Nonostante la modernità, preminenti rimangono alcuni princìpi etici e valori umanistici che interessano figure femminili, ne occultano l’importanza con forme di apatia intellettuale e, nel contempo, orientano con forza verbale giudizi anche ambigui. Il riferimento è a una donna d’incomparabile bellezza, non aristocratica ma borghese, che nella vivacità culturale del Cinquecento lionese seppe fare storia di sé conquistando la gioia dell’apprendere e del sapere, dando voce al «calore interiore trasudato dalle sue rime»: Louise Labé (1524 ca-1565).
La «Signora delle Lettere» venne offuscata da giganti della poesia e della letteratura del suo tempo, da intellettuali che produssero cultura più per virilità del nascere che per femminilità del generare, e osteggiata per le affermazioni coraggiose di lei «prole plebea», epiteto con cui era apostrofata per essere figlia di maître Pierre de Charly detto Labé, ignorante arricchito cordaio lionese ma dalle moderne prospettive di vita tant’è che, grazie alle cospicue ricchezze, consentì alla figlia di acquisire una raffinata cultura presso il celebre Collège de la Trinité di Lione.
La giovane sapeva di filosofia e letteratura, conosceva i classici antichi, padroneggiava la lingua latina, parlava correttamente lo spagnolo, l’italiano, oltre l’idioma francese; ebbe pure una solida educazione musicale, un’ottima pratica di equitazione e arti marziali. Per sapere coniugare bellezza e intraprendenza, per essere convinta contestatrice di un mondo declinato al maschile e, soprattutto, per l’eccesiva trasgressione dei suoi comportamenti, si chiusero le porte alle novità del suo pensiero preferendo ricordarla come l’«Usignolo di Parcieux», dal nome dalla residenza in cui si ritirò nel 1557, dopo la morte del marito.
Non riconoscendosi nei vizi che le si imputavano, affermava, con il suo dire e con la sua condotta, il diritto alla libertà personale e pretendeva che si riconoscesse il senso altro di un libertinaggio che per lei era espressione d’amore! Visione da cui prese forma il reclamato diritto di confrontarsi col sesso forte in condizioni di assoluta parità su tutto. Convincimenti e pratiche che le valsero pesanti epiteti: torbida saffica, procace lesbica viziosa, meretrix!
Da donna e da poeta, considerava superata la subordinazione ai privilegi della casta maschile e rivendicava l’accesso ad affetti e amori senza esserne dominata; sosteneva la liberazione della condizione femminile dalle innaturali pretese di una società mal disposta a riconoscere l’ineccepibilità dei diritti rivendicati, di non dover costruire la propria vita su quella dell’uomo o all’ombra di essa.
Vera rivoluzione al femminile la sua!
Conosciuti anzitempo gli inganni dei giochi d’amore e volendo essere padrona del proprio corpo, «solo una donna libera come lei — afferma la conferenziera parigina Marie Brisson — poteva ardire di chiedere al suo amante “Baciami ancor, ridammi un bacio e un altro”» di catulliano riferimento. «Solo una donna ribelle come lei poteva dichiarare di volere vedere le donne “non soltanto in bellezza, ma anche in scienza superare in valore e pareggiare gli uomini” e, a questo fine, pregare “le signore rispettabili a che elevino la mente ben oltre i loro fusi e le loro conocchie”. Solo una donna come lei poteva manifestare sgomenta il riso amaro del suo essere innamorata, come nei versi: “Io muoio sebben viva, annego e brucio…” (Sonetto VIII)».
Essendo documenti di vivo e profondo romanticismo, i Sonetti esigono serietà di lettura e di studio e non banale informazione infarcita di pregiudizi e cosparsa di vuoti critici. La perizia compositiva, espressa sia in francese sia in altre lingue, si incastona in accurati saperi classici, coniugati a modelli toscani che si evolvono in maniera autonoma e personale in assoluta indipendenza, in termini stilistici e di ispirazione, dalle contemporanee innovazioni poetiche. Si ammira la non comune valentia nel flettere il volgare toscano nella stesura alla petrarchesca del Sonetto I Non havria Ulisse o qualunq’altro mai… in cui, con sofisticata metafora e con finzione onirica come nel Sonetto XIX, l’Artista raffigura il potere distruttivo dell’Amore che tanto piacque a Leopardi il quale ebbe ammirazione e interesse letterario per lei considerata, al pari di altre, degna di essere conosciuta per la diversa sensibilità di donna e di artista.
Ricercata e colta oltre ogni dire, modernissima e passionale, Louise trasferisce in rima contenuti che avvincono parimenti al suo fascino muliebre, anche quando — sola e spiritualmente oppressa, tradita e consapevole di aver fatto esperienza a suo danno di un amore unilaterale — esprime, con profonda tenerezza, un’intensa anche se disincantata dichiarazione d’amore, voce di un trasporto amoroso condannato a brevità come l’umana esistenza, ma che eleva a sfere di emozione pura, come nel Sonetto XIV Fin che potranno gli occhi miei versare…
Rimatrice delicata, considera l’amore, in tutte le sue manifestazioni, essere il risultato ultimo e positivo dell’equilibrio armonico tra anima e corpo che governa il creato e la natura degli esseri umani, linfa vitale di quel microcosmo uomo-donna in cui l’affermarsi degli elementi sta nella corresponsione d’amore utile allo sviluppo di quel serio gioco sponsale, duale nell’uno armonico, che si configura nel vincolo d’Amore.
