L’Armenia è uno Stato con circa tre milioni di abitanti, di cui un terzo vive nella capitale Erevan, la città di gran lunga più popolosa. Basti pensare che la seconda città, Gyumri, ha circa 145 mila abitanti. Questo rende Erevan un esempio rappresentativo dell’intera Armenia.
Dall’analisi dell’odonimia della città è risultato che su 784 odonimi soltanto 27 sono dedicati alle donne e, tenendo conto che Erevan è la città più moderna del paese, probabilmente nelle altre città la percentuale di odonimi femminili è ancora minore.

Nel caso in cui vi trovaste a Yerevan ecco un itinerario lungo le 27 vie femminili della capitale in grado di farvi apprezzare la città e di immergervi nella cultura armena attraverso le storie di alcune donne celebri. Sono cinque le strade dedicate alle donne politiche e attiviste (Sose Mayrik, Rosa Luxemburg, Diana Abgar, Gohar Gasparyan e Silva Kaputikyan), sei alle letterate (Armenuhi Tigranyan, Elen Byuzand, Maro Margaryan, Silva Kaputikyan, Zapel Yesayan, Shushanik Kurghinyan), quattro alle artiste (Arpenik Nalbandyan, Aytsemnik Urartu, Tereza Mirzoyan, Ruzan Kurchyan), uno all’architetta Anna Ter Avetikyan, uno alla medica e missionaria Maria Jacobsen e otto alle donne di spettacolo (Gohar Gasparyan, Hasmik, Lusine Zakaryan, Metaksia Simonyan, Svetlana Grigoryan, Varduhi Varderesyan, Arus Voskanyan, Elvina Makaryan), di cui si parlerà in un successivo articolo.
Iniziando il nostro viaggio dal centro della città, lungo corso Bagramyan dove si trovano i palazzi del Parlamento e della Presidenza della Repubblica, troviamo la via dedicata a Silva Kaputikyan (1919-2006), celebre poeta e attivista politica armena, dove sorge la sua casa museo.

Silva Kaputikyan ha ricevuto vari premi internazionali, tra cui il premio italiano Nosside nel 1989. Il premio Nosside è un concorso internazionale di poesia che si svolge annualmente a Reggio Calabria; nato nel 1983, nel nome ricorda la poeta dell’antica Grecia Nosside e mira a promuovere la poesia senza limiti di lingua o forma espressiva. I genitori di Silva erano rifugiati fuggiti da Van, nell’attuale Turchia orientale, in seguito al genocidio armeno il cui calvario è stato descritto dalla stessa poeta Silva in La mia nostalgia (Hin karote) del 1992. Suo padre, lavoratore nel settore dell’editoria nazionale, fu assassinato nel 1920. Kaputikyan crebbe a Erevan dove trascorse tutta la sua vita.

A tredici anni scrisse la sua prima poesia, pubblicata sul quotidiano Appello del pioniere (Պիոներ կանչ). Silva Kaputikyan negli anni, a partire dal 1962, ha visitato molte comunità armene sparse in varie zone del mondo tra le quali l’Egitto, l’Etiopia, il Nord e il Sud America, nazioni europee come la Germania, l’Austria e la Francia, le complesse aree del Medio Oriente come Iran, Libano, Siria e Gerusalemme, stringendo ogni volta rapporti con i rappresentanti della diaspora e divenendo per loro e tutto il popolo armeno una figura popolare, soprattutto grazie alla poesia Ascolta, figliolo, riconosciuta come una delle poesie più famose di Kaputikian. Ha scritto di vari temi denunciando ogni volta il dolore, la nostalgia, il senso di alienazione che stringevano l’animo del popolo armeno, costretto dalla diaspora a combattere contro il declino della propria lingua, per l’autoconservazione e la ricerca dell’identità, per il riconoscimento del genocidio armeno. Kaputikian è apparsa, interpretando se stessa, in un documentario di Michail Vartanov del 1992 intitolato Parajanov: The Last Spring e dedicato al regista armeno Sergei Paradžanov, nato nel 1924 e morto nel 1990.
Da via Silva Kaputikyan, risalendo il corso fino alle scale che portano all’Università Americana, si scopre un incantevole parco di forma triangolare, dal cui vertice settentrionale parte un vicolo dedicato a Sose Mairik (1865-1952), un’attivista armena del movimento di liberazione nazionale dall’Impero Ottomano.


A soli tredici anni si sposò con un uomo destinato a diventare un famoso combattente per la libertà, Serob Aghbyur. Sose non esitò ad accompagnare e affiancare il marito durante la resistenza nella selvaggia e aspra regione degli altopiani armeni. Per otto ore Serob e Sose combatterono contro il nemico per difendere le loro posizioni, ma alla fine un proiettile turco pose fine alla vita dell’uomo. Sose, con il cuore spezzato, imbracciò il suo fucile e continuò a combattere, dimostrando un coraggio straordinario. Nonostante il loro coraggio, i turchi ebbero la meglio e riuscirono a conquistare la montagna, decapitando infine il corpo senza vita di Serob e catturando Sose ormai esausta. Dopo un periodo di detenzione, fu liberata e visse il resto della sua vita in esilio, prima nel Caucaso, poi a Costantinopoli e infine ad Alessandria d’Egitto dove morì nel 1952. Il popolo armeno non ha mai dimenticato il suo coraggio e su di lei sono state composte numerose canzoni. Sose Mayrik rimane ancora oggi un simbolo di resistenza e di amore incrollabile per la propria terra e il proprio popolo.
Non lontano dall’Università si incrocia via Gohar Gasparyan (1924-2007) dedicata a una celebre cantante lirica soprannominata l’“usignolo armeno”.

