Editoriale. Pace e libertà

Carissime lettrici e carissimi lettori, 
osceno. Non pensavo di iniziare così questo già difficile editoriale, nato tra la tristezza di una perdita e il desiderio di celebrare la libertà e la pace. Portare in piazza, come si dice, una festa che si presenta quest’anno soprattutto con un anniversario, gli ottanta anni, segna una data importante per un avvenimento fondante della nostra politica. La Pace e la Libertà, quella conquistata dagli italiani e dalle italiane di quel tempo, è, casualmente, ma pedissequamente, riportata innumerevoli volte proprio nei discorsi pubblici e intimi di quell’uomo che è scomparso da poco, quasi all’alba del giorno celebrato come “Lunedì in Albis”, subito dopo la Pasqua di Resurrezione che, metaforicamente, indica la sconfitta della morte e la celebrazione della vita.
Papa Francesco, il «pastore che ha voluto sentire l’odore delle pecore del suo gregge», come raccomandava di fare ai suoi preti che voleva tutti “di strada”, se ne è andato alla fine di questo mese di aprile definito dal poeta T.S.Eliot chissà perché «il più crudele dei mesi». Francesco, il Papa delle prime volte, come è stato definito, è stato il primo a chiamarsi con il nome del “poverello” di Assisi rivoluzionario verso le ricchezze familiari. È mancato alla luce del mondo a ridosso della celebrazione del 25 Aprile. Fondamentalmente ha sempre celebrato, consigliato, invogliato, come ingiunto in preghiera, il rispetto della libertà, l’abolizione della guerra, di qualsiasi guerra, perché, e lo ha detto proprio a ridosso della Pasqua, «non c’è pace senza disarmo». Lui non è stato ascoltato. Francesco, il Papa che ha voluto il suo primo viaggio a Lampedusa, per dare voce e giustizia a chi era ed è costretto a migrare, a chi muore in mare, spesso per colpa di governi che lo respingono (come è successo a Cutro) o di coloro che non li accolgono, per suprematismo, per paura e, secondo la mentalità di un religioso/a, per mancanza d’amore. 

