Diario di guerra. Vita immaginaria di Enrica Calabresi

In occasione del Giorno della memoria in molte città si sono tenute celebrazioni, ricordi, proiezioni, spettacoli spesso con l’opportuna partecipazione di scolaresche che è sempre bene abbiano una visione chiara e completa di ciò che avvenne. Particolarmente preziose ed efficaci sono state le brevi trasmissioni televisive di Caro marziano, realizzate da Pif in modo esemplare portandoci con grande commozione ad Auschwitz-Birkenau, nel giardino presso Amburgo in memoria di 20 bambini uccisi barbaramente (fra cui il piccolo Sergio De Simone) e a incontrare alcuni sopravvissuti, come Sami Modiano e le sorelle Bucci. Raccomandabile il bellissimo corto su RaiPlay intitolato Un nome che non è il mio, per la regia di Dario Piana, in cui si ricorda la nobile figura di Irena Sendler (1910-2008). Esperienze che dovrebbero essere inserite nelle lezioni scolastiche e che da docente ogni anno non mancavo di sottolineare, grazie anche alla visita del Museo della Deportazione e della Resistenza di Prato, in località Figline.

Fra gli eventi in Toscana mi è sembrato significativo e forse più originale di altri quello che si è tenuto a Pistoia, presso Il Funaro, uno spazio polivalente ricavato da una vecchia manifattura di cordami che da qualche anno è dedicato alla cultura, alle arti, allo spettacolo, alla ricerca. Il 26 gennaio qui è stata ricordata una figura ancora poco nota di scienziata vittima delle persecuzioni razziali: Enrica Calabresi.

Su Vitamine vaganti se ne era occupata sinteticamente Francesca Ricci (n. 170) a proposito dell’odonomastica di Pisa, ma è venuto il momento di ampliare le nostre conoscenze e di far rivivere questa donna coraggiosa. È stata scelta una forma di spettacolo in musica con testo scritto da Isotta Toso, dal titolo Diario di guerra. Vita immaginaria di Enrica Calabresi, per la regia di Stefano Cioffi e le musiche eseguite dal vivo di Gabriele Coen al sax e clarinetto e Riccardo Battisti alla fisarmonica; l’attrice Alessandra Evangelisti ha interpretato con grande sensibilità la studiosa. L’evento era inserito nel programma più ampio di lezioni, incontri, spettacoli denominato “Le parole di Hurbinek-Giornate della memoria”, rassegna ideata e diretta a Pistoia dallo storico Massimo Bucciantini. Hurbinek, si ricorderà, è il bambino senza famiglia, senza voce, senza nome, nato e morto ad Auschwitz la cui breve esistenza ci è nota grazie al toccante ricordo di Primo Levi che ne parla in due suoi libri: I sommersi e i salvati e La tregua.

Ma chi era Enrica Calabresi? Il suo nome è rimasto a lungo dimenticato, non tanto come illustre zoologa (fu la prima docente donna a insegnare alla Facoltà di Agraria a Pisa), ma piuttosto come innocente bersaglio delle leggi razziali; infatti non fu deportata e non compare in alcuna lista di vittime della Shoah, eppure… Si deve, come spesso succede, a due studiose, a loro volta scienziate, Marta Poggesi e Alessandra Sforzi, se su di lei si sono accesi i riflettori della memoria e della storia.

Era nata il 10 novembre 1891 a Ferrara, quarta figlia di una famiglia colta e benestante, di religione ebraica di origini sefardite; brillante studente, conosce tre lingue (inglese, francese, tedesco), si diploma in anticipo e si laurea con lode in Scienze naturali a Firenze, nel 1914. La sua tesi sarà pubblicata e intanto inizia a collaborare con la rivista Archivio Zoologico Italiano. Viene assunta come assistente al Museo di Storia naturale “La Specola” a fianco del fidanzato, lo speleologo e botanico di Udine Giovanni De Gasperi, che di lì a poco muore al fronte mentre combatte come ufficiale degli alpini nella Grande guerra.

