Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più assoluto del reame?
Spogliato dei vestiti e della sua imperiosità, lui se ne sta lì fermo, più piccolo, arrabbiato e fragile di quanto non sia mai stato; la superficie riflettente, che fino a poco tempo fa gli restituiva l’ideale immaginario di sé, si è sgretolata in mille pezzi per ricostruirsi nuova: da oggetto si è fatta ora soggetto. Imperterrito, lui continua a interrogarla, a pregarla di continuare a rispondergli: «Sei tu, uomo, il più assoluto del reame». Ma lei tace.
L’una di fronte all’altro si guardano nella loro differenza. Nei frammenti di vetro sparsi, come cuticole lasciate a terra dal bruco che si fa crisalide, l’uomo cerca pezzi di sé, chinandosi in una ricerca spasmodica di identità. Lei lo guarda dall’alto; la gamba ritorna ritta e pensa: che questa volta si faccia da sé!
La prima crepa sembrò l’esito della beccata sul guscio: una piccola fessura fece entrare la luce.
«Z., il più umano e il più modesto degli uomini, prendendo un libro di Rebecca West e leggendone un paragrafo esclamò: “Femminista sfacciata! Dice che gli uomini sono degli snob”».

Il viso di Virginia, stropicciato dalla mano su cui poggiava, si alzò improvvisamente mostrando il mento sottile. Gli occhi e il corpo lo seguirono in quel gesto di svelamento; il guizzo della carne fu il riflesso materiale di quello della mente: la verità si palesava a lei chiara e limpida come mai prima d’ora. L’esclamazione di Z., «grido della vanità ferita e protesta contro qualche infrazione della sua facoltà di credere in sé stesso», era la conferma che la vita reale offriva a sostegno della sua osservazione: per generare fiducia in noi stessi/e dobbiamo pensare che gli altri siano inferiori. Per anni le donne avevano avuto la «funzione di specchi dal potere magico e delizioso di riflettere raddoppiata la figura dell’uomo»: nella loro inferiorità esse permettevano alla controparte maschile di coltivare e rinsaldare il proprio senso di superiorità. Come il padrone con lo schiavo, gli uomini erano riusciti a impadronirsi della stampa, della politica, dell’economia e del mondo, solo rispecchiandosi nell’immagine rimpicciolita e subalterna dell’altra. Napoleone e Mussolini hanno insistito «tanto enfaticamente sull’inferiorità delle donne perché, se esse non fossero inferiori, cesserebbero di ingrandire loro».
Mentre Virginia guarda il signor Z., turbato e irrequieto sulla sedia di velluto verde, lo immagina con la camicia nera e il braccio rigido proteso in avanti davanti a una folla di donne che inneggiano al suo nome e che ne adulano la grandezza; ma è solo un istante illusorio che ben presto cede il passo a un esercito femminile che finalmente comincia a dire la verità e a rompere gli specchi che poggiano sui loro petti. Da domani l’uomo non riuscirà più a vedersi due volte più grande di quanto è veramente. Virginia sorride.
Come in una corsa a staffetta, Luce corre veloce con il testimone in mano; mentre taglia l’aria col cilindro, un’altra crepa compare sullo specchio.
I metri percorsi sono serviti a svelare il servizio identitario che abbiamo offerto agli uomini per tutti questi anni; abbiamo lasciato che si guardassero e che ci guardassero; ora vogliamo essere viste.

Luce abbandona lo specchio, l’esperienza del rispecchiamento infantile che i suoi predecessori hanno teorizzato per sanzionare lo status superiore del maschio e quello inferiore della femmina, e afferra lo speculum. Lo strumento usato dai medici per l’ispezione vaginale, per guardare dentro l’organo genitale femminile, si contrappone alla superficie riflettente e permette di ribaltare l’assunto per cui il fallo è pieno, l’attività, il tutto e la vagina la passività, il vuoto, il niente. La donna dello speculum, disconosciuta rispetto a quella dello specchio che offre l’immagine invertita e rassicurante che l’uomo desidera, consente di rilevare la diversità della sessualità femminile, mostrando la vacuità delle riflessioni che ne fanno mancanza o negazione del fallo.
La marginalizzazione e il disconoscimento di questo corpo, che ha portato alla rimozione della differenza, hanno storpiato il conosciuto e il conoscibile, asservendo a questa distorsione anche il linguaggio. «Tutto il corpo parlante del soggetto […] è strutturato archeologicamente da un linguaggio già parlato. Fargli intendere che il linguaggio deve, o può, essere modificato equivale a chiedergli di modificare il suo corpo, la sua carne. Si comprende così la resistenza a tutte le scoperte che sconvolgono il linguaggio: è l’impossibilità di accettare […] che il discorso è monosessuato e che bisogna lasciare posto, luogo a un altro discorso diversamente composto».
Dallo specchio, solo in quella stanza senza confini, circondato dal nero abissale, cominciano a cadere scaglie vitree sempre più grandi. A frantumarsi sono i grandi tasselli della storia, della psicologia, della lingua e di tutta la cultura occidentale: quel mosaico trasparente cede inevitabilmente perché privato della sua pretesa di universalità e completezza.
«Abbiamo guardato per quattromila anni; adesso abbiamo visto! Di noi non è stato detto nulla o quello che è stato detto è stato detto male».

Carla vuole fare tabula rasa dell’esistente: «Sputiamo su Hegel!», sulle teorie filosofiche e politiche che ci hanno tradite, che hanno fatto di noi l’immagine sfocata dell’uomo. Bisogna trovare una nuova cultura, diversa da quella patriarcale ufficiale, che recuperi e dia voce al femminile. «Noi siamo il passato scuro del mondo, noi realizziamo il presente!».
«Il destino imprevisto del mondo sta nel ricominciare il cammino percorrendolo con la donna come soggetto».
La staffetta non è ancora finita, ma mentre corriamo vediamo davanti a noi milioni di donne che si aggiungono in corsia: hanno il braccio teso all’indietro, pronte a prendere il testimone, e gli occhi puntati sul futuro.
Tanti chilometri sono già stati percorsi e altrettanti restano da percorrere. Nel frattempo, abbiamo inflitto colpi durissimi a quello specchio, di cui ormai rimane un solo piccolo frammento.
In quella stanza vuota, ora c’è lui: l’uomo. Quel tassello, in cui si rivede più piccolo e smarrito che mai, gli servirà per ricostruire sé stesso, per rimettere insieme i pezzi di uno specchio che da oggi gli rimanderà solo l’immagine realistica e veritiera di sé.
Noi che, prima di voi, abbiamo dovuto decostruire e ricostruire, perdere e riconquistare, dire e dirci, vi abbiamo fornito una via e un esempio da cui possiate prendere spunto. Fate la vostra rivoluzione, abbiate coraggio di essere voi stessi al di là di qualsiasi impedimento e privilegio; siate cambiamento, collaborate alla trasformazione. Noi continueremo la nostra battaglia personale, contribuendo alla distruzione di quella maschilità egemone che fa male e limita anche molti di voi.
Insieme ci ritroveremo lì dove la libertà accoglie e la sopraffazione cede il passo al rispetto altrui.
Articolo di Sveva Fattori

Diplomata al liceo linguistico sperimentale, dopo aver vissuto mesi in Spagna, ha proseguito gli studi laureandosi in Lettere moderne presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza con una tesi dal titolo La violenza contro le donne come lesione dei diritti umani. Attualmente frequenta, presso la stessa Università, il corso di laurea magistrale Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione.
