Uscita nelle sale alla fine di marzo, la nuova versione di Biancaneve di Marc Webb ha ricevuto un’accoglienza da parte della critica a dir poco stroncante.
Non è stato apprezzato il tentativo, apparso goffo, di produrre una rilettura politicamente corretta, femminista e moderna del caposaldo del 1937 firmato Disney. Si sono lamentate tutte e tutti: i nostalgici della Biancaneve di pelle chiara «Perché così scura il nome non ci azzecca più»; i progressisti che vedevano di buon occhio le origini multietniche della protagonista (la madre di Rachel Zegler ha origini colombiane), che tuttavia commentano: «D’accordo mezzo sangue, ma almeno l’avessero scelta bella. Così non regge proprio il confronto con la regina cattiva»; i sostenitori di Israele e quelli palestinesi (il messaggio esistenziale assume toni decisamente politici in più di un passaggio, senza contare l’origine israeliana dell’attrice co-protagonista); persino le persone attente ai diritti di chi è più fragile, perché «I Sette Nani sembrano disabili in versione digitale». Insomma, una catastrofe annunciata.
E invece le sale sono state letteralmente prese d’assalto da orde di bambine e bambini, con relativi genitori, presi dal desiderio di rivivere la magia del bosco con i suoi animaletti gentili e di cantare di nuovo l’eterna marcetta con cui i Sette Nani vanno e vengono dalla miniera.
Nel corso del weekend di debutto, la pellicola ha incassato oltre 80 milioni di dollari, che la rendono la più scelta tra quelle in programmazione negli stessi giorni. Metà dell’incasso proviene da soli tre Paesi: Canada, Usa e Messico. Alla faccia delle critiche, il bisogno di fiaba torna prepotente a illuminare i cuori delle spettatrici e degli spettatori. E meno male che lo fa, perché mai come in questo momento storico abbiamo bisogno di apertura, speranza, grazia, senso di fratellanza e sorellanza.
Questa versione di Biancaneve, a mio avviso, è prima di tutto una proposta di atteggiamento. La protagonista lo ribadisce più volte: la gentilezza non costa nulla, eppure rende il mondo più bello e le persone più felici, perché non fa sentire sola/o nessuno. Le dà ragione persino lo specchio magico, che spiega alla Regina Cattiva la differenza tra una bellezza che termina sulla linea della pelle e quella che invece raggiunge il profondo del cuore. Per questo Biancaneve vincerà sempre: perché ha una bellezza più radicata, non superficiale, quella dell’animo. Gentilezza, dunque, gratitudine, onestà, speranza, ottimismo e forza d’animo: queste le virtù che animano il cuore della protagonista e che sono, invece, del tutto assenti nella sua antagonista. Assolutamente coerente con la versione Disney del ’37, direi. C’è da chiedersi come mai, nelle fiabe classiche, i genitori, benché spesso muoiano quando i figli o le figlie sono ancora in tenera età, siano capaci, nel tempo di qualche anno, di educare così bene la prole. Biancaneve sembra avere sì e no dieci anni quando la madre si ammala e il padre parte per una guerra inesistente (un malefico piano ordito dalla regina per farlo assassinare), eppure i valori che le hanno insegnato mamma e papà, tra una canzone e l’altra, davanti al pozzo dei desideri, sono radicati in lei con una forza che ha dell’incredibile.
Le fiabe dunque sono fatte per far sentire tutti i genitori dei perfetti incapaci? Al contrario: esse accendono in noi la certezza che i semi gettati daranno frutto, che le lezioni impartite con l’esempio e l’amore non cadranno nel vuoto, ma prenderanno vita, sedimenteranno e, al momento opportuno, sbocceranno. Retorica? Io non credo. Le fiabe sono fatte per raccontare la vita nei suoi aspetti più interessanti e se lo fanno usando forzature, eventi incredibili, staccandosi dal crudo e sterile terreno del realistico a tutti i costi, è proprio perché sono narrazioni magiche e fantastiche che devono colpire la fantasia, muovere le emozioni ancor prima dei pensieri.
Un bambino o una bambina che viene risucchiata in un mondo a colori, pieno di canzoni, balli, animali intelligenti e creature misteriose, cercherà di non perdersene nemmeno un pezzetto. E se il cuore è mosso, allora si è nella condizione migliore per imparare. Devo confessare che anche io, che bambina non sono più da un pezzo, darei il mio braccio sinistro per poter avere una piazzetta di paese come quella in cui ballano tutti i cittadini e le cittadine del regno a inizio e fine film. Pagherei milioni per poter abitare in una casa come quella dei Sette Nani. E sì, non nego che mi piacerebbe anche essere bella come la Regina Cattiva, ma mi accontento di provare a essere gentile e altruista come Biancaneve, per due ragioni: anzitutto è un obiettivo per me più realistico e poi è ciò che mi rende felice. E questa non è una storiella infantile, è il mio sentire profondo. La regina governa col pugno di ferro. Biancaneve fa proseliti solo con la dolcezza e la generosità. Alla fine tutti i cittadini e le cittadine si schierano dalla sua parte e il Regno è salvo.