Giovedì mattina su un muro di Roma è apparso un graffito in cui era rappresentato Bergoglio con un foglio in mano con scritti i nomi di alcuni “grandi” della terra che hanno annunciato di voler partecipare alle esequie di oggi. Un fumetto in alto riporta l’osservazione del pontefice che si chiede chi li avesse invitati. Un buon modo di giocare sul sorriso e l’ironia che hanno caratterizzato questi 12 anni in cui lui è stato con il mondo!
La politica, infatti, rimane cangiante di fronte a questo avvenimento. Più voci hanno notato l’ipocrisia e si sono ricordati i Vangeli con il famoso collegamento del Cristo ai “sepolcri imbiancati”. Un atteggiamento non estraneo al governo nostrano che dopo le magliette con nomi di altri pontefici, elogi ad altri ancora, oggi dichiara Bergoglio amico e “confidente”. 
Il Governo italiano, che spesso si è trovato a “usare” i simboli religiosi per fini propagandistici, soprattutto contro i/le migranti, ha dichiarato cinque giorni di lutto nazionale. Questo a cavallo della ricorrenza del 25 Aprile, degli ottanta anni di libertà e di antifascismo dell’Italia. Si raccomanda “sobrietà”. Ma che vuol dire? Che siamo in un momento di lutto per la morte di Bergoglio e non è possibile sentire la ricorrenza come una festa? Sobrio sul vocabolario. Dal latino sobrius, quindi: non ebrius. «Il 25 Aprile va ricordato non in termini celebrativi o retorici — ha commentato Massimo Cacciari durante un’intervista televisiva —. Se per sobrietà si intende analisi si tende a un giudizio articolato sul significato di quel momento, sui protagonisti di quel momento, sulle differenze che vi sono state già allora, nel modo in cui il processo di liberazione, la resistenza, è stata intesa se si intende come un discorso di educazione e di formazione. Finalmente, allora, viva la sobrietà e basta con le retoriche. Basta con le celebrazioni, con i riti fasulli. Il governo, invece, intende sobrietà nel senso di farlo come l’hanno celebrato loro quando sono stati costretti a farlo da quando sono al governo e cioè non farlo. Cioè metterci il silenziatore e impedire che la gente ragioni sul significato del 25 Aprile. Dopodiché voglio aggiungere, per onestà intellettuale, che non si ragiona sul significato del 25 aprile nemmeno sventolando le bandiere e celebrando così a vanvera l’evento. Si celebrano le cose quando ricorrono davvero, cioè studiando, informando, dicendo come sono andati i fatti, scuotendo. Allora si celebra veramente un anniversario, sennò è pure retorica».
Sulla sobrietà “suggerita” dal Governo nostrano per questo ottantesimo anniversario della fine della guerra e dell’inizio della pace e della libertà, c’è infatti da dire, proprio per dare ragione al professor Cacciari, che per tanti versi ha avuto tristemente successo. Ieri mattina i quotidiani hanno riportato i tanti sindaci che hanno calmierato, se non vietato, molte manifestazioni riguardanti i festeggiamenti del 25 aprile di questo 2025. Da nord a sud si sono aboliti concerti e manifestazioni e c’è persino chi ha vietato che si cantasse Bella ciao: è accaduto a Romano di Lombardia, nella regione omonima, per volere del sindaco. C’è stato addirittura chi ha spostato tutto a domani, domenica 27 aprile e poi tra Toscana, Lazio, Campania e Calabria un’ampia serie di cancellazioni definitive, persino una non concessione di suolo pubblico all’Anpi. «È l’effetto — è stato scritto — della linea Musumeci-Fratelli d’Italia sul 25 aprile “silenziato” per il lutto nazionale per la morte di papa Francesco. Come in una specie di effetto domino». Intanto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che non manca certo di “sobrietà”, ha mantenuto gli impegni presi ed è andato a Genova, come concordato, e lì ha tenuto il suo discorso, come ogni anno ha fatto in diverse città. A onor del vero, poi, sempre per dar manforte alle parole di Massimo Cacciari, il governo non aveva, come dire, “gran voglia” di celebrazioni visto che la (o il) premier subito dopo l’omaggio, “obbligatorio” per la massima carica del governo, all’altare della Patria con il Presidente Mattarella, sarebbe subito partita per l’Uzbekistan. Dunque il lutto per la morte di Papa Francesco non è stato che un ulteriore pretesto per una presa di posizione politica ben determinata, un ennesimo “uso” della religione per una propaganda ideologica.
A Cacciari si aggiunge la professoressa Michela Ponzani, storica e docente all’università di Roma Tor Vergata: «Noi non dobbiamo solo ricordare il 25 Aprile in maniera retorica e celebrativa, ma festeggiare quel momento che è a fondamento della nostra Repubblica e non a porte chiuse, come si fa con gli spettacoli indecenti. Perché la Festa della Liberazione non è uno spettacolo indecente ma è anche allegria». E ritorna, collegandosi a papa Bergoglio: «Papa Francesco la sua resistenza l’aveva combattuta in Argentina, durante il regime, con la sua amica Ester di cui teneva la foto sulla scrivania, che purtroppo non era riuscito a salvarle la vita. Ma poi aveva aiutato molte delle madri di Plaza de Mayo che non avevano mai rinunciato alla verità e alla giustizia per sapere la sorte dei loro figli desaparecidos. Quindi bisogna ricordare questi aspetti di un Papa che è stato davvero dirompente, davvero rivoluzionario, che non ha mai fatto sconti nel suo linguaggio e anche nel rivendicare nello scrivere le sue scelte. Sarebbe un modo corretto di ricordarlo anche alla luce del 25 Aprile».
Anche Marco Politi, vaticanista e saggista, interviene, legando le celebrazioni per gli 80 anni del 25 aprile alla vita e alla scomparsa di Papa Bergoglio e commentando l’invito fatto dal Governo, attraverso Musumeci, alla sobrietà: «Credo che Francesco per temperamento non avrebbe amato discussioni astratte sulla sobrietà, mentre invece con grande lungimiranza politica aveva già individuato nel 2020, prima che scoppiasse la pandemia, quelli che erano i rischi del nuovo totalitarismo. Durante un convegno dei vescovi mediterranei disse: “Io vedo, sento qualcosa che mi ricorda gli anni 30 del secolo passato, il sorgere di questo estremismo populista di destra che scardina la liberaldemocrazia, che cerca capri espiatori”. Prima sono stati gli ebrei, ora gli immigrati. Questo è il grande rischio che si sta diffondendo, dall’Argentina al Brasile, quello di Bolsonaro, prima di Lula, di nuovo agli Stati Uniti. Chi avrebbe potuto immaginare che un presidente sconfitto degli Stati Uniti tentasse un colpo di Stato? In questo Francesco è stato molto lucido nell’indicare il pericolo del nuovo totalitarismo che si fa strada».

