Alba Florio. La poeta dimenticata

«Sradicata in ogni parte della terra
non trovo mai uno spazio che mi si adegui,
talvolta penso a un rifugio di stelle lontane,
ma verrà un giorno che dovunque
sentirò la bellezza della terra.
La giustezza dei suoi confini
e finalmente libera da pietà di me stessa
in uno spazio mai conosciuto mi fermerò come una musica 
dimenticata».
Alba Florio, Sradicata, in Ultima striscia di cielo, 2000.

Maria Alba Fortunata Florio, ritenuta una delle ultime esponenti del decadentismo italiano, nasce a Scilla, in Calabria, il 21 aprile 1910. Il padre, Umberto Florio, era un proprietario terriero, e la madre, Giuseppina Trovato, una gentildonna. Alba non frequentò l’università e, a differenza di suo fratello Nicola, che si trasferì a Messina per studiare giurisprudenza, fu costretta a rimanere in quello che, all’epoca, era ritenuto il suo posto nel mondo: la casa familiare. Tuttavia, visto il ceto sociale a cui apparteneva, non poteva crescere illetterata, perciò venne seguita da istitutrici private, dimostrando una particolare predisposizione per la letteratura e le materie umanistiche. 

Aveva appena 14 anni quando alcune delle sue poesie vennero pubblicate sul periodico locale Scilla. Queste confluirono presto nella prima raccolta, Estasi e preghiere, del 1929, supportata dalla prefazione di Francesco Spoleti, intellettuale nativo di Bagnara. In questi primi componimenti ritroviamo elementi tecnici chiaramente ispirati alla metrica di Giovanni Pascoli, applicata a temi che Alba affronta con una maturità sconcertante per l’età, come il male di vivere, la disperazione, lo sgomento suscitato dai fenomeni naturali.

La sua poesia venne definita da Antonio Piromalli, critico e autore di pubblicazioni sulla letteratura calabrese, «solitaria e drammatica». Catturò anche l’attenzione di Vincenzo Gerace, poeta di Cittanova, che proprio nel 1929 vinse il Premio Accademia Mondadori per la Letteratura italiana, che fece conoscere la poetica della scillese pure al caro amico Benedetto Croce.
Il suo carattere riservato e l’esser donna non favorirono il riconoscimento critico e la diffusione delle sue opere, rimaste confinate fuori dai circuiti editoriali e dai salotti delle grandi città. Dopo la pubblicazione della prima raccolta, decise di dare le proprie poesie in stampa soltanto a piccole case editrici, scegliendo intenzionalmente di non affidarle a imbonitori pubblicitari e speculatori capitalisti del settore. Questa scelta le costò cara: i suoi scritti non ebbero un vasto numero di lettori e lettrici contemporanei, le raccolte non sono state adeguatamente conservate nel corso degli anni, né stampate in nuove edizioni o inserite in collane che ne potessero riportare in auge la memoria. Anche a causa delle posizioni ideologiche, il suo nome è finito nel dimenticatoio, nonostante si tratti di una poeta dal valore letterario incommensurabile. Le sue opere risultano oggi introvabili, le informazioni su di lei scarse, poiché esclusa dal canone dominante, ma anche da coloro che si proponevano come alternative. Non sarebbe assurdo ipotizzare che anche l’essere nativa di una regione marginalizzata come la Calabria possa aver inciso sulla scarsa diffusione dei suoi testi e sul suo isolamento sociale, in parte voluto ma in parte imposto dall’ambiente d’appartenenza.

Nel 1936 pubblica un’altra raccolta di poesie, Oltremorte. In essa si ritrovano sia le influenze del dramma esistenziale di Giuseppe Ungaretti, che le sperimentazioni stilistiche di Salvatore Quasimodo, che l’autrice conobbe di persona durante i soggiorni sullo Stretto del poeta, vincitore, nel 1959, del Premio Nobel per la letteratura. 
L’anima di Oltremorte è «povera», aggettivo molto sentito dalla poeta, che immette in un clima di solitudine in cui vivono i semplici, i bambini, i soldati: «il piccolo pianto dei bambini | che a sera | veniva dagli usci», si maturano «semi di mali futuri», lo spettro della guerra minaccia il futuro dei più piccoli. Si rimpiange «la perduta infanzia», l’innocenza. Viene raccontato il rapporto con i morti del Risorgimento italiano, i Padri delusi, traditi: «il sangue degli avi rifluisce e si devasta in noi, le cose i volti cari si disfanno e ci lasciano a riva».

Nel 1939 Alba Florio completò e diede alle stampe Troveremo il paese sconosciuto. La raccolta di versi ebbe, a differenza delle prime, una più ampia cassa di risonanza (vinse, peraltro, il Premio Fiera di Messina). In questo terzo volume appare più marcato il tema del pessimismo esistenziale, ma si svelano una personalità e una sensibilità non comuni, che si rivedranno in seguito nel suo impegno sociale, nella descrizione delle «madri povere che portano dentro bambini come una colpa», dei soldati che «tentano rari sorrisi di condannati» scivolando in un clima di rassegnato dolore. Alba Florio, a differenza di molti altri scrittori e scrittrici contemporanei, non cerca di creare una via di fuga dalla realtà storica in cui si trova immersa, piuttosto tenta di rappresentarla, pur continuando ad aspirare al bello stile.

