Come è successo nel film Mamma ho perso l’aereo così è iniziata la nostra avventura in Giordania nel dicembre ’19. L’aereo delle ore 6,30 è stato perso per la nostra noncuranza degli avvisi che chiamavano il volo per Amman. Le nostre due valigie erano state lasciate a terra e noi, increduli e disorientati, insieme a loro. Chiedendo informazione abbiamo saputo che il giorno dopo partiva un volo per Aqaba a soli 10 euro. Tornati a casa abbiamo contattato l’agenzia con la quale avevamo prenotato il viaggio e abbiamo ottenuto un’inversione di programma: invece che da nord, avremmo iniziato da sud, con qualche spostamento di data negli alberghi e con il volo di rientro da nord, da Amman. L’auto con navigatore che era parte del pacchetto ci avrebbe atteso ad Aqaba il giorno dopo e così è stato.
L’arrivo ad Aqaba è stato bellissimo perché il cielo sereno permetteva la vista del deserto con le sue dune increspate che arrivano fino alla città; è il deserto che avremmo visitato qualche giorno dopo, anzi nel quale avremmo pure dormito. Aqaba è sul mar Rosso, ma che non è di gran bellezza in quel punto, il bello del mar Rosso è molto più a sud. Il nostro albergo offriva una prima colazione magnifica, la migliore che ci era mai capitata, con frutti esotici e salse deliziose. La macchina a noleggio ci permetteva di vedere il paesaggio e visitare i dintorni; una strada conduceva al confine con l’Arabia Saudita, un’altra sarebbe entrata nel deserto e l’avremmo fatta il giorno seguente e una terza conduceva al vicino confine con Israele con la sua città meridionale, Elat. Forte la tentazione di andarla a visitare, così ci dirigemmo alla frontiera che era frequentata dai giordani frontalieri che andavano a lavorare là ogni giorno, specie le donne per le pulizie degli alberghi. Controlli severi, si passava senza automobile, ma subito oltre il confine diversi taxi attendevano i turisti. Noi siamo stati ingaggiati da un autista che ci ha convinto a salire sul suo taxi per un tour nel deserto israeliano, una zona famosa perché lì vi erano le miniere di re Salomone.

Il cielo terso, il deserto roccioso e la visita al sito archeologico del Timna park con le antiche miniere di rame non erano da perdere. L’erosione dell’acqua e del vento aveva creato diverse formazioni insolite di pietra e sabbia che si trovano solo in climi simili. Sebbene prevalentemente rossa, la sabbia può essere gialla, arancione, grigia, marrone scuro o nera, verde chiaro o blu, quando è vicino alle miniere di rame. Abbiamo acquistato dei vasetti di sabbia variopinta per fare piccoli regali. Il taxista ci ha riportato alla frontiera, giusto in tempo per essere in Aqaba per la cena, naturalmente a base di pesce.
Il giorno seguente avevamo in programma la salita verso nord sulla strada che si inoltra nel deserto del Wadi Rum, detto anche Valle della Luna, patrimonio dell’umanità. È una valle, uadi, scavata nei millenni dallo scorrere di un fiume nel suolo sabbioso e di roccia granitica, a 60 km circa a est di Aqaba. La strada entra nella vallata desertica, con rare abitazioni con gruppi di dromedari assonnati qua e là, ma ecco all’improvviso, in lontananza apparire la vista di un vecchio treno a vapore inglese: quello di Lawrence d’Arabia, reso famoso dal film del 1962, che proprio in questa valle ha visto le principali riprese.
Proseguendo siamo giunti alla nostra destinazione, il villaggio di tende a ridosso delle rocce che ospitano i viaggiatori fornendo vitto e alloggio.

Siamo stati ben accolti e sistemati nella nostra tenda che era tutta tappezzata con tappeti di lana molto colorati, con i servizi interni, mentre una grande tenda centrale fungeva da ristorante. Una terrazza con comode sdraio e tavolini permetteva di gustare il panorama del deserto a perdita d’occhio.