Il Principe non c’è, sarebbe stato del tutto superfluo in questa versione (anche se il bacio del vero amore è stato mantenuto, così come la mela avvelenata, altrimenti che Biancaneve sarebbe stata?), perché la protagonista si sa difendere da sola e con grinta. I Nani, in versione digitale, sono la brutta copia di quelli del cartone animato, in questo le critiche hanno ragione. L’intelligenza artificiale li spoglia di carisma e della carica umoristica che la versione cartone animato aveva saputo donar loro. Questi Nani sono banali, scialbi, piuttosto insapori. Al contrario della Regina Cattiva, interpretata da Gal Gadot, attrice israeliana di grandissimo talento (e, va detto, di straordinaria bellezza). La sua interpretazione resta intensa e credibile dall’inizio alla fine, senza la minima sbavatura. Essere belle non è una colpa, sia chiaro, e il film non lo fa pensare neppure per un momento. Essere avvenenti è una fortuna, semmai. Ma se diventa un’ossessione (e Gadot è bravissima nell’interpretare la smania patologica di chi non vuole rivali) o semplicemente ci si ferma lì, al nostro essere nate/i belli, che merito e che gioia ne trarremo? Per quanto? La vita diventa solo una lunga attesa del decadimento, quando guardandoci allo specchio ci accorgeremo delle prime rughe, dei primi capelli bianchi e della pancetta che comincia inesorabilmente a spuntare. E allora nulla avrà più senso, saremo perdute/i.
Invece è la fatica di plasmare il carattere, cucire gli strappi, affrontare le paure, coltivare le relazioni, smussare gli spigoli che porta la bellezza a un livello superiore e la rende impermeabile al passare del tempo, trasformandoci in persone luminose, complete. Questo il messaggio inequivocabile della pellicola.
Meravigliosi gli effetti speciali, che ormai sanno avvolgere spettatrici e spettatori con una maestria da miracolo sullo schermo. E poi c’è il messaggio politico, con un paio di passaggi a mio avviso molto interessanti. La matrigna, per ben due volte, afferma che il popolo crede di volere gentilezza e uguaglianza, ma in realtà ha bisogno di qualcuno che gli dia sicurezza, fermezza, che eserciti un dominio incontrastato, davanti al quale tutti e tutte devono inginocchiarsi. La gentilezza è mollezza, il cipiglio invece, la risoluzione senza pentimenti e l’imposizione dimostrano forza e autorevole capacità di governo. Il popolo è come un bambino, insomma, che crede di aver bisogno di carezze e invece va tirato su a suon di sculacciate, per poter essere educato a dovere e crescere bene.
Democrazia contro regime. E poi c’è Biancaneve, che implora il popolo di restare unito, perché «Se ci dividiamo non siamo niente. Vedete? È questo che vuole la regina: che restiamo divisi, ognuno nel proprio egoismo, così restiamo piccoli e impotenti. Uniti, invece, possiamo fare tutto». Sembra l’esatta parafrasi del monologo di Roberto Benigni sull’Europa. Identica. Persino le parole sono le stesse. Ci vogliono divisi, perché se ognuno pensa solo al suo orticello, resteremo sempre pesci piccoli e quelli grandi ci mangeranno senza alcuna fatica. Se invece imparassimo a pensarci fratelli e sorelle, come già le giovani generazioni stanno facendo, allora avremmo la forza di una grande famiglia e, come dice Biancaneve, «potremmo fare tutto».
In quello che a me è sembrato il passaggio più bello del film, la Regina Cattiva intima alla sua rivale di riprendersi pure il regno, se tanto lo vuole. Le pone tra le mani una spada e le si para davanti affinché Biancaneve la uccida e si conquisti così la corona. Ma la giovane fanciulla non lo farebbe mai: ha dedicato la vita alla benevolenza e alla generosità, come potrebbe conficcare una lama nel petto di un’altra persona? È qui che la regina le strappa di mano la spada e chiosa un «Basta con questa farsa!» che suona come un giudizio di colossale imbecillità nei riguardi della figlia dell’ex re. La spada viene passata alla guardia più vicina: «Uccidila! Voglio che il popolo assista alla sua morte!» intima la Regina Cattiva. Sembra orribilmente ciò che sta accadendo attorno a noi: terre rubate, territori usurpati, stragi in piazza, strategie del terrore.
In Biancaneve, però, non può mancare il lieto fine. Il male è sconfitto, tornano gioia e speranza in tutto il regno. Che accadrà, invece, nel mondo reale, lontano dalla casetta nel bosco e dagli uccellini che cantano sui bordi del pozzo? Se solo imparassimo a credere un po’ di più nelle fiabe…
***
Articolo di Chiara Baldini

Classe 1978. Laureata in filosofia, specializzata in psicopedagogia, insegnante di sostegno. Consulente filosofica, da venti anni mi occupo di educazione.
