Torniamo a parlare di acqua, stavolta non tanto per raccontare questa meravigliosa molecola che, di fatto, permette la vita sulla terra, ma per raccontare dell’acqua come inestimabile ricchezza a rischio.

L’acqua dolce è circa il 2,5% dell’acqua totale del pianeta, la maggior parte di quest’acqua dolce (69%) è conservata sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari, specialmente in Groenlandia, in Antartide e nei ghiacciai montani. Le acque sotterranee, contenute negli acquiferi, costituiscono il 30% delle riserve di acqua dolce, mentre quella superficiale, quella che noi vediamo in fiumi, laghi, sorgenti e corpi idrici vari, non arriva in percentuale neanche all’1%.
A livello planetario l’acqua si muove secondo il Ciclo idrologico. Se non consideriamo l’effetto perturbante dell’uomo e delle sue attività, funziona così, l’acqua della Terra è sempre in movimento e cambia stato continuamente, da liquido, a vapore, a ghiaccio. È un processo continuo guidato dal sole, che riscalda l’acqua del mare facendola evaporare, il vapore acqueo sale nell’atmosfera, dove condensa formando le nuvole. Da qui torna verso la terra, sotto forma di pioggia o neve, e scorre in fiumi e laghi, oppure si infiltra nel terreno alimentando le falde acquifere sotterranee. Parte di quest’acqua dolce ritorna infine al mare. E il ciclo ricomincia.

La parte critica inizia quando questo ciclo, fondamentale per la vita, viene messo a rischio dalle attività umane che alterano il delicato equilibrio del sistema idrico globale. La disponibilità di acqua dolce sta subendo una significativa diminuzione a livello globale, con previsioni che destano preoccupazione per il futuro. All’inizio del millennio, nel 2000, la disponibilità media si attestava intorno ai 7.000 metri cubi pro capite all’anno. Tuttavia, le proiezioni indicano un declino allarmante, con una stima di soli 5.100 metri cubi previsti entro il 2025. Attualmente, la disponibilità media globale si aggira intorno ai 9.000 metri cubi, ma questa cifra nasconde grandi disparità tra diverse regioni del mondo. Alcune aree del mondo stanno già sperimentando stress idrico, con una disponibilità inferiore a 1.700 metri cubi all’anno pro capite.
Per quanto riguarda l’utilizzo dell’acqua dolce a livello mondiale, l’agricoltura rappresenta il settore più idrovoro, consumando circa il 70% dell’acqua dolce disponibile. Questo elevato consumo è dovuto principalmente alle pratiche di irrigazione, spesso inefficienti, e alla coltivazione di colture che richiedono grandi quantità d’acqua. Il settore industriale segue al secondo posto, utilizzando il 22% dell’acqua dolce, mentre il consumo umano diretto e i servizi assorbono l’8% rimanente.
Le cause della diminuzione della disponibilità di acqua dolce sono molteplici e interconnesse. La crescita della popolazione mondiale, più che raddoppiata negli ultimi 50 anni, ha portato a un aumento esponenziale della domanda d’acqua. Parallelamente, i cambiamenti climatici stanno alterando i pattern di precipitazioni, causando siccità più frequenti e intense e accelerando lo scioglimento dei ghiacciai, fonti cruciali di acqua dolce.
L’inquinamento gioca un ruolo significativo, con pesticidi, fertilizzanti, rifiuti industriali e urbani che contaminano le fonti d’acqua, rendendole inutilizzabili o costose da trattare. Le pratiche agricole inefficienti, caratterizzate da sistemi di irrigazione obsoleti e scelte di colture inadatte ai climi locali, contribuiscono notevolmente allo spreco idrico.

