Toponomastica femminile condivide pienamente la posizione della Società italiana delle Storiche-Sis, su un tema così basilare come l’educazione e l’istruzione primaria, quindi considera importante pubblicare su Vitamine vaganti questo fondamentale documento.
«Abbiamo letto con attenzione i Materiali per il dibattito pubblico relativi alle Nuove indicazioni 2025 per la Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione e sentiamo la necessità di prendere la parola, come il documento stesso auspica.
Nel testo, piuttosto confuso e contradditorio nell’impianto metodologico, non mancano passaggi oscuri e interpretazioni storiografiche superate e a dir poco discutibili. Citare Marc Bloch, decontestualizzando la sua visione storiografica a sostegno dell’asserzione che solo l’Occidente ha prodotto una conoscenza storica, pare difficilmente conciliabile con l’idea di una storia lontana dalle fonti che abbia come fulcro “la sua dimensione narrativa”. Altrettanto problematico appare associare tout court il concetto di libertà alla civiltà “occidentale” fin dalla sua nascita.
La sezione dedicata all’insegnamento/apprendimento della storia, anche in contraddizione con alcuni passaggi della premessa, non sembra tener conto degli esiti delle ricerche scientifiche sulla didattica disciplinare, presentandosi piuttosto come frutto di una chiara presa di posizione ideologica, che si palesa chiaramente persino nella distribuzione dei contenuti nei diversi anni.
Tuttavia, al di là di un’esegesi puntuale del testo proposto, su cui siamo naturalmente pronte a confrontarci con la Commissione, quello su cui ci preme concentrarci è la visione di scuola che le Indicazioni delineano. Ci sentiamo lontane da una scuola rigidamente gerarchica, in cui il sapere storico è un pacchetto pre-confezionato da somministrare a studenti considerati come soggetti incorporei e astratti.
Il nostro percorso di ricerca e di insegnamento ci mostra che un’altra scuola è possibile, una scuola in cui crescere cittadinǝ responsabili e capaci di spirito critico.
Alla luce delle ricerche condotte nell’ambito della nostra associazione sulla violenza di genere in prospettiva storica e delle iniziative di formazione organizzate negli ultimi anni sul tema, guardiamo con preoccupazione anzitutto a quanto le Indicazioni propongono sull’educazione alle relazioni. È opinione di chi ha redatto il documento ministeriale che la violenza di genere sia una “triste patologia”, che va contrastata attraverso la comprensione della “complementarità delle rispettive differenze”, attraverso un’educazione “del cuore”. Non stupisce che in queste pagine sia riproposta quella visione essenzialista fondata sul binarismo e sulla complementarità dei generi che è essa stessa matrice della violenza contro le donne, e non si tenga in nessun conto la necessità di percorsi di educazione al genere, alle differenze di genere e all’educazione sessuo-affettiva.
La promozione di una cultura del rispetto, di percorsi educativi che sappiano essere efficaci strumenti di contrasto e prevenzione delle discriminazioni e della violenza necessita di una proposta complessa e di una messa a sistema delle conoscenze e delle competenze relative al genere, alla violenza di genere e alla sua natura culturale e strutturale. In questo quadro, la storia può efficacemente contribuire all’individuazione delle dinamiche sociali e politiche che possono attenuare o rafforzare il fenomeno.
Da un punto di vista complessivo, gli studi di genere, e nello specifico le riflessioni condotte in ambito pedagogico e didattico, hanno portato a mettere in discussione i termini della relazione educativa e della condivisione dei saperi, per costruire pratiche democratiche e non autoritarie. Le “nuove” Indicazioni Nazionali ci propongono un modello di scuola gerarchico fondato sulla trasmissione di contenuti, sulla centralità della figura del “Maestro” — a fronte di un corpo docente composto per la maggior parte da insegnanti donne —, sull’educazione al “principio di autorità” e sull’accettazione delle regole. Un modello di scuola definito attraverso un linguaggio antiquato che non soltanto respinge le acquisizioni pedagogiche, disciplinari e didattico-disciplinari dell’ultimo secolo, ma che non vede e non riconosce la pluralità e la complessità che abitano le scuole.
A dispetto di un’antistorica prospettiva nazionalista, eurocentrica e neocoloniale, che propone ancora una volta la cultura occidentale come fulcro e metro del mondo, abbiamo bisogno di rendere visibili le differenze di genere, socio-culturali, di età, di abilità e di valorizzarle nei percorsi formativi, nei curricoli e nei libri di testo. Il che non significa proporre una storia militante, ma considerare le consolidate acquisizioni degli studi postcoloniali e le contaminazioni tra ambiti disciplinari, non soltanto in considerazione della composizione multiculturale delle nostre classi, ma anche al fine di educare/educarci tutte e tutti alla complessità e alla convivenza democratica.
