Il posto è il quarto romanzo di Annie Ernaux, pluripremiata scrittrice francese. Il conferimento del Nobel per la Letteratura nel 2022 («Per il coraggio e l’acutezza clinica con cui ha svelato le radici, gli straniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale») ne ha definitivamente consacrato la levatura internazionale.
Il titolo del romanzo — uscito per Gallimard nel 1983 e nell’edizione italiana solo nel 2014, nella bella traduzione di Lorenzo Flabbi — si riferisce a un nodo importante nella vita dell’Autrice, il salto di classe dalle origini operaie della sua famiglia al mondo borghese, un avanzamento di “posto” nel panorama sociale avvenuto in seguito agli studi e all’acquisizione della cultura. Un cambiamento vissuto in modo contradditorio, nella dolorosa consapevolezza di essersi allontanata per sempre da suo padre per trovare la propria strada, e quasi di aver tradito le sue radici proletarie.
Il padre di Annie, prima contadino, poi operaio, infine gestore, insieme alla moglie, di un modesto bar alimentari nella periferia di una piccola città della provincia normanna, era un uomo semplice, senza istruzione, gran lavoratore e prudente risparmiatore; un uomo che conservava il linguaggio e i comportamenti della sua classe sociale, ma sapeva muoversi in modo adeguato nella propria realtà, con la coscienza di dover «stare al suo posto» (ed ecco che il termine ha il senso di un “luogo” sociale), anche se i successi scolastici della figlia gli avevano fatto giustamente sperare che questa potesse aspirare a una vita migliore dalla sua.
La necessità di scrivere riguardo a suo padre e alla vita di lui, e alla distanza che si era creata tra loro durante l’adolescenza, si era presentata subito all’autrice, alla morte del padre, nel 1967, ma passarono poi sedici anni prima che quell’idea diventasse un progetto, e che questo venisse alla luce attraverso la pubblicazione di Il posto, il primo romanzo di Ernaux premiato con un riconoscimento importante: fu infatti il Prix Renaudot, vinto in precedenza da autori come Céline e Aragon, a suscitare l’interesse della critica e a imporre il nome di Annie Ernaux nel panorama letterario della Francia della seconda metà del XX secolo.
Il posto è un ottimo esempio dell’uso della letteratura di memoria per produrre teoria, critica sociale, riflessione politica, lettura antropologica. L’ambiente in cui l’Autrice ha vissuto l’infanzia e la giovinezza emerge in modo potente attraverso i fatti, rigorosamente selezionati per costruire una trama significativa, senza nessuna concessione a quelle che vengono definite «le trappole dell’individuale». Nessun sentimentalismo, rifiuto consapevole del patetico, di ogni atteggiamento nostalgico e, «naturalmente, nessuna gioia di scrivere»: totale assenza di orpelli stilistici e di qualsiasi compiacimento. È una scrittura che l’autrice definisce «piatta», ma, come osserva il traduttore del romanzo, è la piattezza di una lama di coltello. Un coltello che elimina senza pietà ogni intervento che non risponda alla necessità di descrivere una realtà oggettiva, e la stessa vicenda individuale dell’autrice, il nodo profondo da cui nasce il romanzo, diventa paradigma di una realtà condivisa.
Chi legge sente di non avere l’autorizzazione a lasciarsi andare alla contemplazione del mondo che si viene via via delineando sotto i suoi occhi attraverso una scrittura tesa e concentrata: brechtianamente, si potrebbe dire, siamo obbligati sempre a ricordare che, dietro a quel mondo, c’è chi lo ha ricostruito e lo ha pensato per noi, ma prima di tutto per sé. Per capirlo, per capirsi. Interrogando il passato, ricorrendo alle poche fotografie, spesso «a parole e frasi sentite davvero».
È l’autrice stessa a parlarci dello sforzo che le costa questa scrittura così selettiva, densa e sorvegliata; confessa di scrivere con lentezza e di poter rievocare solo con fatica certi dettagli della sua vita in famiglia che sono rimasti a lungo rimossi. Si tratta, infatti, di rivalutare una memoria «umiliata» dall’accettazione delle regole del mondo borghese in cui la narratrice è scivolata, «un mondo che si sforza di far dimenticare le tracce di quello che sta più in basso come se fosse qualcosa di cattivo gusto». D’altra parte anche la scuola, pur permettendole di attingere alla cultura, non l’aveva certo invitata a descrivere la sua quotidianità, la realtà in cui viveva, anzi l’aveva convinta di doversene allontanare.
Avvertiamo come un senso di colpa (ma, pudicamente, l’autrice non lo chiama mai così) nella rievocazione dei silenzi a tavola, quando una Annie adolescente aveva iniziato a provare una sensazione di estraneità nei confronti dell’ambiente famigliare e capitava a volte che esplodessero violenti litigi con il padre, per un nonnulla, e tutto ciò che prima le era piaciuto diventava qualcosa da rifiutare perché inadeguato o «pacchiano». Da parte sua, il padre non riusciva a cogliere il valore che lo studio aveva per sua figlia: per lui non era che «una sofferenza obbligatoria per farsi una posizione». L’incomprensione stava scavando tra padre e figlia un abisso che solo la scrittura avrebbe in parte colmato: «Forse scrivo perché non avevamo più niente da dirci».
Mi piace terminare questo breve excursus su un romanzo così intenso e profondo con le parole che Lorenzo Flabbi ha dedicato alla scrittura di Ernaux, scrittrice che ben conosce per averne tradotto parecchie opere, oltre a questa: «Quando parla di sé, parla di tutte noi e di tutti noi, perché parla del proprio tempo: è una definizione della grande letteratura ed è una definizione della scrittura di Annie Ernaux, scrittrice tra le più taglienti, esatte, precise della nostra epoca, che è riuscita a toccare i cuori e le anime di centinaia di migliaia di persone con una letteratura ambiziosa, un’idea alta dell’arte, eppure accessibile a tutti».

Annie Ernaux
Il posto
L’orma editore, Roma, 2014
pp. 120
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Articolo di Loretta Junck

Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile, curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).