Con coraggio, volle parlare alle donne in termini di emancipazione vera, di riscatto della loro condizione di subalterne al maschio, anche e soprattutto in relazione al sentimento d’Amore. Ed ecco che, in edizione anonima datata 1545, figura una Chanson nouvelle de la belle Cordière de Lyon, indecorosa allusione in versi del libertinaggio della Bella Cordiera.
Al di là della donna che seppero, o non seppero, vedere gli uomini che l’amarono o/e le donne che l’invidiarono, sebbene non le venisse perdonato essere stata viziosa libertina, insolente al punto di affrontare gli uomini pari a pari e l’avere smentito la naturale inferiorità sessuale con le eccezionali sue doti di intelligenza, si valuta il modo in cui Louise ha scritto d’amore e per amore, ha dato voce all’espressione femminile dei sentimenti e della passione. Ella affermava: «una donna deve potere dichiarare il suo desiderio senza aspettare di sentirsi desiderata». La sua religione è l’amore, la sua morale è l’amore, la sua libertà è l’amore.
Convincimenti che volle trasferire al suo «vir, bello come un adone… adorato come un dio» e a quanti la frequentarono. I più travisarono il senso delle sue coraggiose esternazioni, inclini com’erano a interpretarle come voci scandalose di stati d’animo insani o rivendicazioni di una donna poco virtuosa.
Un progetto di vita il suo cui volle dare corso e senso anche fondando (1545), nella sua casa di Lione al numero 28 di rue Confort, un salotto letterario concepito come laico bureau d’esprit dove fare esercitare le menti elette nelle arti liberali, soprattutto nella poesia. Divenuto centro d’incontro per la scuola lionese, il salotto si sommava per importanza ai cenacoli e ai ritrovi che animavano gli ambienti intellettuali della cosmopolita città nel Cinquecento.
In pieno fervore letterario, vennero pubblicati la 1ª edizione di un dotto, arguto e vivace contrasto in prosa tra Eros e Follia dal titolo Débat de la Folie et d’Amour, suddiviso in cinque Dialoghi, tre lunghissime Elegie in distici decasillabi a rima baciataispirate ai modelli ovidiani dell’Ars Amatoria,coniugati con riferimenti mitologici,e alcuni Sonetti in decasillabi rimati, con cui si meritò la fama di courtisane lettrèe, che sarebbero confluiti in un Canzoniere amoroso di impronta petrarchesca.
Nel 1555, Louise dedicò alla giovane aristocratica Clémence de Bourges, sua amica ed estimatrice, la 1ª edizione delle Euvrez de Louise Labé lionnoize, opera in versi e in prosa che raggruppava il Débat, i 24 Sonetti, le Elegie, contenente una Epistola dai toni fortemente rivendicativi e femministi. L’opera, pubblicata dallo stampatore lionese Jean de Tournes, destò scandalo per la spregiudicatezza dell’Autrice che, invero, si proponeva come enunciatrice di quel dogma laico che sarebbe divenuto principio fondante dell’emancipazione femminile.
Se nel Cinquecento la struttura politica e sociale della società non permetteva alla donna di travalicare i limiti di una funzione cui era stata confinata da uno stile di vita preminentemente patriarcale, e incompreso era rimasto il grido di protesta di lei poeta, dopo la morte le ripetute edizioni delle sue opere — nel 1556 a Rouen, nel 1578 a Parigi, nel 1762 a Lione, nel 1815 a Brest, nel 1824 a Lione — oltre alle opere che le si attribuirono, attestano un percorso di riconoscimento della sua arte poetica, celebrato in particolare in Louise Labé, carme 101, della francese Marceline Desbordes-Valmore (1786-1859).
Negli anni Sessanta del XX secolo, i movimenti femministi angloamericani portarono in auge la figura e il suo pensiero facendone emblema della possibile riscossa femminile. In una società culturalmente evoluta ci si sarebbe aspettato che all’Artista fossero riconosciuti spazi più ampi, qualificati e qualificanti, ma questo non accadde a causa dello scarso interesse editoriale e della diffusa inanità culturale, nonostante le rivendicazioni di intellettuali come Dacia Maraini, Miriam Mafai, Oriana Fallaci. L’importante produzione poetica rimase adombrata dalle vicende personali o travisata nella estensione dei suoi convincimenti progressisti; le eccellenti sue doti di letterata e di donna apparvero come ritratti distorti da uno specchio deformato che ne altera i tratti. Come le coeve italiane Vittoria Colonna, Tullia d’Aragona, Renata di Ferrara, Veronica Gambara, Gaspara Stampa, per troppo tempo è stata privata del dovuto riconoscimento letterario e artistico.
E innamorato dell’Arte poetica — poeta egli stesso oltre che raffinato studioso di lingua e cultura francese, di culture europee antiche e moderne, traduttore, filologo, docente emerito di Lingue straniere — Francesco Piccione ha restituito dignità alla sensibilissima e delicatissima artista. Si apprezza lo studio scrupoloso della vita e del pensiero, la traduzione accurata, la sofisticata critica delle opere nel volume: Louise Labé, il coraggio, gli amori la poesia di una donna libera. Opera omnia e annessi. Edizioni Efesto, 2014.
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Articolo di Chiara Longo

Docente, saggista, poeta, scrittrice, ama camminare in novità di vita e ripone nel potere della parola la ricerca di sé e dell’Io collettivo. Nata in Sicilia, ad Adrano, dove vive, è cittadina attiva, operatrice culturale, curatrice di reading letterari, relatrice in convegni e seminari. Suoi contributi sono presenti in opere collettanee di poesia, saggistica, narrativa. Ha ricoperto cariche istituzionali.