Ritratto giovanile

Enrica aveva già preparato l’abito da sposa e da quel momento abbandonerà alcune frivolezze, come cappelli a larga tesa e ombrellini graziosi, dedicandosi all’amato nipote Francesco, orfano di madre, e alla scienza, trasformandosi in una donna austera, ma non autoritaria, come riferisce una sua allieva. «Appassionava con le sue spiegazioni, però non l’ho mai vista scherzare», afferma. Enrica parte a sua volta come infermiera volontaria della Croce Rossa e, al rientro, due anni dopo, riprende gli studi, specie nel campo dei coleotteri Brentidi di cui è fra i massimi esperti.
Vince il concorso come conservatrice al museo Doria di Genova, ma rinuncia preferendo rimanere a Firenze. Mostra tutta la sua competenza ed eccelle anche nella carriera universitaria, diventando docente in Zoologia e pure segretaria della Società Entomologica Italiana, collabora con l’enciclopedia Treccani, ottiene riconoscimenti all’estero per le sue pubblicazioni in inglese.

Coleotteri disegnati da Enrica Calabresi

Nel 1932 avviene un fatto increscioso, probabilmente la vita in facoltà è diventata difficile e a lei viene preferito un collega di provata fede fascista, tale Lodovico Di Caporiacco, ben presto fautore delle più bieche teorie razziste. Enrica si dimette, e il fatto richiama alla mente ciò che accadde a un’altra insigne studiosa, la papirologa Medea Norsa (1877-1952). Per non rientrare in famiglia e volendo mantenere la propria autonomia, Enrica deve iscriversi al Partito fascista, così comincia a insegnare in un liceo, dove nel 1937 ha fra le allieve Margherita Hack, che le sarà sempre debitrice per più aspetti, compreso l’antifascismo: «Una donna estremamente timida, che chi, come me, ha conosciuto solo come la professoressa di scienze: una figura di cui ci si sarebbe dimenticati facilmente, se non fosse per il fatto di essere stata colpita da quella ingiustizia disumana che furono le leggi fasciste sulla difesa della razza ariana. Infatti Enrica Calabresi si era macchiata della grave colpa di essere ebrea».

Calabresi, pur continuando a risiedere a Firenze e a insegnare al liceo Galilei, viene nominata per il biennio 1936-38 professoressa incaricata di Entomologia agraria e direttrice del neocostituito istituto alla Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa. Con le leggi razziali, tuttavia, viene dispensata da qualsiasi attività didattica, può solo insegnare alla scuola israelitica come altri colleghi e colleghe di fede ebraica. Anziché fuggire in Svizzera come la sua famiglia o in Gran Bretagna oppure nascondersi, preferisce non lasciare la sua classe e non mettere in pericolo altre persone, così nel gennaio 1944 viene catturata da milizie nazi-fasciste e condotta nel carcere fiorentino di Santa Verdiana per essere deportata ad Auschwitz. Il 20 gennaio muore, dopo una lunga agonia, per aver ingerito il contenuto di una capsula di fosfuro di zinco, potentissimo pesticida che portava sempre con sé, decisa a utilizzarlo in caso estremo. È sepolta nel cimitero israelitico di Rifredi; sulla lapide la scritta “Shalom.”

Negli ultimi anni si stanno moltiplicando concreti segnali per ricordarla: nel 1999 il suo nome è stato dato a un coleottero; nel 2006 è uscito il libro Un nome di Paolo Ciampi, con prefazione di Margherita Hack, da cui è stato poi tratto lo spettacolo teatrale Un nome nel vento; del 2019 è il documentario Una donna. Poco più di un nome di Ornella Grassi, premio Gilda al Festival Internazionale di Cinema e Donne.

Un nome, copertina

Nel novembre del 2020 un bell’albero di ginkgo biloba è stato piantato in piazza D’Azeglio a cura del Comitato Pari opportunità dell’ordine delle Avvocate e degli Avvocati di Firenze, con l’augurio che metta radici profonde e tenga viva la memoria di questa scienziata altruista e coraggiosa.

Firenze, albero piantato in ricordo di Enrica

Nel febbraio del 2024 le è stata dedicata in via del Proconsolo, dove viveva, una pietra d’inciampo e le è stato intitolato il reparto di Entomologia alla Specola, anche a Pisa viene ricordata sia con una strada sia con l’aula storica di Entomologia alla Facoltà di Agraria, dove insegnò. Abbiamo appurato che un parco a Jesi e una via a Ferrara portano il suo nome, un’altra si trova a Roma, venendo a sostituire l’intitolazione a uno scienziato fascista; ne parla un bel servizio Rai su Sorgente di vita (2019-20) a cui rimandiamo.

Jesi, parco Enrica Calabresi

“Shalom”, ci sentiamo di augurarle, quella pace di cui alcuni esseri umani avrebbero voluto privarla con l’internamento nel lager e che lei scelse di trovare, consapevole di ciò che l’attendeva.

In copertina: Firenze, pietra d’inciampo.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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