mondiale annuo che riusciranno a ottenere, quanto sulla sfida dell’integrazione economica, commerciale e finanziaria interna al gruppo, nonché sulla capacità di coordinamento delle politiche internazionali in vista della creazione di un soggetto geopolitico «coeso e capace di una postura unitaria sullo scacchiere mondiale».

Una parte consistente della relazione di Vento si sofferma sulla posizione ambigua dell’Arabia Saudita, storico alleato degli Usa nel contesto del mondo arabo-islamico, non più tanto prezioso per la potenza egemone da quando, dal 2011, si è dedicata alla produzione di shale oil e shale gas, diventando nel 2022 primo produttore mondiale di greggio e quarto esportatore dopo Arabia Saudita, Russia e Canada. Anche gli Accordi di Abramo, che peraltro l’Arabia saudita non ha ancora sottoscritto, hanno modificato la sua alleanza strategica con gli Usa. Vento ricorda che l’Accordo del secolo avrebbe previsto «l’applicazione della legge israeliana su tutti i Territori Palestinesi Occupati o in alternativa l’annessione definitiva di circa il 30% della Cisgiordania. Condizioni capestro che di fronte a un prendere o lasciare, portarono al netto rigetto da parte dei palestinesi, influenzando in tal modo l’iniziale rifiuto e il successivo temporeggiamento da parte saudita». Gli Accordi di Abramo hanno rappresentato un clamoroso fallimento rispetto alla formazione di una coalizione mediorientale in funzione anti-iraniana; Riyad e Teheran avevano già stretto un accordo tra loro grazie alla mediazione di Pechino e, proprio questi accordi, potrebbero essere stati la causa scatenante del terribile attentato della Resistenza palestinese guidata da Hamas del 7 ottobre scorso, interpretabile «come ultimo disperato tentativo di interrompere la traiettoria di avvicinamento di Riyad alla sottoscrizione dei suddetti Accordi che avrebbe messo una pietra tombale sulla pluridecennale lotta palestinese contro l’occupazione e per la propria liberazione nazionale».
L’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman ha scambi con Pechino, Mosca e Washington e tende a ritagliarsi una posizione di potere e di influenza nel Golfo persico come potenza macroregionale autonoma che, in qualche modo, minerebbe il progetto geopolitico dei Brics+, rivelandone le criticità dovute all’indeterminatezza delle politiche internazionali dei singoli Stati e a «mutamenti di visione strategica conseguenti all’alternarsi di governi di orientamento diverso, soprattutto dei nuovi entrati e degli aspiranti membri».
Anche l’adesione dell’India al Quad, l’alleanza strategica creata con lo scopo di contenere le velleità espansionistiche cinesi in Asia orientale, sud-orientale e meridionale rivela le difficoltà di una vera coesione anche tra i membri fondatori Bric, come peraltro il dietrofront dell’Argentina con Milei, che ha ritirato la propria adesione e si è avvicinato agli Usa. Per questo i Brics tendono a essere cauti nella politica di allargamento ad altri Stati, anche se al vertice di Kazan nell’ottobre scorso erano presenti circa 30 Paesi oltre ai Brics+, molti dei quali hanno presentato domanda di adesione. Quasi certamente l’avvicinamento a questo nuovo soggetto geopolitico da parte del Sud Globale è stato favorito da almeno tre fattori: l’escalation delle tensioni politiche e militari degli ultimi 3 anni, l’ondata delle politiche sanzionatorie unilaterali dell’Occidente e il clima di incertezza sui mercati internazionali dovuta alla “guerra dei dazi”.
All’ordine del giorno dell’ultimo vertice annuale Brics di Kazan c’erano due macrotemi, suddivisi in due sessioni tematiche di lavoro: Rafforzare il multilateralismo per uno sviluppo globale equo e per la sicurezza e I Brics e il Sud globale, costruire insieme un mondo migliore.

Per quanto riguarda l’ampliamento a Kazan è stata accolta la proposta di mediazione della Russia che prevede «la creazione di un percorso a tappe intermedie verso lo status di membro effettivo, con l’istituzione delle categorie di Stati partner e Paesi interessati. È stato quindi concesso lo status di partner (associato esterno) a 13 richiedenti: Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Indonesia, Kazakistan, Malaysia, Nigeria, Thailandia, Turchia, Uganda, Uzbekistan e Vietnam». Di questi però solo 9 hanno formalizzato l’adesione. Notevole la slide della presentazione che evidenzia la ripartizione dei Paesi partner (aderenti o in procinto di adesione) nelle varie macroregioni mondiali. Che ruolo avranno gli associati esterni? Potranno presenziare ai summit ufficiali ai massimi livelli, partecipare a specifici progetti, aderire ad accordi di natura economica e finanziaria e cooperare su aree tematiche di interesse convergente, nella prospettiva di diventare membri effettivi in futuro.

Nel discorso di insediamento della Presidenza di turno brasiliana dei Brics+ del primo gennaio 2025, Lula ha delineato le priorità a medio-termine del nuovo aggregato geoeconomico: la riforma della governance internazionale e la creazione di meccanismi per facilitare il commercio tra i membri. Ha anche ribadito gli obiettivi già emersi nel vertice di Kazan e che molto probabilmente si concentreranno sul preannunciato sistema di pagamento alternativo allo Swift occidentale basato sul dollaro, il Brics pay. Questo sistema avvantaggerà le transazioni dei Paesi sotto sanzioni unilaterali statunitensi e vi potranno accedere anche quelli a cui è stata attribuito lo status di associato esterno. Sarà presumibilmente anche Cuba, partner Brics, a poterne approfittare per svincolarsi dalla crisi in cui si trova, dovuta al sessantennale bloqueo, ulteriormente inasprito dalle 242 misure restrittive messe in atto dalla prima Presidenza Trump (Andrea Vento).

La presentazione contiene grafici e Tabelle interessantissime tratte da fonti autorevoli, come il Sipri di Stoccolma, per quanto riguarda le spese militari ed è uno strumento formidabile per le lezioni di storia, relazioni internazionali, geopolitica e geografia economica.
A questo link si possono scaricare sia le presentazioni delle tre lezioni che le videoregistrazioni, oltre allo scritto degli interventi del prof. Picarelli.
Allo stesso link è possibile scaricare anche il secondo seminario dei Giga, relativo alle crescenti tensioni geopolitiche dello scacchiere Asia-Pacifico, con le relazioni di Giulio Chinappi, Andrea Vento e Alberto Bradanini.

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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