La bella iniziativa che compare periodicamente su La Lettura, l’allegato domenicale del quotidiano Il Corriere della Sera, il 9 febbraio ha fatto tappa a Trieste. Stiamo parlando del censimento di targhe apposte su abitazioni dove scrittrici e scrittori sono nati, hanno vissuto e lavorato o sono morti, ma, oltre a quelle presenti, le mappe realizzate da Antonio Monteverdi segnalano anche le assenze più vistose, a cui sarebbe bello porre rimedio. Su Vv n.306 ci eravamo occupate di Bologna e del percorso tracciato lungo la via Emilia, fino al mare, e avevamo fatto scoperte quanto mai interessanti, accanto alle rare figure femminili presenti e note come Grazia Deledda, frequentatrice abituale di Cervia. Citiamo Bruna Piatti, Ada Ravasi, Marianna Bucchich, Giuliana Rocchi, Lea Quaretti, ma per saperne di più, su di loro e su altre, si rimanda alla nostra rivista.
Trieste certamente è una città di ampio respiro, aperta a più culture e tutta proiettata verso il mare, come spiega l’esauriente articolo di Cristina Taglietti che fa spesso il nome di Claudio Magris con la sua ricca produzione, da Non luogo a procedere a Trieste. Un’identità di frontiera (con Angelo Ara). Ma è pure una città letteraria per eccellenza, basti fare i nomi di Svevo, Joyce, Saba, Pahor, Dorfles, Slataper, Stuparich, Tomizza; e anche oggi è densa di talenti e di frequente sfondo per romanzi: Alma di Federica Manzon (premio Campiello 2024), Bambino di Marco Balzano, Risplendo non brucio di Ilaria Tuti; è in uscita A maglie strette, del tedesco Veit Heinichen; sono stati ristampati di recente dei saggi dedicati a Trieste, alla sua complessa storia, alla sua identità unica. Da non dimenticare altre presenze, dalla cosmopolita Fausta Cialente (Vv n.209) a Susanna Tamaro, dalle “nuove” cittadine come la plurilingue Laila Wadia, nata a Mumbai, alle scrittrici “in transito” (come le definisce Taglietti), adottate dalla città: Diana Bošnjak Monai, Elizabeth Griffin, Gabriela Preda, Betina Lilián Prenz, Ana Cecilia Prenz Kopušar, Liliya Radoeva Destradi, Qing Yue.
Dalla mappa pubblicata si apprende che, nel giardino “Muzio de Tommasini”, si trovano 19 busti di scrittori, ma l’unica donna fra loro è Anita Pittoni, ricordata anche in via Cassa di Risparmio 1. È stata davvero un bel personaggio, molto inserita com’era nella vivace società triestina, nei vari ruoli di pittrice, scrittrice, editrice. Nata nel 1901 e venuta a mancare nel 1982, proveniva da una famiglia di idee socialiste, non per nulla i tre fratelli si chiamavano: Silvio Gracco, Franco Ribelle e Bruno.

Il padre ingegnere e la mamma sarta e ricamatrice contribuiscono alla sua formazione, per cui si diploma al liceo femminile nel 1919, mentre frequenta l’atelier delle celebri sorelle Wulz, fotografe all’avanguardia, da cui apprende l’utilizzo di tecniche, tessuti, fibre naturali e artificiali da applicare nella moda e nell’arredamento. Diventa imprenditrice e fonda lo Studio d’arte decorativa, innovativa impresa artigianale tutta femminile, dove si fa uso di materiali inediti (come il filo di ginestra) e si realizzano manufatti originali per tecnica e gusto.
Viene in contatto con i massimi esperti e artisti del momento, italiani e stranieri, partecipa a mostre ed esposizioni con suoi lavori di grande impatto e successo, ottenendo premi significativi. Collabora con riviste, disegna costumi teatrali, arreda edifici e transatlantici. Dagli anni Trenta, spronata dal compagno Giani Stuparich, comincia a scrivere e pubblicare, sia poesie in dialetto triestino sia racconti. Citiamo: Le stagioni, El passeto, A casa mia, La città di Bobi, Passeggiata armata.

