L’uguaglianza di genere è principio fondamentale con valenza globale, uno degli obiettivi più urgenti da raggiungere entro il 2030, come indicato dall’Agenda Onu 2030 sullo sviluppo sostenibile, ed è un principio che deve trovare assolutamente applicazione anche nell’ambito sportivo.
Lo sport, d’altra parte, rappresenta uno degli strumenti proprio per il raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile tanto che al paragrafo 37 della Dichiarazione introduttiva dell’Agenda Onu, viene riconosciuto come importante contributo alla realizzazione dello sviluppo e della pace dato che promuove tolleranza e rispetto e contribuisce al rafforzamento delle capacità delle donne e dei giovani, al miglioramento della salute, dell’istruzione e dell’inclusione sociale.
Non possiamo negare che progressi relativi alla parità di genere in ambito sportivo ci siano stati. Le recenti Olimpiadi di Parigi 2024 ne sono un esempio, dato che sono state le prime della storia ad aver raggiunto una completa parità di genere sul piano numerico, con 5250 uomini e 5250 donne partecipanti, e forte è stata l’attenzione al tema dell’emancipazione femminile. Per l’Italia, per la prima volta in un’edizione dei Giochi Olimpici estivi, sono le donne ad aver conquistato sette ori contro i tre maschili, a cui si sono aggiunti i due trionfi nelle competizioni miste.

C’è ancora, però, molto da fare e la parità di genere nel mondo dello sport è divenuta una delle priorità anche per la Rete per la Parità, l’associazione che presiedo, che ha dedicato un’apposita Area d’intervento proprio a Donne e sport e dal 2022 ha iniziato un percorso di attenzione e di studio su questo tema, organizzando tre eventi anche con la partecipazione di studenti e una mostra in una scuola romana. La nostra speranza è che questi incontri di confronto e di sensibilizzazione possano individuare una via verso un cambiamento culturale oltre che sociale, con il coinvolgimento delle scuole e delle giovani generazioni: anche nello sport per superare il divario di genere è necessario intervenire quando iniziano a delinearsi le primissime dinamiche di stereotipizzazione.
È evidente che prima inizia questo processo di riconoscimento e di rispetto reciproco e migliori saranno i risultati. D’altra parte è noto il peso psicologico della mascolinizzazione o della femminilizzazione di determinati sport, per cui sin dall’infanzia parte un condizionamento subdolo che spinge bambine e bambini verso attività sportive che convenzionalmente sono state ritenute maschili o femminili. Lo sport, inoltre, è stato per secoli palestra per la costruzione della mascolinità e quindi le donne, nel loro percorso sportivo, devono affrontare e gestire molti ostacoli culturali di genere. Le donne sono state giudicate troppo deboli per l’attività fisica e sportiva e anzi si sosteneva che lo sport nuocesse alla loro salute e capacità riproduttiva. Pierre De Coubertin, fondatore delle Olimpiadi moderne, affermava nel 1886, che «l’Olimpiade non è roba da donne» e nelle prime Olimpiadi moderne del 1896 ad Atene le donne non erano presenti come non lo erano state nelle Olimpiadi antiche.
L’inserimento dello sport nella routine quotidiana dovrebbe diventare un’abitudine, ragazze e ragazzi dovrebbero essere esortati a praticare più sport durante gli anni della scuola non solo per gli evidenti benefici fisici, ma come importante veicolo di inclusione e di partecipazione, considerando che con la recente modifica dell’articolo 33 della Costituzione lo sport è entrato nella nostra Carta fondamentale non solo come pratica fisica, ma come alleato dell’educazione, dell’inclusione sociale e del miglioramento del benessere.
Secondo I numeri dello sport 2022, indagine pubblicata dal Coni, lo sport italiano ha comunque ancora una forte impronta maschile e nel 2022, che pure ha fatto registrare un considerevole aumento di atleti tesserati, la quota delle atlete ha raggiunto il 31,3% contro il 68,7% degli atleti. Occorre quindi incentivare la pratica sportiva femminile come garanzia di una vita sana fisicamente e psicologicamente, ma come fare?
Naturalmente occorrerebbe soffermarci sulle note problematiche relative alla contrazione dei tempi delle donne e al loro impegno in compiti di assistenza e di cura, perché è evidente che un sostegno per promuovere un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata consentirebbe a tante donne di curare meglio la propria salute praticando attività sportiva, ma c’è anche altro. Nelle Conclusioni per combattere la discriminazione di genere nel settore sportivo, approvate a fine novembre 2023 dal Consiglio dell’Unione europea, si sottolinea l’importanza di garantire alle donne l’accesso a un ambiente sicuro, inclusivo e paritario, libero da qualsiasi forma di disuguaglianza, discriminazione o violenza. È importante, quindi, creare per le donne un ambiente inclusivo e gli interventi necessari per far questo spaziano dall’aumento della percentuale di donne in posizioni dirigenziali alla parità di retribuzione negli sport professionistici, all’adeguamento delle strutture e degli impianti in prospettiva di genere, alle pari opportunità di finanziamento, al maggior valore dei premi e dei benefit, a maggiori tutele per le atlete.