Ritornando a Bergoglio a noi ha fatto molto male il ritiro delle condoglianze da parte del presidente di Israele Netanyahu. Forse ha ragione Marco Travaglio che sul Fatto Quotidiano nella “triste conta” dei e delle potenti venuti/e a Roma per Papa Bergoglio, lo gratifica come “unico non ipocrita”, ma indorandogli la pillola definendolo “serial killer”. 
Certo noi avremo sempre nel ricordo le telefonate praticamente quotidiane di questo particolare pontefice al parroco di Gaza. Voleva essere aggiornato, anche durante il suo periodo di ricovero all’ospedale Gemelli, di cosa stesse succedendo lì. Era preoccupato, papa Francesco, dei morti, soprattutto bambini e bambine, che avvenivano in quella striscia di terra sul mare, un mare tra le terre. E lo diceva, apertamente preoccupato. Ha il merito di aver portato agli occhi del mondo le ingiustizie, quelle fatte ai poveri, ai migranti, anche alle donne che sotto il suo pontificato sono entrate in Vaticano, in posti di comando. Ma non basta e anche qui la strada è lunga.
Piace ricordare Papa Francesco per la sua difesa, direi strenua, accanita, per i e le migranti. Lui si sentiva fortemente un immigrato. Perché era effettivamente “figlio” di migranti piemontesi (il nonno) partiti in nave da Genova verso l’Argentina, terra di approdo di tanti e tante tra le persone delle nostre famiglie. Francesco è stato migrante e lo sarà ancora, al di là della vita, con l’ultimo “viaggio” che il suo corpo farà oggi tra San Pietro, dove sono accolti i corpi di altri papi, alla basilica di Santa Maria Maggiore, casualmente a Roma nel quartiere proprio tipicamente aperto alle migrazioni. Qui, a Santa Maria Maggiore, “nella terra”, Bergoglio ha voluto, con il suo scarno e stupendo testamento, essere sepolto. Lì oggi saranno i suoi “poveri” ad aspettarlo e accoglierlo per il suo eterno riposo.
Non dimentichiamo di leggere la poesia che ci consola degli affanni quotidiani di tutti e tutte noi.

Ieri è stato il nostro 25 Aprile, lo abbiamo festeggiato, con sobrietà, ma non come lo intendeva e lo voleva imporre il governo. Oggi non dimentichiamo di leggere la poesia che ci consola degli affanni quotidiani di tutti e tutte noi. 
La prima poesia è di Paul Eluard (1895-1952). Poi un altro grande poeta francese, Charles Baudelaire 1821-1897).

Libertà

Su i quaderni di scolaro
Su i miei banchi e gli alberi
Su la sabbia su la neve
Scrivo il tuo nome

Su ogni pagina che ho letto
Su ogni pagina che è bianca
Sasso sangue carta o cenere
Scrivo il tuo nome

Su l’assenza che non chiede
Su la nuda solitudine

Su i gradini della morte
Scrivo il tuo nome

Sul vigore ritornato
Sul pericolo svanito
Su l’immemore speranza
Scrivo il tuo nome

E in virtù d’una Parola
Ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per chiamarti

Libertà.

