L’influenza dei media nella costruzione degli stereotipi di genere

I mass media sono strumenti interiorizzati nella società, che trasmettendo informazioni si sovrappongono alle classiche pratiche comunicative. La nostra conoscenza del mondo non è mai diretta e neutrale, ma sempre mediata e filtrata da ciò che Walter Lippmann definisce pseudo-ambiente: una realtà costruita dai media, che fornisce immagini e ideali a cui le persone tendono ad attenersi.
In questo contesto, i media non si limitano a raccontare il mondo, ma contribuiscono attivamente a definirne le dinamiche e le diseguaglianze sociali, influenzando la percezione dei ruoli di genere. La rappresentazione della donna nei media è spesso il risultato di codici culturali consolidati, di natura patriarcale che vanno a rinforzare stereotipi e modelli preesistenti.
«Come e quanto i media influenzano la costruzione degli stereotipi di genere?» è la domanda su cui si fonda la mia tesi. Partendo da un’analisi della costruzione sociale del genere e del ruolo che i media hanno avuto nella sua rappresentazione, il mio lavoro esplora il modo in cui immagini, narrazioni e linguaggi contribuiscono a modellare l’identità di genere nella società contemporanea.
Il focus centrale è il Male gaze (sguardo maschile), concetto introdotto da Laura Mulvey in Visual Pleasure and narrative cinema nel 1975, che definisce come la costruzione mediale di una donna appaia sempre da una prospettiva maschile eterosessuale, che tende a opprimere la donna ponendola sempre come oggetto passivo e, conseguentemente, rendendola vittima di oggettivazione e sessualizzazioni.
Il Male gaze si esprime in tutte le forme della rappresentazione mediatica, nella mia tesi ho analizzato in particolare la pubblicità, partendo da Gender Advertisements (1979), studio di Erving Goffman in cui ha analizzato il modo in cui la pubblicità rafforza le disuguaglianze di genere, partendo proprio dalla costruzione dei corpi.
Secondo Goffman, le donne nelle pubblicità vengono spesso raffigurate in posizioni che trasmettono fragilità, dolcezza e subordinazione rispetto all’uomo. I loro gesti sono delicati, le mani sfiorano gli oggetti invece di afferrarli con decisione, come se fosse necessario rimarcare la loro leggerezza e grazia. Anche la postura gioca un ruolo fondamentale: i corpi femminili appaiono spesso inclinati, con la testa leggermente piegata o lo sguardo rivolto verso l’alto, suggerendo un senso di vulnerabilità e dipendenza. Al contrario, gli uomini vengono rappresentati con un atteggiamento dominante, in piedi, saldi, con lo sguardo dritto e sicuro. Questa costruzione si riflette anche nel modo in cui viene rappresentata la relazione uomo-donna, riproducendo spesso una gerarchia di potere.

Negli anni ’50 e ’60 il sessismo nelle pubblicità era palese, basti pensare alla pubblicità del caffè Chase Sanborn del 1952, in cui si ironizzava sulla violenza domestica, o alla locandina di Van Heusen (1951), che dichiarava esplicitamente che “il mondo è degli uomini”. Modelli che oggi ci sembrano lontani negli anni, ma che sono stati interiorizzati dai nostri genitori e nonni, e ciò ha prodotto di conseguenza una società ancora intrisa di questa visione subordinata della donna, infatti nelle pubblicità contemporanee il maschilismo è ancora presente, ma riesce a nascondersi meglio.
Se si analizzano le pubblicità contemporanee, si nota come la donna venga ancora inserita all’interno di categorie rigide, che limitano la sua rappresentazione a ruoli ben definiti e spesso stereotipati. La donna madre, angelo del focolare, dedita alla cura della casa, e la gestione dei figli. C’è la donna in carriera, forte e indipendente, ma che deve comunque mantenere una certa grazia e femminilità per essere accettata, quello che avviene è letteralmente un compromesso tra ciò che assomiglia a una concessione fatta nei confronti del genere femminile (il poter essere indipendenti) e il prezzo della concessione (in questa indipendenza continuare a essere compiacente!).
Poi c’è la donna erotica, costruita per soddisfare il target maschile eterosessuale, in tal caso il corpo della donna è ingiustificatamente sessualizzato, portandola a essere provocante in ambiti che hanno poco a che fare con la dimensione erotica.

Un aspetto centrale della pubblicità odierna è la spettacolarizzazione del corpo femminile, che non si limita a un ruolo specifico, ma attraversa tutte le rappresentazioni della donna. L’enfasi sul corpo perfetto, le linee toniche e la pelle senza imperfezioni impone uno standard di bellezza irraggiungibile, che a lungo andare può portare le spettatrici a sentirsi inadeguate. Anche nelle pubblicità che promuovono inclusività e body positivity, la bellezza e l’estetica restano elementi fondamentali dell’identità femminile, indipendentemente dal contesto.
Questi messaggi non sono veicolati solo nei media con un target principalmente adulto, ma ne esistono forme insidiose anche nelle pubblicità per i più piccoli, vittime perfette per costruire stereotipi, dato che è una età in cui non è presente una piena consapevolezza delle costruzioni sociali. I giochi destinati alle bambine ruotano intorno alla sfera domestica e alla cura: cucine giocattolo, bambole da accudire, piccoli elettrodomestici. Il rosa domina la scena e ogni elemento suggerisce dolcezza, delicatezza, che fa nascere l’aspettativa di essere mogli e madri all’altezza. Al contrario, i giochi per i maschi trasmettono un’idea di azione, potere e, in alcuni casi, aggressività: macchinine, soldatini, supereroi, strumenti da costruzione. Anche i colori rafforzano questa divisione, con il blu che richiama la mascolinità.
Questa divisione porta con sé profonde implicazioni sociali, perché bambine/i interiorizzano lo stereotipo e vengono educati a “interpretare” determinati luoghi comuni, ponendo così attenzione all’aspettativa sociale e non al loro vero desiderio, infatti non è raro vedere come le bambine siano meno incentivate allo spirito di iniziativa e i bambini percepiscano l’empatia e la cura come caratteristiche non idonee al loro genere.

Le dinamiche pubblicitarie dimostrano come la rappresentazione della donna nei media sia cambiata solo in superficie. Le etichette si sono evolute, adattandosi a un contesto sociale più consapevole, ma i meccanismi alla base della costruzione mediatica del femminile continuano a riprodurre gerarchie di genere che, seppur meno visibili, influenzano profondamente la percezione della donna nella società contemporanea. Tutto questo dimostra come il Male gaze sia modello culturale radicato che attraversa tutti i media. 
Negli anni i movimenti femministi hanno giocato un ruolo fondamentale nel mettere in discussione la rappresentazione stereotipata della donna nei media, portando una sensibilizzazione a 360 gradi con una conseguente lotta per un disegno più veritiero e inclusivo.
Grazie a queste battaglie oggi vediamo una maggiore sensibilità e varietà di narrazione, sebbene ci sia ancora molta strada da fare per abbattere le strutture patriarcali che regolano la società e l’intrattenimento mediale.

Per una riflessione più approfondita, la tesi completa è disponibile al seguente link: https://toponomasticafemminile.com/sito/images/eventi/tesivaganti/pdf/321_Brescia.pdf

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Articolo di Margherita Brescia

Laureata in Cinema e nuovi media con una tesi sull’influenza dei media nella costruzione degli stereotipi di genere, è attualmente studente magistrale in Giornalismo. I suoi interessi ruotano attorno alla comunicazione, ai media e alle tematiche di genere, con particolare attenzione al modo in cui l’informazione contribuisce a modellare l’immaginario collettivo.

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