La sua figura tuttavia è legata soprattutto a un’importante intuizione e a un progetto editoriale unico, quello delle edizioni Lo Zibaldone, che per circa un ventennio videro stampati volumi di particolare cura, inseriti in diverse collane e accompagnati da cataloghi e bollettini, incentrati sulla sua città. Furono editi romanzi, saggi, diari, cronache, esperienze di viaggio, che valorizzarono intellettuali dimenticati e scrittori del presente, dallo stesso Stuparich a Rilke, da Tullio Kezich a Virgilio Giotti.
Va segnalata una interessante iniziativa risalente al 2024, quando l’Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles ha promosso in primavera una mostra di opere di cinque artiste triestine considerate d’avanguardia: Leonor Fini, Maria Lupieri, Maria Melan, Miela Reina e la stessa Pittoni. Un bellissimo catalogo illustrato, Straccetti d’arte, stoffe di arredamento e moda di eccezione, le è stato dedicato nel 1999 a cura di Marilì Cammarata, dopo una mostra a Palazzo Costanzi.
Una pietra d’inciampo porta il nome di Pia Rimini, in via Ciamician 10; fuori Trieste è una figura poco nota, ma senz’altro meritevole di uscire dall’ombra del localismo e delle persecuzioni razziali. Nata nel 1900 in via degli Armeni da madre ariana e da padre ebreo, convertito al cattolicesimo, fino da giovanissima si mostra vivace, aperta, anticonformista e amante delle lettere per cui comincia a collaborare con quotidiani e riviste; dal 1928 al ’33 pubblica vari volumi di racconti, ben accolti dalla critica: Spalla alata, Il giunco, Eva e il paracadute, La mula di Trieste, Il diluvio.

A 37 anni sposa, con rito cattolico, un uomo parecchio più anziano, il noto giornalista Ettore Rivalta, ma la situazione fra i due non è delle più felici, per cui Pia presto chiede l’annullamento delle nozze, che però viene negato. Intanto aderisce con fede rinnovata al cattolicesimo, arrivando ad avere estasi mistiche, mentre vengono emanate le leggi razziali, da molta parte della popolazione ebraica sottovalutate. Trieste, dopo l’8 settembre, finisce sotto il diretto controllo tedesco, così Pia il 17 giugno 1944 viene catturata e condotta alla Risiera di San Sabba. Nonostante l’impegno del suo padre spirituale, mons. Santin, che fa di tutto per liberarla, viene inviata ad Auschwitz; nel 1952 fu indicata la data presunta di morte: 30 giugno 1944, quindi probabilmente non era neppure arrivata viva nel lager.
Le segnalazioni finiscono qui, per quanto riguarda i personaggi femminili, eppure l’articolo di Taglietti e la breve nota di Benedetta Moro fanno altri nomi di scrittrici che hanno abitato a Trieste, indicando puntualmente la via e il numero civico. E allora cominciamo il nostro percorso.

La prima intellettuale degna di essere menzionata è Richarda Huch (1864–1947). Una bellissima figura di coraggiosa dissidente tedesca che per 8 anni, dal 1898 al 1906, fu la moglie di un dentista italiano, da cui ebbe l’amata figlia Maria Antonia; con lui visse per circa due anni a Trieste, in via Imbriani e in viale XX Settembre, prima di rientrare in Germania. Al breve soggiorno in Italia tuttavia fu legata da bei ricordi tanto che dedicò a Trieste un’opera narrativa e scrisse varie biografie e studi storici sul nostro Risorgimento. A lei abbiamo dedicato un ampio articolo su Vv (n.210) a cui rimandiamo per approfondire.
Per Leonor Fini (1907-96), che abitò in via Torrebianca 26, molto più celebre come pittrice che come autrice di alcuni romanzi scritti negli anni Settanta in francese, rinviamo agli articoli di Livia Capasso su Vv (n.63 e n.246), ricordando che le è stato intitolato un giardino.

Anche a Marisa Madieri, che risiedeva sul colle di San Vito, è stato intitolato uno spazio verde. Se qui non c’è una targa sulla sua abitazione, a Fiume invece è stata posta una lapide sulla casa dove nacque nel 1938 e visse da bambina, in via ex Angheben. Morta prematuramente per malattia nel 1996, è stata la voce dell’esodo visto che proveniva da una famiglia di lontane origini ungheresi, stabilitasi in Istria e poi a Trieste, dal 1949, dove si trovò a vivere al Silos, un triste rifugio per profughi. Ne ha parlato nel romanzo autobiografico in forma di diario Verde acqua (Einaudi, 1987), ripubblicato con l’aggiunta del racconto La radura (1998).

