Maria Lai è stata definita in tanti modi per la sua inesauribile vena artistica, per la sua creatività, per la sua unicità, ma certo chiamarla “fata operosa” è quanto mai appropriato perché rimanda alla sua terra, la Sardegna, ai lavori manuali realizzati dalle sue donne, a quelle janas che popolano la fantasia e i miti.


La critica unanime la considera la più grande artista sarda del XX secolo.
Era nata il 27 settembre 1919 a Ulassai, in provincia di Nuoro, ed è morta a Cardedu, località non lontana, il 16 aprile 2013, dopo aver vissuto una esistenza ricca di soddisfazioni, ma anche di lutti e ostacoli professionali. Il padre era veterinario, e lei era la seconda di cinque fra figli e figlie. Aveva una salute cagionevole e trascorreva la stagione invernale dagli zii a Gairo, quindi studiò in modo piuttosto irregolare. Dopo un drammatico fatto di sangue, tuttavia, rimase a vivere sempre in famiglia. Dal 1932 frequentò l’Istituto magistrale a Cagliari, poi si trasferì a Roma dove si iscrisse al Liceo artistico.
Durante la guerra, non potendo rientrare in Sardegna, si recò a Venezia dove studiò scultura all’Accademia, rimanendovi fino al 1945. Ritornata nell’isola insegnò per pochi anni all’Istituto tecnico femminile di Cagliari, mentre tentava la via dell’arte, incontrando difficoltà ad affermarsi essendo uno spirito libero, una creatrice non allineata, una persona non catalogabile. Di nuovo a Roma ebbe il sostegno dello scrittore sardo Giuseppe Dessì che le divenne amico. Ma un altro terribile lutto colpì la sua famiglia con l’assassinio del fratello Lorenzo, forse vittima di un tentato sequestro. Nel 1957 riuscì a tenere la sua prima mostra di disegni presso la galleria L’Obelisco di Irene Brin, la nota giornalista e scrittrice. Dall’arte in forma poetica degli anni Sessanta passò all’Informale e alla cosiddetta Arte povera con gli affascinanti “libri cuciti” e promosse eventi e istallazioni legate alle tradizioni della sua terra, utilizzando ricami, telai, fili, carta, pani, simboli. Nel 1971 in un incidente aereo perse la vita un altro fratello, Gianni, medico apprezzato. Ma quell’anno, per altri versi, fu importante professionalmente perché Maria realizzò, alla galleria Schneider di Roma, una mostra che aveva i telai come tema principale. Conoscere la gallerista Angela Grilletti Migliavacca costituì un passo avanti per la sua carriera perché l’esperta divenne sua fedele amica e consigliera, ma pure sua curatrice; altrettanto importante fu Mirella Bentivoglio, storica dell’arte, che le consentì di arrivare alla Biennale di Venezia, nel 1978.

In una ricorrenza simbolica per la storia italiana, l’8 settembre del 1981, mise in atto un’impresa unica ed eccezionale, nata dal suo desiderio di celebrare la pace, la solidarietà, l’energia vitale. Per lungo tempo aveva cercato di convincere la popolazione del suo paese natale a realizzare la prima creazione al mondo di “arte relazionale” intitolata Legarsi alla montagna, finché riuscì nell’intento. Un progetto grandioso e complesso che richiese giorni di preparazione e tre giorni per compiersi; furono utilizzati 27 km. di stoffa celeste per legare fra di loro le persone coinvolte e alcuni pani decorati e augurali della tradizione sarda (“su pani pintau”), mentre l’estremità opposta della striscia fu portata in vetta al monte Gedili che sovrasta Ulassai; si formò così un cerchio simbolico di unione e armonia, al suono del flauto di Angelo Persichelli. Quell’anno realizzò anche una Via Crucis che donò alla chiesa parrocchiale del paese, mentre con l’amico artista Costantino Nivola, di lì a poco, nasceva il progetto del Museo a cielo aperto.
Un’altra opera significativa fu compiuta nel 2006 con quei cartigli che hanno caratterizzato l’arte di Maria Lai e che hanno lo scopo primario di “tessere memorie”, esposta all’interno del bel museo etnografico di Aggius (Sassari): il Meoc, intitolato a Oliva Carta Cannas, sorto grazie alla donazione di alcuni edifici e del terreno dagli eredi della donna, abile tessitrice.