Oltre al rinnovamento dei canoni disciplinari, abbiamo bisogno di continuare a lavorare in direzione di una ridefinizione della relazione educativa attraverso la valorizzazione dei soggetti che la realizzano, dei loro corpi, delle loro esperienze e delle loro conoscenze, riconoscendo la loro dignità. Questo comporta il necessario superamento della dimensione trasmissiva e la considerazione dei saperi quali costruzioni collettive in continua trasformazione.
La condivisione delle riflessioni intorno all’epistemologia disciplinare e delle metodologie della ricerca storica, con specifico riguardo per il genere, è una risorsa fruttuosa per la didattica, se opportunamente calata nei contesti in rapporto all’età dei/delle giovani studenti. L’avvicinamento graduale alle fonti, ai problemi che pongono, alle interpretazioni che ne sono state date, alle riletture continuamente operate dagli studi storici non solo sollecita il pensare criticamente ma invita anche alla considerazione dei saperi come sistemi di conoscenze che si arricchiscono e si trasformano, in un processo condiviso. Tuttavia, se la storia deve servire a giudicare il passato, a essere consapevoli del bene e del male, come propongono le Indicazioni Nazionali 2025, evidentemente non occorre potenziare queste competenze.
Riteniamo, infine, che queste indicazioni, più che proporre un orientamento generale, promuovano, in particolare per quanto riguarda l’insegnamento storico, un quadro prescrittivo, che fornisce precise istruzioni di contenuto e metodo all’insegnante. Ci sembra, allora, non inutile sottolineare che, qualunque sia il conto in cui la Commissione vorrà tenere la “discussione pubblica” che la bozza ha promosso, come era suo fine, la libertà d’insegnamento rimane un principio cardine della scuola pubblica, tanto da essere inserito nella stessa Costituzione. La Commissione didattica della Società Italiana delle Storiche».
Anche la Società Italiana delle Letterate esprime forte preoccupazione per le nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo d’istruzione, che rappresentano per molti aspetti un arretramento rispetto al documento programmatico del 2012. Il testo si discosta dalle riflessioni linguistiche di Tullio De Mauro e del Giscel, che avevano evidenziato la natura dinamica e in continua evoluzione della lingua, sottolineando come il possesso della stessa fosse un requisito fondamentale per la partecipazione alla vita democratica. La scuola si profilava dunque come istituzione principale che aveva il compito di fornire al corpo studentesco strumenti linguistici adeguati per esprimersi e comprendere il mondo.
Qui l’approfondimento, in cui si evidenziano le principali criticità, di cui sottolineiamo questo cruciale passaggio: «Educazione di genere. Il testo propone un’idea di complementarità tra i generi semplificatoria senza affrontare la necessità di decostruire gli stereotipi che ne derivano. Non viene riconosciuta la pluralità delle identità di genere e delle esperienze affettive e sessuali possibili rinforzando così un modello eteronormativo assolutamente distante non solo dal presente, ma anche dalle molteplici esperienze narrate e restituite nella storia letteraria.
Il lavoro delle nostre fondatrici, tra cui vogliamo ricordare Liana Borghi, ha posto la necessità di uno sguardo ampio sulla letteratura per ridefinirne i perimetri e le genealogie oltre i confini nazionali. Come non considerare l’impronta delle tantissime lingue madri parlate nelle nostre aule scolastiche sulla lingua italiana odierna ma anche sulla letteratura contemporanea? Autrici di origini e provenienze “altre”, da diverse generazioni attive e creative in Italia, stanno dando linfa alla nostra storia letteraria costruendo le scritture del futuro».
L’Associazione Italiana di Public History, infine, esprime anch’essa forte perplessità e grande preoccupazione per le Nuove Indicazioni 2025 per la scuola d’infanzia e il primo ciclo, che potete trovare a questo link. Ne evidenziamo le considerazioni finali: «Il tema del coinvolgimento e della partecipazione attiva è, per AIPH, assolutamente centrale. La Public History promuove il concetto di autorialità condivisa e cerca di rendere i suoi interlocutori (i pubblici) dei co-costruttori di storia. Uno dei cardini della disciplina è, infatti, il protagonismo dei soggetti coinvolti nel processo di trasmissione del sapere storico, nelle attività di recupero, organizzazione, lettura e interpretazione delle fonti. Il modello didattico proposto dalle Indicazioni nazionali è invece passivo e meramente trasmissivo. Il processo di apprendimento proposto è ridotto a un atto di pura ricezione, senza alcun coinvolgimento degli studenti e delle studentesse. Anche questo concorre a limitare fortemente qualsiasi sviluppo di competenze critiche, che sono invece essenziali per la formazione e la crescita dei cittadini e delle cittadine di domani.
Infine, appare molto preoccupante l’affermazione secondo la quale lo studente “scopre” a scuola la sua identità personale, considerata già preesistente e dovuta all’appartenenza familiare e nazionale. Se la storia è lineare e ideologicamente orientata, l’identità che ne risulterà non potrà che essere chiusa, acritica e autoreferenziale».
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.