(Paul Éluard)

L’uomo e il mare

Uomo libero, sempre amerai il mare!
È il tuo specchio il mare: ti contempli l’anima
nell’ infinito muoversi della sua lama.
E il tuo spirito non è abisso meno amaro.

Divertito ti tuffi in seno alla tua immagine,
l’abbracci con lo sguardo, con le braccia e il cuore
a volte si distrae dal proprio palpitare
al bombo di quel pianto indomabile e selvaggio.

Siete discreti entrambi, entrambi tenebrosi:
inesplorato, uomo, il fondo dei tuoi abissi,
sconosciute, mare, le tue ricchezze intime,
tanto gelosamente custodite i segreti!

Eppure ecco che vi combattete
da infiniti secoli senza pietà né rimorso,
a tal punto amate le stragi e la morte,
o lottatori eterni, o fratelli implacabili!

(Charles Baudelaire)

Che sia stato per tutti e tutte un buon 25 aprile che ci rende libere e liberi da chi ha voluto e accettato i lagher e le violenze. Con il cuore triste per la mancanza di un Papa e un uomo chiaro e coraggioso che ha parlato, inascoltato, al mondo, auguriamo una buona lettura.

Il nuovo numero di Vitamine vaganti si apre con la protagonista di Calendaria della settimana: Alma Phil, orafa e designer«una figura d’avanguardia in un campo dove solitamente non venivano impiegate le donne.» Si rimane nel mondo dell’arte con Leonetta Cecchi Pieraccini, una delle rappresentanti della Secessione romana, e Artiste contemporanee in mostra a Londra, una rassegna delle maggiori mostre dedicate ad artiste che per decenni sono state trascurate e dimenticate. 
Si passa poi alla geopolitica: Allarme a Sud-Est. Il numero 2 /2025 di Limes, si sofferma soprattutto sui tre Imperi, quello turco, quello iraniano e quello “in formazione” costituito da Israele, che si sta espandendo territorialmente, ingaggiando guerre su più fronti e sterminando la popolazione civile di Gaza; La presentazione del Libro bianco per la formazione sulla violenza contro le donne descrive l’incontro a più voci sul testo da cui «si partirà per elaborare le Linee guida per la formazione sulla violenza contro le donne previste dall’art. 6 della legge 168 del 24 novembre 2023.»; si vola dall’altra parte del mondo in Australia in chiaro scuro. Intervista a Sara Del Piano, giovane italiana emigrata che racconta la sua esperienza; A rischio di estinzione. Terza parte, è l’analisi del report di Amnesty International sulla situazione della comunità Lgbtq+ in Africa. Jeans, Eskimo e omologazione. Parte prima si addentra nella storia della rivoluzione che furono la macchina da cucire, il pret-à-porter e la confezione industriale.
 Si passa alla scienza con Anne L’Huillier, fisica. L’arte di cogliere l’attimo fuggente che presenta la donna che vinse il premio Nobel per la fisica nel 2022. Un’orchestra femminile rende omaggio alle musiciste dell’Ospedale della Pietà fa conoscere la straordinaria storia di un’orchestra tutta al femminile, Les musiciennes du Concert des Nations. Le signore della Loira è la recensione del libro di Maria Paola Fiorensoli Le signore della Loira. Storia e storie tra letteratura, arte, tradizione e leggenda dall’alto Medioevo al primo Ottocento, un’affascinante carrellata di nomi femminili volutamente messi da parte dalla storiografia.
I racconti di questa settimana sono Il silenzio del tessuto, una storia d’amore che nasce a Bologna negli anni della Seconda guerra mondiale; e Penelope dei quanti, vincitore a pari merito della “Sezione Narrazioni” del concorso Sulle vie della parità. Il numero si conclude con una gustosa ricetta: La cucina vegana. Frittata di asparagi. A tutte e a tutti auguriamo buon appetito!

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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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