«Ora coi passi spezzati | e la carne trafitta | stai solo», «O tu che non potrai tornare | al fiato lucente dei giorni», «Sconosciuto a te stesso | alla memoria dei vivi, | in poco spazio chiuso», «O tu che più non sai | la tacita preghiera | e non ricordi il colore dei giorni», «Ora che tu non sei, | sterile il tempo consumo», «Dove sono i tuoi occhi | grandi cieli turbati?», «Sui tuoi occhi divisi dalla luce | cresce il mare del tempo». 

Si concentra sulla descrizione di coloro che andranno a morire, in una visione del tutto pessimistica dell’esito del loro viaggio, prevedendo come i loro nomi verranno dimenticati. Il male principale è la vita, gli uomini sono condannati a essere docili anche quando perdono la luce degli occhi di creature amate, dei figli, perché «tutto in noi si rivela distruzione» e il tempo, come un mare pietoso, ci porta a una speranza di fine.
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, il 18 dicembre 1945 Alba si sposa con Rocco Minasi, giovane avvocato, anch’egli di Scilla, molto impegnato in politica, uno dei protagonisti della Resistenza a Roma contro l’occupazione nazista. Nel frattempo la donna iniziò a muoversi da Scilla e, specie dopo la liberazione dal nazifascismo, cominciò a frequentare la Libreria Saitta a Messina, un cenacolo nel quale si ritrovavano figure importanti della cultura del Novecento come Quasimodo, Giacomo Debenedetti, nonché Giovanni Antonio Di Giacomo (poeta dialettale meglio noto come Vann’Antò), Salvatore Pugliatti. Un gruppo di amici che diede vita a rilevanti iniziative culturali, tra le quali l’Accademia della Scocca.
Quando Minasi venne eletto alla Camera dei Deputati, nel 1953, Alba si stabilì assieme a lui a Roma. Fu molto attiva nella campagna elettorale del marito e fu anche sindacalista, entrando pure a far parte dell’Unione Donne Italiane. Nella capitale si batte per i diritti delle donne, ma anche degli operai, dei contadini, si interessa alle lotte che scoppiano in Italia in quel periodo, andando contro il padre, che da grande proprietario terriero del sud aveva un pensiero radicalmente opposto riguardo i salari da corrispondere ai braccianti. 

Nel 1956 pubblicò la raccolta Come mare a riva. L’essere umano diventa simile al naufrago in mare aperto che tenta di raggiungere il porto, la soluzione delle sue lotte personali e sociali. Si sente l’influenza di Quasimodo, ma questa volta i temi della rassegnazione, della vita e della morte trovano nuova e più vitale espressività e ritornano i colori del mare e delle stagioni. Qui Florio sovrappone alla tensione drammatica i quadri paesaggistici umanizzati in cui gli alberi giungono ad ali spiegate : «alberi valicavano montagne / s’addensava il fiato del vento / colombe fermavano l’ultima luce / sulle miti fontane / e s’apriva un’ebrezza di cadute». Sono riconoscibili i paesaggi calabresi, i letti delle fiumare sui quali dominano i cespugli degli oleandri, delineati con parole poetiche che ben sostituiscono la rappresentazione pittorica. Il mare di Florio non è quello di Montale, non è l’«antico», l’«amico»; per lei il mare ha sempre il buio (il colore nero è quello dei cataclismi cosmici, dei timori apocalittici) dei temporali e degli uragani. La condanna si matura nel tempo, questo è un tema fondamentale: la memoria, la vecchiaia, l’abitudine. Alba temeva di vivere per sempre, di andare avanti per inerzia, senza poter modificare nulla di ciò che era scritto nel suo destino.

Si deve ad Antonio Piromalli l’aver fatto conoscere la poeta, che non ebbe mai la notorietà che meritava, risultando presente solo in alcune antologie curate da Paolo Borruto, Luca Pignato e da Vann’Antò, e in un volume, pubblicato di recente, intitolato Donne di carta. Scrittrici e personaggi letterari femminili in Calabria
Si trasferì a Messina dopo la scomparsa del coniuge, avvenuta nel 1994. Ritiratasi a vita privata, si dedicò alla famiglia, soprattutto ai numerosi nipoti a cui era molto legata.
Nel 2000, a seguito di una lunga pausa durante la quale non aveva mai smesso di scrivere, in occasione dei suoi 90 anni, pubblica la raccolta Ultima striscia di cielo, in cui costruisce il percorso di un io lirico che ha un passato, una madre, una terra d’origine, qualcuno che ama, entra in gioco il ricordo della guerra, della Resistenza. Il titolo richiama l’avanzata età della scrittrice, l’impressione che la fine si stia avvicinando.

Muore a Messina in 31 maggio 2011, all’età di 101 anni. 

Donna che ha vissuto per più di un secolo, attraversando conflitti mondiali e mutamenti sociali, resta in attesa di un giusto riconoscimento nel contesto della letteratura italiana, così come altre/i artiste/i calabresi.

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Articolo di Desirée Rizzo

Studente del corso di laurea magistrale in Editoria e Scrittura presso l’Università di Roma La Sapienza, dove coltiva la sua passione per la letteratura e la filosofia. Laureata in Beni Culturali all’Università di Roma Tor Vergata, è amante dell’arte e del cinema horror, e si dedica con entusiasmo alla scrittura, con l’obiettivo di affermarsi come autrice di narrativa.

Un commento

  1. Grazie per avermi fatto conoscere questa autrice obliata ma meritevole di interesse, spesso sono proprio le donne ad aver visto soffocare la loro vena artistica per motivi legati al loro tempo e non solo..Ed è bello ridare loro voce riportandole in un certo senso in vita. Grazie

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