Paese unico e affascinante con grande varietà geografica, culturale, etnica e religiosa, con una storia di almeno 4000 anni. I confini lungo il Mekong tra Thailandia e Cambogia sono aperti da tempo e consentono di spostarsi liberamente da uno stato all’altro. Ho desiderato molto visitare il Vietnam e l’occasione si è presentata nel dicembre del 2018 perché avevamo deciso di andare a trovare nostro figlio in Australia; si potevano fare dieci giorni in Vietnam e poi raggiungere Sydney poco prima di Natale.
Si arriva al Bangkok Suvarnabhumi che ha la più alta torre di controllo del mondo; è lo spettacolare aeroporto del sud est asiatico con le sue grandi coloratissime sculture, i ballerini e il dragone e i negozi duty-free di alto livello. Siamo in compagnia di una coppia, lui italiano, lei vietnamita, di ritorno dal mese trascorso in Italia e di rientro a casa, a Ho Chi Minh, che ci raccontano usi e costumi della città, di come era ieri e di come è oggi. Ci consigliano un taxi per raggiungere l’albergo che è meno che modesto, ma in zona centrale, dal quale camminando si raggiungono i punti più interessanti della città che si sviluppa sulla parte occidentale del fiume Saigon.
Attraversare le strade è un’impresa da brivido, dovendo fare lo slalom tra le centinaia di motorette che evitano il passante schivandolo solo per un soffio. La grande cattedrale con le due torri laterali, costruita dai francesi tra il 1877 e il 1880 con mattoni rossi fatti arrivare apposta da Tolosa, è la chiesa cattolica più grande del paese. Sorge nel mezzo della piazza de la Comune de Paris, al centro del traffico cittadino.

Su un lato della stessa piazza si trova il francesissimo palazzo delle Poste centrali di color giallo, l’interno del quale è dominato da una gigantesca fotografia di Ho Chi Minh, il maestro elementare che guidò la rivoluzione contro gli americani invasori. È tradizione spedire da lì delle cartoline con quei bei francobolli vietnamiti coloratissimi; lo abbiamo fatto e abbiamo poi saputo che sono arrivate ben due mesi dopo, ma con tanti timbri.
Di fronte, i giardinetti che custodiscono la grande statua della Madonna, un vero monumento cittadino e letterario, nel tratto più elegante del cuore economico del Vietnam. Ancora si può immaginare la vecchia capitale indocinese quando, la domenica, tutta la città si riversava qui, seduta ai tavolini dei caffè o sull’erba del giardino per un veloce pic-nic. Anche oggi i ragazzi e le ragazze vengono a farsi fotografare intorno alla cattedrale o accanto alla statua di Maria. Ma la chiesa più vicina al nostro albergo era quella del Sacro Cuore, eretta anch’essa in epoca coloniale, tra il 1870 e il 1876, nel quartiere di Tan Dinh. All’epoca della costruzione il quartiere era prevalentemente abitato da vietnamiti convertiti al cattolicesimo ed era separato dal centro della città da via Richaud. L’aggiunta del campanile frontale risale però al 1929. I cattolici, che convivono con le altre fedi religiose di impronta buddista, sono circa otto milioni su 80 milioni di abitanti; ci dicono che alle loro Messe non si trova nemmeno un buco tra le panche.

Andiamo a visitare il palazzo presidenziale, meglio noto come palazzo della Riunificazione, da quando il 30 Aprile 1975 i carri armati delle truppe comuniste del Vietnam del Nord sfondarono il cancello e issarono la bandiera comunista dei Viet Cong; avevano vinto contro il gigante americano, ponendo fine ufficialmente alla Guerra del Vietnam. Questo Palazzo, che rappresenta la caduta di Saigon, comprende grandi saloni per riunioni, ha diversi piani con l’elegante appartamento presidenziale all’ultimo piano, fornito di terrazza con eliporto per il decollo immediato di un elicottero, ha un vasto giardino e un piano interrato dotato di bunker contro un eventuale bombardamento aereo. Tutto è stato lasciato come era nel 1975; si può visitare il quartier generale di Thieu sulla cui scrivania ci sono ancora i telefoni che erano direttamente collegati con Washington. Visitare questo palazzo è stato molto importante per me che in anni giovanili avevo seguito le fasi della guerra e partecipato a Milano a molte manifestazioni pacifiste contro di essa.
Per meglio capire la situazione della città, mi ero portata uno dei libri di Tiziano Terzani, Pelle di leopardo, quello dove documenta la complicatissima situazione della guerra civile tra il nord e il sud. Mentre camminavamo per la città consultavo il libro seguendo le strade indicate da Terzani e potevo immaginare meglio le mosse dei soldati e della popolazione in città.