L’urbanizzazione crescente porta alla deforestazione e alla riduzione della capacità del suolo di trattenere l’acqua, alterando il ciclo idrologico naturale. Il sovrasfruttamento delle falde acquifere, dovuto all’eccessivo pompaggio di acqua sotterranea, sta causando l’esaurimento di queste preziose riserve in molte parti del mondo. Infine, una gestione inadeguata delle risorse idriche, caratterizzata da politiche inefficaci e infrastrutture obsolete o mal mantenute, porta a sprechi significativi e a una distribuzione non equa dell’acqua disponibile.
Se questa tendenza dovesse continuare senza interventi significativi, le stime indicano che entro i prossimi anni circa due terzi della popolazione mondiale potrebbero trovarsi in condizioni di scarsità idrica, con conseguenze potenzialmente catastrofiche per la salute umana, la sicurezza alimentare e la stabilità sociale ed economica di intere regioni.
L’Unione Europea ha adottato diverse direttive per la protezione delle acque, tra cui la Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE), che mira a raggiungere un buono stato ecologico per tutte le acque. Ma non basta.
In compenso c’è chi si batte per una gestione meno suicida dalle risorse idriche. Sandra Postel è una delle massime esperte mondiali sulla gestione sostenibile delle acque dolci. Già nel 1992 con il suo libro Last Oasis: Facing Water Scarsity, Postel ha cercato di avvertire il mondo dei rischi connessi allo spreco delle risorse idriche, una vera e propria rivelazione per l’epoca. Negli anni Novanta le sue preoccupazioni per una imminente crisi globale furono accolte con scetticismo, eppure, purtroppo, molti dei rischi da lei previsti si sono verificati: la scarsità d’acqua si sta diffondendo, la sicurezza alimentare è sempre più minacciata, i disastri legati all’acqua sono in aumento.
Postel ha avuto il merito di aver ampliato la “comunità di interesse” attorno alle questioni idriche, esplorando continuamente nuove forme di comunicazione. Tra il 2009 e il 2015 è stata la prima Freshwater Fellow della National Geographic Society, in questo ruolo ha sviluppato iniziative educative (documentari, libri, presentazioni) per diffondere il suo messaggio a un pubblico ancora più vasto. Nel suo libro, Replenish: The Virtuous Cycle of Water and Prosperity, Postel ci guida attraverso diversi continenti, presentando progetti innovativi che stanno rivoluzionando il modo in cui interagiamo con l’acqua. In New Mexico, ad esempio, la cura e il ripristino del patrimonio forestale, non proteggono solo gli ecosistemi, ma salvaguardano le preziose fonti di acqua potabile. Lungo il fiume Mississippi, l’uso intelligente di alcune colture, come trifoglio, girasole, veccia pelosa e segale, che vengono piantate tra i raccolti di mais, soia e altre colture commerciali, sta contribuendo a ridurre il deflusso di inquinanti verso il fiume. Particolarmente interessante è il concetto di “città spugna” della Cina.

Queste innovative progettazioni integrano nel tessuto urbano infrastrutture verdi per catturare e trattenere l’acqua piovana, mitigando il rischio di inondazioni e creando al contempo spazi più vivibili e gradevoli.
L’autrice sottolinea l’importanza cruciale di questi approcci nell’era dei cambiamenti climatici, che stanno alterando in modo significativo i modelli meteorologici globali. Postel argomenta che dobbiamo abbandonare il paradigma del controllo sul ciclo, abbracciando invece strategie più dolci di ripristino e reintegro delle risorse idriche.
Sandra Postel dimostra che un futuro di scarsità idrica e degrado ambientale non è inevitabile. Al contrario, suggerisce che possiamo iniziare a riparare il ciclo dell’acqua un passo alla volta, rivitalizzando fiumi, zone umide, città e terreni agricoli. Il suo messaggio è chiaro: con innovazione, collaborazione e un profondo rispetto per i cicli naturali, possiamo creare un futuro in cui prosperità umana e salute degli ecosistemi acquatici coesistano in armonia.
In copertina: Sandra Postel. Foto di Virginia Smith, National Geographic.
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Articolo di Sabina Di Franco

Geologa, lavora nell’Istituto di Scienze Polari del CNR, dove si occupa di organizzazione della conoscenza, strumenti per la terminologia ambientale e supporto alla ricerca in Antartide. Da giovane voleva fare la cartografa e disegnare il mondo, poi è andata in un altro modo. Per passione fa parte del Circolo di cultura e scrittura autobiografica “Clara Sereni”, a Garbatella.