Racconti postumi sono stati stampati con il titolo La conchiglia e altri racconti, mentre il romanzo Maria, rimasto incompiuto, le fa vincere il Premio Napoli Speciale (2007), il primo assegnato a una donna. Una produzione poco abbondante, dunque, ma significativa che le ha portato apprezzamenti della critica e traduzioni in varie lingue.
Dopo aver frequentato il liceo classico, si laurea in Lingue e letterature straniere; intanto conosce il futuro marito Claudio Magris da cui avrà due figli maschi. Insegnante di inglese, si occupa di volontariato presso il Centro aiuto per la vita (da lei fondato) e, dato piuttosto curioso ma rivelatore della sua indole e della sua passione per il volo, prende il brevetto di pilota. Cristina Benussi e Graziella Semacchi Gliubich le hanno dedicato la biografia: Marisa Madieri: la vita, l’impegno, le opere (Ibiskos Risolo, 2011). Nel 2015 la mostra “Piccole gocce nell’oceano del vissuto. Marisa Madieri e l’emozione della scrittura” ha offerto la possibilità al pubblico di apprezzare sue foto, disegni, acquerelli, scritti.
Delia de Zuccoli Benco (1882-1949) scrisse un unico romanzo, Ieri (1937), in cui narrò le dolorose esperienze giovanili causate dalla morte della madre e del fratello per tubercolosi; anche il fratellino, nato da nuove nozze, morì nell’infanzia e la matrigna abbandonò il padre.

Nel 1901 Delia conobbe il giornalista e scrittore Silvio Benco con cui in seguito si sposò; la coppia ebbe una figlia, Aurelia, a sua volta scrittrice e giornalista, e il figlio Claudio. La sua esistenza fu un po’ sacrificata all’ombra del marito, ma molti intellettuali, che frequentavano la coppia in via della Verna, ne apprezzavano la personalità e avevano con lei scambi epistolari, come Papini, Saba o Moretti, e pure l’amica Eleonora Duse. Una raccolta di novelle (Bestiario) è rimasta inedita, mentre un testo teatrale (Romeo e Giulietta) ha visto la pubblicazione nel 2010. Fu colpita da una grave malattia che la rese invalida e la costrinse a ripetuti ricoveri; morì pochi mesi dopo il marito. La collezione d’arte e la biblioteca sono stati donati nel 2000 da Marta Gruber, figlia di Aurelia, rispettivamente al Museo Revoltella e alla biblioteca civica Attilio Hortis. Alla stessa biblioteca Aurelia aveva già affidato negli anni Cinquanta l’epistolario dei genitori.

Carolina (detta Lina) Galli era nata a Parenzo nel 1899, dove visse fino alla morte della madre, poi fu allevata dalla nonna; il padre Domenico morì nelle foibe e il fratello Benedetto, detto Beno, anche lui falegname, fu ucciso per mano jugoslava. Conseguito il diploma magistrale, si trasferì a Trieste dove fece l’insegnante e frequentò i più importanti circoli letterari. Fu amica di Giotti, Saba, Svevo, Quarantotti Gambini. Nel 1950, insieme alla vedova di Svevo Livia Veneziani, scrisse la biografia dello scrittore, poi tradotta in tedesco e in inglese, pubblicata dalla citata Anita Pittoni. Collaborò a riviste e quotidiani locali e ottenne vari riconoscimenti con le sue poesie relative soprattutto all’esodo istriano, alla guerra, al “male di vivere”, alcune delle quali inserite in antologie scolastiche e libri per l’infanzia.