Altro aspetto importante da evidenziare è quello della copertura mediatica che dovrebbe essere più ampia e priva di stereotipi sulle competizioni sportive femminili. L’informazione, anche nello sport, ha un ruolo fondamentale per promuovere l’attività femminile e può essere determinante per superare discriminazioni e stereotipi, e modelli femminili rilevanti potrebbero ispirare più donne e ragazze a seguirne l’esempio. Ma i media spesso parlano e scrivono di atlete e donne di sport dando giudizi sull’apparenza anziché sulle prestazioni e sulle competenze sportive, valutazioni che difficilmente troviamo nel racconto riferito ad atleti. La rappresentazione delle donne nell’informazione sportiva è spesso deformata e le donne sono svantaggiate rispetto ai colleghi che praticano le stesse discipline, questione questa già evidenziata nel 1985 nella Carta dei Diritti delle donne nello Sport.
Le discipline sportive femminili, inoltre, dovrebbero avere una copertura mediatica pari a quelle maschili in termini di spazi e di collocazione oraria e anche analoghe sponsorizzazioni. Interessante è uno studio del 2016 condotto da esperti linguistici dell’Università di Cambridge che rileva come le parole usate per descrivere le donne nello sport sono spesso: anziana, più vecchia, incinta, sposata, non sposata, bella, bellissima. Per descrivere gli atleti maschi invece sono comunemente utilizzati aggettivi come: il più veloce, forte, grande, reale e fantastico. In pratica per descrivere le atlete si ricorre all’estetica e alla vita privata, mentre per descrivere gli uomini ci si sofferma sulle qualità sportive.
Altro aspetto da rilevare è quello del linguaggio per la maggior parte declinato al maschile. Il linguaggio forma il pensiero e con il linguaggio acquisiamo involontariamente e interiorizziamo stereotipi e pregiudizi associati a parole ed espressioni, è quindi ormai tempo di declinare al femminile anche nello sport i ruoli, le funzioni e le cariche e definire correttamente la centrocampista, l’arbitra, la dirigente, la presidente, la coach, l’allenatrice.
In fondo per superare pregiudizi e stereotipi occorrerebbe attenersi semplicemente alle regole della grammatica e di un buon giornalismo e quindi parlare e scrivere delle atlete come si parla e si scrive degli atleti.
Infine da non sottovalutare è la prevenzione delle molestie, degli abusi sessuali e della violenza sulle donne nello sport. Dalle statistiche risulta che circa il 21% delle donne ha subito abusi sessuali e molto spesso le atlete sono bersaglio di messaggi oltraggiosi sui social. Purtroppo la cultura sportiva risente di retaggi sessisti molto radicati e sussistono nello sport particolari relazioni assai complesse che possono portare a situazioni particolari. Vi è inoltre una obiettiva difficoltà a rilevare fenomeni di abusi e violenza contro le donne dato che non solo mancano sistemi di informazione, di sostegno e di tutela per chi denuncia, ma vi è una certa tendenza a oscurare questi fenomeni.
Il problema della violenza è però tanto rilevante da aver indotto recentemente l’Unesco a pubblicare un manuale proprio sull’argomento con l’intento di approfondirne la conoscenza e supportare lo sviluppo di politiche efficaci per agire con urgenza non solo in difesa delle atlete di alto livello, ma anche di quelle a livello dilettantistico.
Per concludere credo di poter affermare che i problemi di genere esistono in tutti i campi e anche nel mondo dello sport, sono conosciuti ma occorre molto impegno per ottenere risultati concreti e consentire a ragazze e donne una vita armoniosa e gratificante anche nello sport. Agendo, però, sulle fasce giovani e sull’istruzione, pretendendo una copertura mediatica adeguata e un’informazione rispettosa del genere, i risultati non potranno che essere positivi.
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Articolo di Patrizia De Michelis

Interessata alle problematiche femminili e alla tutela dei diritti delle donne, è presidente della Rete per la Parità-APS. Laureata in Giurisprudenza, già dirigente della P.A., è stata vicedirettrice di una Direzione generale del Ministero della Difesa. Ha svolto attività di docenza presso Scuole civili e militari della Difesa, autrice di lavori nell’interesse del servizio, e relatrice a seminari e conferenze.