Mentre mio marito si gustava una bevanda, io ho sentito il richiamo del deserto e mi sono allontanata sapendo che lui dalla terrazza poteva vedermi, nel caso mi fossi persa. Non era la prima volta che camminavo liberamente nel deserto, dove non ci sono tracce da seguire, dove ognuno fa veramente la sua strada, un passo dopo l’altro. Camminavo sotto il sole con una temperatura gradevole, accompagnata da un leggero venticello che muoveva i cespugli secchi. Lo spazio e il tempo si perdono ed emergeva in me il piacere della libertà come fossi tornata bambina. In lontananza il villaggio di tende mi faceva da riferimento, da porto sicuro, non mi ero persa. Al ritorno il pranzo era pronto e lì ci dissero che verso sera avremmo assistito alla preparazione della cena tipica dei beduini che si prepara all’aperto in una buca nel terreno che funge da luogo di cottura.
Nel pomeriggio con una jeep siamo andati nel deserto a vedere le incisioni rupestri fatte dai Thamudeni e dai Nabatei.

Fra queste rocce visse Lawrence d’Arabia, quello vero, che qui scrisse il suo famoso libro e proprio qui, sotto una tenda, ci hanno offerto il the nel deserto, come nella scena di un altro famoso film. Il nostro viaggio è proseguito, il giorno dopo, per quella che è la meta più nota della Giordania, Petra, capitale dei Nabatei, in seguito dimenticata per secoli e poi rivelata agli occidentali dallo svizzero Burckhardt nel 1812 e divenuta Patrimonio dell’umanità nel 1985 e nel 2007 dichiarata una delle sette meraviglie del mondo moderno. L’abitato accanto al sito archeologico è arroccato su un’altura di circa 900 metri che non facilita l’arrivo dei molti turisti. Si raggiunge il sito dove le arenarie hanno una variazione del colore, con sfumature dal giallo ocra al rosso fuoco, al bianco, dovute alla diversa concentrazione degli ossidi durante il lungo processo di consolidamento, si percorre il canalone dove le tombe sono scavate sui fronti rocciosi delle montagne. Ma poi, dopo i 2 km di siq, ecco lo sbocco di Petra, che appare come un miraggio alla fine dello stretto canyon come montagna scolpita, che amplifica l’attesa e la curiosità e supera ogni più alta aspettativa.

È un gioiello storico e architettonico di 25 chilometri quadrati, fatto di scoperte e spiritualità, accompagnati in ogni tappa dal calore e dall’accoglienza di un popolo gentile e speciale. Proseguendo vi è un lungo cammino, disseminato di bancarelle dove ho comprato l’incenso in grani e le stampe d’epoca, che conduce a una chiesa bizantina e, sopra una lunga scalinata, a un altro monumento nabateo e a una strapiombo che si affaccia sul territorio israeliano.

La visita di Petra è impegnativa, molto emozionante e comprende anche un museo contenente parecchi reperti dei nabatei e delle loro usanze di vita. Nel nostro programma vi era anche un trekking naturalistico nella biosfera di Dana, un antico villaggio che dà nome al fenomeno geologico. Qui ci attendeva un giovane uomo che ha il compito di accompagnare i visitatori lungo un sentiero in zona montuosa per mostrare la particolarità dalla zona: quattro climi differenti si susseguono nello stesso canyon con diverse vegetazioni e diverse specie animali, tipici dei vari ambienti. A un certo punto ci ha fatto fermare e ha estratto dal suo zaino l’occorrente per fare il the, bevuto con quella vista mozzafiato.

