Archivio Ribelle. Voci escluse dalla narrazione ufficiale

Nella storia, le donne hanno spesso dovuto lottare non solo per partecipare alla vita culturale, scientifica e politica, ma anche per essere ricordate. Il sapere, quando risiedeva in un corpo femminile, veniva spesso ritenuto inappropriato, deviante, persino pericoloso. Quando non veniva represso apertamente, veniva ridimensionato, semplificato, attribuito ad altri. Oppure cancellato.
Nel tardo Medioevo, la caccia alle streghe colpì migliaia di donne. Non erano streghe, ma guaritrici, levatrici, erboriste, donne indipendenti che gestivano forme di sapere popolare. La loro competenza, unita all’assenza di mediazione maschile, rappresentava una minaccia per l’ordine costituito. La conoscenza femminile veniva criminalizzata, e le sue depositarie punite.

Nei secoli successivi, l’esclusione è diventata meno violenta ma altrettanto efficace: le donne venivano escluse dalle accademie, dalle università, dalle biblioteche. Quando producevano conoscenza, questa veniva ignorata o attribuita ad altri. È il fenomeno noto come “effetto Matilda” (termine coniato dalla storica della scienza Margaret W. Rossiter nel 1993 in onore di Matilda Joslyn Gage, attivista femminista dell’Ottocento che denunciò per prima questo meccanismo), in cui le scoperte femminili sono sistematicamente attribuite a colleghi uomini. Anche nelle scienze esatte, la storia è stata riscritta.
In archeologia, ad esempio, molte sepolture contenenti armi sono state interpretate come maschili, senza analisi specifiche, basandosi solo sul presupposto che le donne non potessero essere guerriere. Il caso più noto è quello della sepoltura di Birka, in Svezia: per oltre un secolo si pensò che appartenesse a un uomo. Solo nel 2017, l’analisi del Dna confermò che si trattava di una donna sepolta con un corredo da comandante militare. Allo stesso modo, una tomba dell’antica Ungheria contenente armi e gioielli fu inizialmente attribuita a un uomo, ma analisi più recenti rivelarono che apparteneva a una donna.
Anche in tempi recenti, queste forme di cancellazione persistono. Nel 2025, con il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, numerosi siti ufficiali, tra cui quello della Casa Bianca, della Nasa e del National Park Service, hanno rimosso biografie, sezioni e riferimenti a figure femminili, nere, indigene e Lgbtq+. Le loro storie erano state faticosamente recuperate negli anni precedenti: adesso sono scomparse di nuovo. Link interrotti, pagine svuotate, nomi silenziati.

In questo primo episodio di Archivio Ribelle, raccontiamo sette storie di donne che hanno contribuito in modo decisivo alla scienza, alla giustizia e alla memoria collettiva. Alcune sono state oscurate in vita, altre lo sono state dopo la morte. Tutte, oggi, sono state cancellate dai canali istituzionali.

Pauli Murray (1910–1985)
«Hope is a song in a weary throat» (La speranza è una canzone in una gola affaticata).
Fu un’avvocata, attivista, poeta, docente universitaria e pioniera dei diritti civili. Fu la prima donna afroamericana a essere ordinata sacerdote episcopale. La sua battaglia contro la discriminazione razziale e sessuale si intrecciò con la sua riflessione teorica: fu tra le prime a parlare di intersezionalità, ben prima che il termine venisse coniato. Scrisse States’ Laws on Race and Color, testo definito da Thurgood Marshall «la Bibbia del movimento per i diritti civili». La sua identità di genere fluida e il suo orientamento sessuale, mai completamente riconosciuti nel suo tempo, sono oggi rivalutati come parte fondamentale della sua biografia. Nonostante questo, nel 2025, le pagine che la celebravano sono state eliminate dai siti federali.

Pauli Murray

Seraph Young Ford (1846–1938)
«The ballot is the rightful and peaceful means for change» (Il voto è lo strumento legittimo e pacifico per il cambiamento).
Fu la prima donna a votare legalmente negli Stati Uniti, grazie a una legge territoriale dello Utah, il 14 febbraio 1870. Il suo voto, espresso nella sala della legislatura territoriale, fu un evento storico, ma rimase invisibile per oltre un secolo. In vita non ricevette riconoscimenti e anche dopo la morte fu dimenticata fino a tempi recenti. Solo negli anni 2000 è stata commemorata con una targa e un memoriale a Salt Lake City. Prima del 2025, la sua figura era inserita in vari programmi educativi statali e in una sezione del sito dell’Arlington Cemetery. Tutto questo è scomparso con la riorganizzazione digitale voluta dall’amministrazione Trump.