Nata al Cairo nel 1924, nel 1948 emigrò in Armenia dove divenne una delle principali voci del Teatro nazionale dell’opera e del balletto. Oltre alla sua carriera artistica insegnò al Conservatorio di Erevan, contribuendo alla formazione di nuovi talenti. Nel 1998 recitò la parte di Anush nell’omonima opera lirica, la prima scritta secondo i canoni del linguaggio musicale popolare armeno e basata su un poema di Hovhannes Tumanyan. Fu anche deputata del Soviet Supremo dell’URSS dal 1966 al 1974.
Da qui, passando accanto alla casa museo di Charles Aznavour, si accede alla cosiddetta “Cascata”, una monumentale scalinata in pietra calcarea che unisce il centro cittadino al parco della Vittoria, sulla cui cima è posta una statua femminile di 22 metri che rappresenta la “madre Armenia”. La statua andò a sostituire, nel 1967, un precedente monumento dedicato a Stalin.

Dal parco della Vittoria, la nostra passeggiata immaginaria prosegue verso le vie intitolate ad altre donne straordinarie, come Maria Jacobsen (1882-1960).


Jacobsen era una missionaria danese e una testimone chiave del genocidio armeno che mise in forma scritta ciò a cui aveva assistito. I suoi Diari di una missionaria danese: Harpoot, 1907–1919 sono documenti di estrema importanza per l’indagine storica sul genocidio, come ha dichiarato Ara Sarafyan, uno storico britannico di origine armena, direttore e fondatore del Gomidas Institute di Londra, che aiuta e conduce ricerche pubblicando testi sull’argomento. Jacobsen è conosciuta come “Mayrik” (in armeno: madre) per gli aiuti umanitari nei confronti della popolazione armena e per aver salvato molti uomini e donne durante il genocidio.


Svetlanna Grigoryan (1930-2014) fu un’attrice armena molto conosciuta per i suoi ruoli comici, come Roza in Taxi, Taxi e Satenik in Mia suocera che interpretò soprattutto presso il Teatro statale della commedia musicale Paronyan. Il successo raggiunto e il contributo allo sviluppo dell’arte teatrale le valsero nel 2011 un’importante onorificenza da parte della Presidenza della Repubblica.


Armenuhi Tigranyan (1888-1962) è stata una poeta, critica letteraria e pubblicista. Oltre alla sfera letteraria, Armenuhi Tigranyan ha svolto un intenso lavoro sociale: lavorando come insegnante nelle scuole armene di New York, New Jersey e Long Island, per circa trent’anni ha diffuso la lingua e la letteratura armena tra le nuove generazioni contribuendo a mantenere viva la cultura anche tra quei e quelle giovani che in Armenia non erano nate. Lo scrittore e poeta armeno Yeghishe Charents (1897-1937), considerato uno dei principali poeti del XX secolo, le dedicò nel 1920 una raccolta di poesie intitolata Il vostro profilo smaltato.


Elen Byuzand è un’altra scrittrice e poeta che fece parte del partito politico rivoluzionario e che per questo motivo venne imprigionata. Nel 1918, con l’inizio della Rivoluzione d’ottobre, partecipò alla battaglia di Sardarapat durante la Campagna del Caucaso nella Prima guerra mondiale. Essendo Sardarapat a soli quaranta chilometri dalla capitale armena Erevan, la battaglia non garantì solo l’arresto dell’invasione turca, ma la sopravvivenza stessa della nazione. Con la presa del potere da parte dei bolscevichi, Byuzand, in quanto sostenitrice dell’indipendenza armena, fu arrestata nel 1920 e incarcerata prima nella prigione della Cheka, la polizia segreta, e poi in quella centrale di Erevan, da cui uscì nel 1921. Nel 1965 furono pubblicate le sue memorie sul periodo di detenzione con il titolo Le donne armene nella prigione della Cheka di Erevan, in cui ha raccontato le crudeltà e il trattamento disumano subito.


Scendendo la scalinata, da cui si può ammirare il monte Ararat, montagna sacra per il popolo armeno oggi in territorio turco, e dirigendosi su corso Maŝtoč, troviamo un altro parco intitolato a Diana Abgar (1859-1937). Diana fu una scrittrice e filantropa armena legata alla diaspora , nominata nel 1920 console onoraria della Repubblica di Armenia in Giappone. Dopo la conquista dell’indipendenza, il 28 maggio 1918, nessuno Stato internazionale riconobbe la nuova Repubblica. Tuttavia, grazie agli instancabili sforzi di Diana Abgar, il Giappone fu una delle prime nazioni a riconoscere l’indipendenza dell’Armenia e lei divenne non solo la prima donna agente consolare del nuovo Stato, ma anche una delle prime a ricevere un incarico diplomatico nel XX secolo. Il suo mandato fu però molto breve e terminò quasi subito in seguito alla caduta della Repubblica. Eppure il suo coraggio e la sua tenacia ne hanno fatto una protagonista.
In copertina il monumento Madre Armenia.
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Articolo di Syuzanna Bozoyan

Traduttrice freelance con una laurea in lingue straniere conseguita a Erevan. Attualmente sta completando la laurea magistrale in linguistica presso l’Università di Pavia, portando con sé la passione per le lingue e una competenza nel campo della traduzione.