Fondamentale è stata la visita del museo della guerra, il Vietnam War Museum Saigon, che ha inizio nel piazzale antistante l’ingresso principale, area in cui sono presenti elicotteri, aerei, carri armati e pezzi d’artiglieria utilizzati dagli americani durante il conflitto e lasciati lì alla loro partenza. Accanto al museo vi è la ricostruzione delle prigioni nelle due famigerate isole utilizzate contro i guerriglieri comunisti del nord con i reperti e le foto delle torture effettuate. All’interno del museo si testimonia l’effetto dei bombardamenti con il Napalm e altri agenti chimici (tra cui l’Orange, la sostanza chimica largamente utilizzata dagli americani come defoliante) sulla popolazione vietnamita. Una sala adiacente espone invece le foto dell’atroce massacro del villaggio di My Lai, compiuto dagli americani il 16 Marzo 1968, durante il quale 504 vietnamiti — tra cui anziani, donne e bambine/i — furono massacrati dalla Compagnia Charlie. Tra i moltissimi oggetti e documenti nelle varie sale ho visto anche una grande fotografia in bianco e nero raffigurante una protesta pacifista giovanile in Italia del 1973 e per un attimo ho pensato di rivedermi tra la moltitudine di ragazzi e ragazze; poi nella didascalia ho letto che si trattava di Bologna e non di Milano, ma è stato comunque emozionante. Il museo è focalizzato sul dramma umano e sulla forza della resistenza vietnamita e punta a promuovere valori di pace e riconciliazione; pur esprimendo un alto senso di onore e dignità vietnamita, non si avverte mai l’odio per il nemico.

Non ci siamo persi l’escursione a una cinquantina di chilometri circa da Ho Chi Minh verso il delta del Mekong, “la madre di tutte le acque”, che giunge dal Tibet per sfociare nel mar dell’Est; ci hanno fatto salire su una barca a remi dal fondo piatto guidata da un’abile donna con i lunghi guanti e col classico cappello di paglia a cono, capace di muoversi nel dedalo di canali della giungla lussureggiante e intricata, abitata anche da coccodrilli, oltre che da insetti.
Dopo una sosta a un tipico ristorante ci siamo diretti alla zona della guerra per visitare le gallerie, ossia quella rete di cunicoli sotterranei creata dai vietcong per mimetizzarsi dai nemici e compiere imboscate.

Erano semplici, ma efficaci gallerie con botole di legno mimetizzate da foglie e rami, complete di cucine che espellevano i fumi lontano da dove si trovavano (per ingannare i nemici), sale operatorie, dormitori, sale per riunioni. Molte donne presero parte alla lotta contro i francesi prima e contro gli americani dopo per l’unificazione del paese, sia arruolandosi nell’esercito, sia combattendo in operazioni di supporto, di sabotaggio o dentro i tunnel.

La vita in città, sotto il nostro hotel, era sempre movimentata, ma dopo le ore 17 lo diventava ancora di più; delle giovani ragazze danzavano e cantavano per strada invitando i turisti a entrare nei ristoranti o nei bar. Il cibo è veramente molto buono e, in particolare, abbiamo apprezzato i vari tipi di noodles. Lo è anche il caffè che la signora del nostro albergo ci preparava al mattino alla loro maniera, con il pentolino e un filtro per la colatura, in modo molto diverso da come lo prepariamo in Italia. Le loro piantagioni di caffè danno un prodotto che risulta più denso e aromatizzato. Ho trovato molto interessante, tra i tanti negozi, quello dei pennelli per la scrittura o per gli acquarelli e li ho comprati perché di ottimo pelo. A differenza degli altri paesi indocinesi la scrittura vietnamita usa l’alfabeto latino, portato da un gesuita portoghese.
Terminati i giorni dedicati alla visita di Ho Chi Minh ci portiamo a Huè, la famosa città, l’antica capitale imperiale, al 17° parallelo che gli accordi di Ginevra del 1954 avevano individuato come confine per dividere “temporaneamente” il Vietnam in due stati. L’albergo gestito da due gentilissime ragazze era molto più bello del precedente, pulito, accogliente e il letto era decorato con fiori freschi. Appena fuori dall’albergo ci facciamo fare un massaggio ai piedi, cosa molto diffusa in tutto il sud est asiatico e anche poco dispendiosa.

