Milano non dimentica l’impegno delle donne partigiane e ne valorizza i profili. In occasione dell’80° Anniversario della Liberazione la Giunta comunale milanese ha infatti deliberato l’intitolazione di nove spazi pubblici cittadini, uno per municipio, a partigiani e partigiane al fine di ricordare l’importanza della Resistenza e di chi ha lottato per la democrazia e la libertà. Diceva Gramsci «Vivo, sono partigiano, perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti».
I nomi sono stati indicati dai singoli Municipi e approvati dal Comitato di coordinamento di “Milano è Memoria”: Municipio 1, Alba Dell’Acqua; Municipio 2, Maria Monturo; Municipio 3, Jenide Russo; Municipio 4, Giovanna Boccalini; Municipio 5, Elsa Parmigiani; Municipio 6, Giuliana Gadola; Municipio 7, Albino Abico; Municipio 8, Staffette partigiane; Municipio 9, Margherita Belotti. Sono piccoli passi avanti nella memoria storica visto che, purtroppo, ancora oggi in Italia su cento nomi maschili ci sono solo nove nomi femminili nella toponomastica.
Sui libri di storia spesso non vengono neanche menzionate eppure le donne hanno sempre avuto un ruolo importante per la lotta a favore dei diritti e delle libertà nei vari secoli e non si sono mai tirate indietro quando occorreva lottare. Non possiamo certo in poche righe raccontare tutta la loro vita e citarle tutte, ma possiamo trarre di sicuro alcuni spunti di riflessione su alcune di loro e far riflettere sul loro ruolo e importanza è doveroso.
Nel sud di Milano il Municipio 4 ha intitolato, ad esempio, il giardino tra via Ravenna, via Giovanni Battista Piazzetta e via San Dionigi a Giovanna Boccalini (1901-1991) che è stata la “allenatrice-coach” delle sue sorelle Marta, Luisa e Rosetta, che erano calciatrici e insieme hanno fondato il primo Gruppo femminile calcistico. Alle quattro sorelle Boccalini è dedicato uno stadio a Lodi. Giovanna era sposata e non poteva giocare a calcio. Nel 1933 avrebbero dovuto giocare con l’Alessandria calcio, ma il fascismo sospese le partite e fece chiudere il gruppo, era contrario al fatto che le donne potessero giocare a calcio, dovevano solo fare figli e non partecipare a sport di contatto. Giovanna Boccalini è stata pure una attiva politica, sindacalista, femminista. Ha attraversato tutto il ‘900, è stata vicepresidente dell’Inps e si è prodigata per l’infanzia e per i diritti delle donne. Lei e le sue sorelle hanno cercato di combattere gli stereotipi: così come la danza non è solo per le donne, il calcio non è solo per gli uomini. La ricordiamo pertanto in una Milano che si apre alle Olimpiadi con discipline che erano vietate alle donne. Difatti non dimentichiamo che ad Olimpia, nell’anno 776 a.C, nei primi Giochi Olimpici della storia nessuna donna è presente, nemmeno come spettatrice. Le uniche ammesse davanti agli statuari concorrenti furono le sacerdotesse. Non era permesso alle donne non solo partecipare, ma nemmeno assistere ai Giochi Olimpici. Nemmeno ad Atene nel 1896, alla prima Olimpiade moderna, le donne poterono partecipare, poiché De Coubertin volle rispettare la tradizione classica; tuttavia ci fu una competitrice non ufficiale alla maratona, una donna greca di umili origini conosciuta come Melpomene, il cui nome reale era Stamata Revithi, a cui non fu consentito correre nella gara maschile, ma corse da sola il giorno successivo. Nonostante questo suo gesto, non fu ricordata nei medaglieri ufficiali.
E che dire del calcio femminile? In Italia riprese solo nel 1946, a Trieste, dove si formarono due squadre (Triestina e San Giusto) e a Napoli, poi seguite da altre città. Il primo campionato nazionale si giocò nel 1968 (lo vinse il Genova), ma soltanto nell’86 le calciatrici italiane entrarono nella voce “tornei dilettantistici” della Figc. Attualmente si tiene a Lodi il Memorial Boccalini ogni anno, un campionato di calcio studentesco femminile molto seguito.
Il Municipio 5 ha intitolato invece a Elsa Parmigiani (1920-2004) il giardino di via De Sanctis, all’altezza del civico 26. Elsa era definita una bella ragazza della Baia, impiegata alla Solvay di via Benaco; a 21 anni era già una valorosa staffetta e una temeraria partigiana combattente. Cresciuta in una famiglia operaia profondamente antifascista si era buttata subito e con entusiasmo nella milizia politica. Dapprima si era limitata a battere a macchina, di notte, le copie dell’Unità clandestina che il compagno Fontanella Odoardo (Olona) le portava a casa, ma, in seguito, fu trascinata nel vortice della lotta armata. Partecipò ad azioni di guerriglia urbana e, assieme a Mila Fineschi, riuscì a liberare due arrestati; scampò a un suo arresto quando, nelle vicinanze del Parco Ravizza, doveva consegnare al compagno Ricaldone (Edo) i volantini del Partito di cui aveva imbottito le sue calze e un ordigno esplosivo nascosto nella sua borsetta. Elsa Parmigiani, per diverse e coraggiose azioni, è stata decorata con la Medaglia d’argento al valor militare.
Il Municipio 6 dedica invece a Giuliana Gadola (1915-2005) il giardino tra via Carlo Torre, via Filippo Argelati e via dei Crollalanza. Di Giuliana Gadola Beltrami si ricorda che si diplomò al liceo classico Manzoni di Milano nel 1933. Nel 1964 s’iscrisse al Partito socialista italiano, e fece parte della corrente di sinistra che faceva capo a Riccardo Lombardi, ex partigiano. Nel partito s’impegnò a fondo in battaglie quali la legalizzazione dell’aborto, sul cui problema scrisse un libro con il quarto figlio Sergio Veneziani, nato dal secondo matrimonio con Guido Veneziani, partigiano conosciuto durante la Resistenza. Dagli anni ’70 in poi l’attività di Giuliana all’interno dell’Anpi divenne più assidua. Nel 1977 conobbe Mirella Alloisio, che aveva partecipato alla Resistenza come staffetta del Cln della Liguria, e le propose di collaborare alla scrittura di un libro, che raccontasse e analizzasse la partecipazione delle donne delle varie regioni d’Italia alla guerra di liberazione.