Seraph Young Ford

Elizabeth Friedman (1892–1980)
«I am a cryptanalyst. I solve puzzles. That is what I do» (Sono una criptanalista. Risolvo enigmi. Questo è ciò che faccio).
Fu una criptanalista di fama internazionale. Durante il Proibizionismo, lavorò per il governo federale decifrando i codici dei contrabbandieri. Durante la Seconda guerra mondiale, contribuì allo smantellamento delle reti di spionaggio naziste in Sud America. Era in grado di decifrare manualmente messaggi cifrati che oggi richiederebbero software avanzati. Nonostante l’importanza delle sue operazioni, il suo nome fu eclissato per anni. Negli archivi governativi il merito venne spesso attribuito ad altri. Solo nel XXI secolo, con l’apertura dei dossier, è stato possibile ricostruire il suo ruolo. Nel 2025, le esposizioni a lei dedicate e le biografie digitali sul sito del Nsa Museum sono state oscurate.

Elizabeth Friedman

Christina Koch (nata nel 1979)
«It matters who you see doing the things you dream of doing» (Conta chi vedi fare le cose che sogni di fare).
È un’ingegnera e astronauta della Nasa. Ha stabilito il record per il volo spaziale più lungo da parte di una donna e ha partecipato alla prima passeggiata spaziale interamente femminile nel 2019. Era destinata a diventare una delle protagoniste della missione Artemis II, con l’obiettivo di portare la prima donna sulla Luna. Il sito della Nasa, fino al 2024, la presentava come simbolo dell’equità nei programmi spaziali. Dal 2025, il suo ruolo è rimasto descritto in termini tecnici, ma le pagine che ne valorizzavano l’identità e la rappresentatività sono state cancellate.

Christina Koch

Katherine Johnson (1918–2020)
«Like what you do, and then you will do your best» (Fai ciò che ti piace, e allora darai il meglio di te).
Fu una matematica straordinaria. Lavorò per la Nasa (e per il suo predecessore, Naca) calcolando traiettorie cruciali per le missioni Mercury e Apollo. La sua precisione fu determinante per il rientro sicuro di John Glenn e altri astronauti. Per anni lavorò in condizioni segregate, senza visibilità né riconoscimenti. Solo nel 2015 ricevette la Medaglia presidenziale della Libertà. La sua figura fu poi celebrata nel film Il diritto di contare. Tuttavia, nel 2025, le pagine del sito della Casa Bianca e alcune sezioni del portale Nasa che la riguardavano sono state rimosse.

Katherine Johnson

Sally Ride (1951–2012)
«You can’t be what you can’t see» (Non puoi essere ciò che non puoi vedere).
Fu la prima donna americana nello spazio. Fisica, educatrice, attivista per l’educazione Stem, lavorò per ampliare l’accesso delle ragazze alle carriere scientifiche. Dopo la sua morte fu reso noto che aveva vissuto per oltre vent’anni con la sua compagna, Tam O’Shaughnessy. Fu quindi anche la prima astronauta apertamente Lgbtq+. Per anni la NASA e il governo americano la presentarono come esempio di eccellenza scientifica e inclusione. Tuttavia, nel 2025, molte delle pagine che raccontavano la sua intera biografia, compresi i riferimenti alla sua identità, sono state depotenziate o rimosse.

Sally Ride

Sylvia Rivera (1951–2002)
«We have to be visible. We should not be ashamed of who we are» (Dobbiamo essere visibili. Non dovremmo vergognarci di chi siamo).
Fu un’attivista trans e latina che partecipò ai moti di Stonewall e cofondò, insieme a Marsha P. Johnson, il collettivo Star per sostenere le persone trans senzatetto. Cresciuta tra abbandono, violenza e povertà, fu una figura radicale che denunciò l’emarginazione delle persone trans persino all’interno del movimento Lgbtq+. Dopo la morte, fu finalmente celebrata da varie istituzioni. Ma nel 2025, le pagine a lei dedicate dal National Park Service e da iniziative storiche Lgbtq+ sono state eliminate, rendendo invisibile una voce che aveva già lottato tutta la vita per farsi ascoltare.

Sylvia Rivera

Se cancellare è una scelta politica, ricordare diventa un dovere civile. Ricordare è anche un atto di precisione, un modo per ristabilire una verità storica che continua a essere contestata. Questo archivio non vuole essere nostalgico, ma resistente.

Fonti e approfondimenti

In copertina: Archivio Ribelle, copertina /Ep. 01.

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Articolo di Tullia Ciancio

Illustratrice e grafica freelance siciliana, vive attualmente a Tours, Francia. Laureata in Illustrazione e Animazione allo IED di Torino, ama viaggiare, imparare nuove lingue e cucinare. Cerca di unire le sue passioni organizzando eventi e laboratori artistici. Per lei la creatività è il miglior linguaggio per dare voce a ciò che è importante. Detesta il patriarcato e le ingiustizie.

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