La cittadina è resa importante dalla cittadella imperiale, costruita all’inizio dell’Ottocento lungo il fiume dei Profumi (così chiamato per il mercato dei fiori che si svolge sotto il grande ponte) ed è un complesso palaziale e templare fortificato e impiegato come residenza imperiale fino alla nascita della Repubblica democratica del Vietnam nel 1945. Si accede attraverso l’imponente porta Ngo Mon. Il grande complesso quadrato cinto da mura contiene, nella sua zona centrale, la Città proibita Purpurea, simile a quella di Pechino con vari padiglioni, corsi d’acqua e ponticelli suggestivi. È stata molto danneggiata dalla battaglia del 1968 tra americani e nord vietnamiti nell’ambito dell’offensiva del Tet, il capodanno cinese, e immortalata nel film di Stanley Kubrik Full Metal Jacket. Nel 1993 la cittadella entra nelle aree protette dall’UNESCO così da essere riportata, almeno in parte, agli antichi splendori.

Vi è all’interno anche un museo con antichi oggetti molto simili al mondo cinese antico Le ragazze dell’hotel ci organizzano un’uscita per la visita delle tombe imperiali. Guida il taxi un giovane ragazzo di vent’anni che ha voglia di scherzare con noi e, poiché si è vicini al Natale, vuole cantare le canzoni natalizie che sono note anche a loro, dato il flusso di turisti occidentali. Mi trovo così a cantare Feliz Navidad, Merry Christmas o altro in duetto con lui. Visitiamo le tombe reali, quella di Minh Mang che salì al trono nel 1820 e quella di Tu Duc, il “poeta imperatore”, che si trovano in un elegante giardino con un magnifico complesso di laghi e padiglioni. Al ritorno il ragazzo ci fa visitale alcune importanti pagode.

Di sera, nel ristorante non lontano dall’albergo, rimaniamo incantati dalla presenza di un’infinità di orchidee di svariatissimi colori; sono appese, scendono dal soffitto o da mensole e assorbono, ci dicono, l’umidità con le loro radici aeree. Ordiniamo un piatto tipico, i piccioni arrostiti, e facciamo conoscenza con la giovane cameriera che ha voglia di parlare del mondo italiano; è studente universitaria, lavora per mantenersi gli studi e vorrebbe tanto visitare l’Italia. Mi dà il suo contatto su Facebook e promettiamo di scriverci.

Il giorno dopo visitiamo la parte opposta della cittadella, sull’altro lato del fiume, quella più moderna e lì scopriamo dei negozi d’arte vietnamita ma anche negozi con oggetti lasciati dai soldati americani e non resistiamo dal comprarci un accendino Zippo con la firma del soldato. Anche i negozi delle scarpe Nike attirano la nostra attenzione con i prezzi di gran lunga inferiori ai nostri, ma quello che più mi affascina è il negozio delle sete. Mi lascio incantare dalla morbidezza, dalla varietà dei colori cangianti e ne compro per confezionare due abiti ma, visto il mio interesse, le commesse mi regalano anche uno scampolo.
La mattina dopo le nostre intraprendenti signore dell’albergo, per il nostro ultimo giorno, ci organizzano una gita al mare; il taxista nell’andata ci fa notare diverse pagode sulla strada verso la costa, poi ci lascia sul litorale dove i pescatori utilizzano strane ceste rotonde per raccogliere il pesce. Dopo una bella passeggiata sulla spiaggia i pescatori ci fanno scegliere il pesce e ce lo cucinano in riva al mare: più fresco di così!
Ma, il giorno dopo, è tempo di tornare a Ho Chi Minh dove, verso sera, un aereo ci porterà a Sydney; ci attende nostro figlio per festeggiare insieme… un Natale al caldo.
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Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.