Il Municipio 1 ricorda Alba Dell’Acqua, partigiana. Nata a Milano nell’ottobre del 1917, deceduta a Milano il 23 luglio 2011, aveva soltanto 12 anni quando i fascisti fecero irruzione nella casa milanese di suo padre e gli bruciarono tutti i libri nel cortile. La reazione della ragazzina fu quella di impegnarsi nello studio tanto che si laureò giovanissima in matematica e fisica. Entrò nella II Divisione Garibaldi “Redi”, con l’incarico di organizzare gli ospedali volanti e di curare i feriti negli scontri con i nazifascisti.
Il Municipio 2 ha intitolato il giardino di via Transiti all’angolo con viale Monza a una donna partigiana deportata, Maria Montuoro, nome di battaglia Mara. Nata a Palermo nel 1909, nel 1943 dopo l’Armistizio decide insieme al fratello Alfonso, reduce dalla campagna di Russia, alla sorella Ersilia, al cognato e ad altri giovani familiari di partecipare alla Resistenza. Dalla Sicilia arrivano a Milano, entrano a far parte dei Gap e si uniscono alla lotta di Liberazione dal nazifascismo. Arrestata a Belgioioso, vicino a Pavia, dove con il fratello e altri ha una tipografia clandestina, è imprigionata nel carcere di San Vittore. Il 21 giugno del 1944 è caricata, sempre con il fratello Alfonso, su un treno che dal Binario 21 della Stazione Centrale li deporta prima a Fossoli e poi in Germania. Non si rivedranno mai più. Lui morirà a Mauthausen mentre lei riuscirà a tornare in Italia dopo aver vissuto l’orrore del campo di sterminio femminile di Ravensbrück. Nelle sue testimonianze e nei suoi scritti descriverà per anni la sua storia e quella di molte altre donne deportate incontrate nel lager. Rientrata a Milano, dopo la fine della guerra, Maria Montuoro inizia a lavorare per il Comune di Milano come dattilografa dove lavora per 30 anni. Muore a Milano il 3 marzo del 2001. Le sue spoglie riposano al Cimitero di Bruzzano.

Il Municipio 3 ricorda, invece, Jenide Russo che si aggregò al distaccamento 5 giornate e che fu attiva come staffetta partigiana. Nell’ambito della feroce repressione del movimento partigiano milanese, avviata all’inizio del 1944, Eneidina venne catturata in via Aselli il 18 febbraio, a seguito della delazione di un infiltrato, mentre stava portando una borsa contenente nitroglicerina ai partigiani operanti a Villadossola. Jenide venne condotta a Monza, dove fu percossa e torturata e trasferita poi a San Vittore, nel raggio dei politici, per poi essere tradotta, il 27 aprile, nel campo di concentramento di Fossoli.
In una lettera fatta avere clandestinamente alla madre, scrive: «Siccome non volevo parlare con le buone, allora hanno cominciato con nerbate e schiaffi. Mi hanno rotto una mascella (ora è di nuovo a posto). Il mio corpo era pieno di lividi per le bastonate; però non hanno avuto lo soddisfazione di vedermi gridare, piangere e tanto meno parlare. Sono stata per cinque giorni a Monza, in isolamento, in una cella, quasi senza mangiare e con un freddo da cani. Venivo disturbata tutti i giorni perché volevano che io parlassi. Ma io ero più dura di loro». Il 6 giugno fu deportata nel lager femminile di Ravensbruck. Da lì venne trasferita, alla fine del 1944, a Bergen Belsen, dove morì il 26 aprile 1945 per esaurimento e tifo petecchiale.
Il Municipio 9 ha intitolato una via a Margherita Belotti, nata ad Albino (BG) il 24 settembre 1917; ebbe il nome di battaglia “Rina”, divenne Sergente Maggiore e fu staffetta per il comando della 2ª Divisione Garibaldi stanziata in Valtellina.

Tutte donne da non dimenticare e che non si trovano purtroppo sui libri di storia nelle scuole. Diceva Malcom X: «La storia è memoria di un popolo, senza memoria l’essere umano perde la sua identità».
***
Articolo di Cinzia Boschiero

Laureata in Lettere, è giornalista professionista e docente, specializzata su temi europei nei settori ricerca, salute e innovazione. È titolare di ECPARTNERS e lavora come ufficio stampa per diversi enti, associazioni, imprese e come specialista della formazione. Fa parte del direttivo di EUSJA (Ass. europea giornalisti scientifici) e di diverse ass. femminili, come WILEUROPE, EWMD, Fondazione Bellisario.