Altri testi pubblicati: Città, Giorni di guerra, Tramortito mondo, Notte sull’Istria, Giorni d’amore; in prosa si occupò di saggistica e memorie: L’Istria attraverso i secoli, Gli incontri con gli artisti, Parenzo.
Nel 2022 è stato stampato un volume prezioso, a cura di Roberto Spazzali, che contiene inediti, appunti, riflessioni, ricordi il cui titolo sono due versi della sua poesia La vedrò (1958), in ricordo della patria lontana e perduta: «Quando sarò per morire la vedrò /la mia città, nella pioggia che ravvolge /le case cadenti in velari di pianto. /La mia città nelle fiamme /dei crepuscoli a settembre, tutta la rovina /trasfigurata in bellezza /la mia città, sul plumbeo mare /invernale, avvolta da nebbie leggere /e colma di abbandono». Come attrice partecipò a due film: Il canto dell’emigrante (1956) di Andrea Forzano e La finestra sul Luna Park (1957) per la regia di Luigi Comencini. Lina Galli è morta da esule nel 1993. A Trieste, curato da Gabriella Norio, si trova nella biblioteca civica un fondo di documenti e nel 1995 fu allestita una mostra per onorarne la memoria.
Marica Nadlišek ha una storia esattamente opposta a quella della poeta appena trattata, infatti nacque a Trieste nel 1867 da famiglia slovena, quando ancora la città era sotto l’Impero Austro-Ungarico, e visse in via San Cilino. Frequentò le magistrali a Gorizia, si laureò e iniziò a insegnare nelle scuole slovene, in periferia. Intanto cominciò a collaborare assiduamente con pubblicazioni in lingua slovena divenendo di fatto una delle prime giornaliste e autrici di racconti, in cui incoraggiava il nazionalismo sloveno. Nel 1887 contribuì alla fondazione della sezione tutta femminile della Società dei Santi Cirillo e Metodio, una organizzazione educativa. Nel 1898 scrisse Fatamorgana, che sarebbe stato pubblicato solo dopo un secolo, ritenuto il primo romanzo triestino sloveno; fu anche la co-fondatrice e prima direttrice della rivista femminile Slovenka, dal 1897 al 1899, quando si sposò.

Poiché era poliglotta, si dedicò a traduzioni dal russo, dal tedesco, dal croato, mentre con gli articoli appoggiava l’emancipazione femminile e sosteneva l’istruzione delle donne.
Il matrimonio con l’impiegato Gregor Bartol interruppe la sue molteplici attività, anche perché in 8 anni ebbe sette figli, due dei quali morti in tenera età. La fine della Grande guerra e il crollo degli imperi centrali costrinsero ben presto la famiglia a lasciare l’Italia per andare a vivere a Lubiana, inizialmente in un vagone ferroviario. Marica riprese poi a scrivere, a tradurre, a occuparsi della rivista femminile Ženski svet, di cui fu redattrice dal 1931 al ’34. Nel 1927 iniziò un libro di memorie che sarà pubblicato postumo. Morì a Lubiana nel 1940.
Prima di concludere, merita segnalare che sul sito di Toponomastica femminile, nel censimento relativo alle intitolazioni stradali e di altri spazi della città, abbiamo trovato i nomi di: Gaspara Stampa, Vittoria Colonna, Cornelia Romana, Livia Drusilla, Elisa Baciocchi, Mafalda di Savoia, Norma Cossetto, Rita Rosani (1920-44, eroica partigiana, medaglia d’oro al valor militare), Margherita Maiocchi Ravasini (di cui non si sa quasi niente, se non che proveniva da Ancona, morta nel 1880). Colpisce in vari casi la lontananza dal presente e in generale la totale assenza di donne significative nelle arti, nelle scienze, nella vita sociale, nella politica attiva. Quei modelli insomma davvero utili e importanti per le nuove generazioni. Parziale compensazione arriva con alcuni giardini, dedicati a figure femminili del XX secolo: Ave Ninchi, attrice brillante (1915-97, anconetana ma trasferita a Trieste in tarda età), Fedora Barbieri, cantante lirica (1920-2003, triestina ma fiorentina d’adozione), Wanda e Marion Wulz, straordinario caso di abilissime fotografe professioniste, Ondina Peteani, considerata la prima staffetta partigiana (ma anche deportata, fuggita da Ravensbrück, e poi ostetrica, libraia, sindacalista, 1925-2003), Chiara Longo, cestista (58 presenze in Nazionale, record di 49 punti segnati in una partita, 1951-95).

Diamo appuntamento alla prossima tappa di questo affascinante viaggio per le vie d’Italia.
***
Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