Venne infatti organizzata una mostra dei lavori di Lai dal titolo I fili ed altre storie; basta entrare nel museo per capire il senso del messaggio: vi sono esposti infatti dei magnifici manufatti creati nel passato da sconosciute mani di donna che dimostrano quanta creatività, quanta abilità, quanta pazienza sia necessaria per applicarsi al telaio. La tessitura è un’arte antica, tipicamente femminile, che per tradizione sia in Sardegna sia in molte parti d’Italia veniva praticata nelle proprie abitazioni dove si realizzavano i corredi composti da lenzuola, tende, tovaglie, coperte con filati di canapa, cotone, lino. Ma le più esperte si dedicano anche oggi alla creazione di splendidi arazzi di lana, tappeti, cuscini, vere forme d’arte da cui emergono simboli tramandati di generazione in generazione. Ecco dunque le spighe di grano porta fortuna, la tipica pavoncella, gli animali da cortile e quelli selvatici, i fiori stilizzati, la coppia in abiti festivi che sembra pronta per il “ballo tondo”. I colori variano secondo il gusto della lavorante e secondo lo scopo del manufatto, saranno vivaci e ricchi di contrasti per un arazzo da appendere al muro, ad esempio, ma saranno tenui e sfumati per una tenda, addirittura monocromatici, bianco o ecru, per cui il disegno emerge solo perché creato con minuscoli pallini in rilievo detti “pipiones“.
Due anni dopo, il 26 luglio 2008, sempre ad Aggius, nacque il progetto Essere è tessere. Ancora ne fu ideatrice e protagonista Maria Lai, all’epoca quasi novantenne, che riuscì a coinvolgere la popolazione locale in quella che divenne una festa collettiva nel dipanarsi, proprio come un gomitolo, per le vie del borgo. Canti in lingua corso-gallurese, letture, giochi, mentre le donne mostravano la propria abilità e la propria fantasia tessendo all’aperto. Intanto Maria creava, infatti sui muri di alcune case oggi si possono ammirare le sue opere: dei telai stilizzati con fili metallici, dai colori brillanti, che rimandano al tema della giornata e alla manualità femminile.


Da allora Maria Lai fu sempre più nota e cominciò a partecipare a mostre ed eventi in tutto il mondo, compresa la Biennale di Venezia; nel 2004 arrivò la Laurea honoris causa all’Università di Cagliari; fece amicizia e attuò progetti con Bruno Munari, Dario Fo, lo stilista Antonio Marras, le cantanti sarde Marisa Sannia ed Elena Ledda. Ottenne il premio speciale della giuria al Premio Dessì nel 2007, un altro riconoscimento nel 2012 (Premio Ciampi-città di Livorno); la Camera dei Deputati ha omaggiato la sua opera Orme di leggi in occasione del 150° dall’Unità d’Italia.
Negli ultimi anni di vita, sempre attiva e vivace, ha portato a compimento il suo sogno: nella rimessa della ex stazione ferroviaria di Ulassai ha fatto nascere nel 2006 il Museo d’arte contemporanea che contiene 140 sue opere e rimane la più ampia e varia testimonianza del suo personalissimo percorso artistico.



Il nome di Maria Lai ormai ha varcato i confini e gli oceani; è molto amata e apprezzata negli Usa e i suoi lavori sono ospitati nelle più importanti istituzioni museali, da Matera a New York, da Parigi e Roma, da Rovereto a Firenze, da Palermo a Nuoro.
Qui le traduzioni in inglese, francese e spagnolo.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