Dopo questo paesaggio si pensa di non avere altro da visitare in Giordania, ma non è così; ci attendeva Madaba, verso nord, a 35 km da Amman e sede di una delle dodici tribù di Israele, poi conquistata dai greci di Alessandro Magno e in seguito dai romani, poi dagli arabi e ripresa dai cristiani nel XIX secolo. Qui abbiamo visitato la chiesa greco-ortodossa di San Giorgio che conserva una parte di un antichissimo e prezioso mosaico sul pavimento, chiamato Mappa di Terrasanta del 560 d.C., raffigurante le città allora conosciute con al centro Gerusalemme. Ho trovato uno scaffale con molti libri in lingua araba, per seguire la liturgia religiosa, e ho quindi scoperto la presenza della comunità cristiano-araba più numerosa della Giordania. Amo molto il mosaico e abbiamo visitato uno dei laboratori che ancora oggi producono i mosaici.

Per scaldarci di sera ci siamo rifugiati in un locale tipico e abbiamo gustato il Sajieh, carne servita sopra un fornellino di ghisa. Il giorno dopo, prima di giungere ad Amman, d’obbligo è stata la sosta al monte Nebo, luogo sempre battuto dal vento, memoriale di Mosè che morì prima di entrare nella Terra Promessa. L’arrivo ad Amman, che significa “casa del dare”, è stato particolarmente impressionante per noi, per la grande massa di costruzioni della città, tutte dello stesso colore, il bianco della pietra locale. Qui le donne godono di una libertà superiore rispetto alla maggior parte dei Paesi musulmani della regione. Non solo possono votare, guidare ed esercitare la loro professione in totale autonomia, ma possono anche ricoprire incarichi di spicco in tutti i principali organi governativi ed economici. Il nostro albergo era infatti gestito da due donne. La visita della città ha richiesto un taxi per districarci nel traffico; da vedere c’è la cittadella di Amman con i suoi siti degni di nota quali Palazzo degli Omayyadi, il Tempio di Ercole e la Chiesa Bizantina e il teatro romano, costruito su tre lati della collina nel II secolo d.C. Abbiamo visitato il Museo Archeologico Giordano con pezzi molto rari, situato in cima alla Cittadella di Amman. Nel teatro si stavano svolgendo le prove di uno spettacolo e io che amo recitare ho gustato particolarmente la scena con i giovani attori e attrici.
Da Amman sapevo che non era lontana la località di Betania sul fiume Giordano, luogo del battesimo di Gesù da parte di Giovanni il Battista. Il navigatore che avevamo in macchina dava più località con quel nome, quindi è stato facile perderci. Voglio qui ricordare un episodio per me significativo. Ci siamo avvicinati a un cancello di Amman per chiedere informazioni a una donna che stava sistemando il suo giardino; ma non possedendo né io, né lei un buon inglese non riuscivamo a capirci. Lei ha voluto farci entrare in casa sua perché il figlio ci avrebbe aiutato. Come sono entrata in casa, accorgendomi della presenza di un presepe, le ho chiesto «Are you christian?» e lei guardandomi mi risponde di sì, spontaneamente ci siamo abbracciate commosse. Il figlio ci ha dato le indicazioni corrette per la strada e siamo arrivati a Betania. Non si può giungere al fiume col proprio mezzo, ma con un pullmino che raccoglie i visitatori.

Il Giordano è un fiumiciattolo di scarsa portata; ci sono gradini per chi vuole scendere a bagnarsi. Ho visto la sponda opposta dove mi ero trovata qualche anno prima, stesso luogo, ma dalla parte israeliana. Qui, sul lato giordano, vi sono alcune chiese ortodosse di grande valore.
Per l’ultima tappa giordana abbiamo visitato Jerash, importante sito archeologico romano in ottimo stato di conservazione, per il fatto che è rimasta sotto la sabbia e ciò ha impedito l’utilizzo dei materiali da riporto, come avveniva in ogni altro luogo nel passato. Si cammina su strade lastricate, affiancate da colonnati e templi in cima ad alture, a meravigliosi teatri, a spaziose piazze pubbliche, a bagni termali, a fontane e mura interrotte da torri e porte cittadine.


La città ci ha lasciati a bocca aperta. Il viaggio in Giordania ci ha veramente soddisfatti e, consegnate le chiavi dell’auto, l’autista dell’agenzia ci ha accompagnati all’aeroporto per il ritorno a casa.
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Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.
