Maria o Marietta Barovier, maestra vetraia

Le perle di vetro sono piccoli oggetti artistici dal grandissimo fascino. Belle, colorate, amate, ricercate, al collo di donne e di uomini, presenti nei santuari e nelle sepolture, usate in cerimonie tribali, di iniziazione e religiose, applicate nei vestiti, collezionate. Scambiate negli acquisti: pare che l’olandese Peter Minuit nel 1626 abbia aggiunto una manciata di perle per concludere con i nativi Lenape l’acquisto dell’isola di Minnahanock, quella che oggi è conosciuta come l’isola di Manhattan. 

L’origine dell’arte veneziana del vetro è probabilmente legata al mondo romano. Tra le prime testimonianze dirette nell’Italia settentrionale ci sono due bottiglie di vetro facenti parte di un corredo funerario del II sec. d.C. ritrovate in una tomba in Austria. Sul fondo delle bottiglie un bollo che rappresenta il marchio “di fabbrica” della produttrice: Sentia Secunda facit Aquileiae (Sentia Secunda fece Aquileia). Ma l’arte veneziana del vetro assume ben presto caratteri propri dovuti alle influenze tecniche asiatiche e arabe facilitate dalla intensa attività di scambi commerciale della Repubblica marinara di Venezia nei porti dell’Impero Bizantino.
Dopo la conquista di Costantinopoli (1204), giunsero a Venezia maestri vetrai greci e turchi, detti phiolieri, poiché soffiavano fiales de vin: nacquero così le bottiglie veneziane, contraddistinte da un cerchio azzurro sul collo e dal bollo della Repubblica che garantiva alla Serenissima un esclusivo monopolio valido per tutte le varianti locali: bucae, fiole, inghistere.

Le prime notizie su imprenditrici del vetro a Venezia risalgono al 1279, quando Molfina, padrona di una fornace che produceva bottiglie e bicchieri, viene citata sui documenti locali per non aver rispettato il periodo di riposo annuale delle fornaci. Dagli atti risulta che nel Trecento Daniota era amministratrice di una fornace di grani da rosario — paternostri, perle e gemme in vetro — veriselli. Altre presenze le troviamo nel 1350 quando Francesca di Pianiga e Bionda di Strata gestivano le fornaci ereditate e i relativi vincoli lavorativi con i dipendenti. 

Nelle fornaci e nelle botteghe artistiche, tutta la famiglia era impiegata nell’attività, dove figlie e figli imparavano l’arte con la prospettiva di garantire, anche alla Repubblica, la continuità nel tempo della produzione. Nonostante la figura maschile fosse quella ufficiale, le donne non erano escluse dalla gestione del lavoro. Lo comprovano le testimonianze che tra il 1386 e il 1393 Lucia Barovier Galliera, Lucia Sbraia Schiavo e Margherita D’Arpo ereditarono e gestirono le fornaci di famiglia e Lucia Bartolomei ricevette l’ordine di fornire misure di vetro alle taverne. Nello stesso secolo, a Benvenuta da Santa Maria Nova fu ingiunto di sospendere la sua produzione cittadina di pietre per anelli. 

Per il timore di incendi, con un decreto del Maggior Consiglio del 1291, quasi tutte le fornaci di Venezia furono concentrate nell’isoletta di Murano, anche per garantire che i segreti dell’arte vetraria non potessero essere esportati. Tra le fornaci più importanti risalta quella della famiglia Barovier o Berroviero impegnata nella produzione del vetro dal XIII sec.
In questa famiglia nasce Maria Barovier, detta Marietta, figlia di Polonia che ne attesta l’esistenza citandola nel testamento del 13 settembre 1431 quando le assegna la somma di sessanta ducati in caso di matrimonio. A Venezia, e non solo, all’epoca era uso fare testamento prima di ciascun parto dato l’alto rischio di incorrere in complicazioni. Pertanto si può presumere, non avendo fonti scritte al riguardo, che Maria, essendo secondogenita di cinque e già vivente nel 1431, possa essere nata tra il 1426 e il 1428, mentre non si hanno indicazioni sulla data di morte. Il padre Angelo è un maestro vetraio di eclettica cultura umanistica, filosofo e alchimista. Le sue sperimentazioni basate sugli studi di chimica gli fanno raggiungere un traguardo inedito: “inventa” infatti il vetro cristallo. Questo nuovissimo prodotto trova da subito la tutela del Governo di Venezia per impedire il trafugamento del segreto di lavorazione, concedendone la fabbricazione anche nei mesi di inattività delle fornaci e garantendo prestigio e soldi alla città. 

A Murano i vetri soffiati soltanto in questo secolo presero forme artistiche con l’aggiunta di pitture a smalto e dorature, innovazioni che i muranesi ereditano dall’Oriente. Dalla fornace dove lavora Maria esce anche l’attuale oggetto simbolo del Museo Vetrario di Murano: la coppa Barovier, una coppa nuziale in vetro blu cobalto con decorazioni a smalto dipinte da lei. Il prezioso manufatto è uno dei più celebri esempi di vetro artistico del Rinascimento per la leggerezza delle sue decorazioni policrome, per il suo colore unico. Maria dipinge gli eleganti motivi beneauguranti e utilizza colori preziosi, dal rosso rubino al verde smeraldo, dall’ametista al bianco lattimo al calcedonio, per raffigurare un gruppo di fanciulle a cavallo da un lato, e dall’altro il bagno nella fontana dell’amore e della giovinezza. Non dipinge solo questa coppa, ma tutti gli oggetti simili coevi caratterizzati da colori raffinati e da una straordinaria varietà di ornamenti, e abbellimenti, con temi sacri e profani e il ritratto degli sposi per cui l’oggetto veniva realizzato.

Maria continua a produrre e lavorare nella fornace e, a seguito della morte del padre, nel 1460, ne divenne titolare insieme al fratello Giovanni. È una artista innovativa, cerca una combinazione di colori con una forma che incanti lo sguardo. Intorno al 1480 dà alla luce le perle a rosetta e rivoluziona il mondo delle perle di vetro. Dalla sovrapposizione di sei strati concentrici di vetro di colore bianco avorio, rosso coppo e blu, con disegni interni a forma di stella a dodici punte, intarsiate o a mosaico, crea una lunga e sottile canna di vetro forata da tagliare in cilindretti. I cilindri forati vengono successivamente molati e arrotondati, assumendo la caratteristica forma a botticella. Questo tipo di perla ha contribuito a cambiare i destini del mondo poiché ben presto diviene il simbolo di una sorta di “nobiltà” di un piccolo oggetto capace di influire enormemente sulle scelte degli esseri umani. È diventata la perla di scambio più usata al mondo a cui sono stati anche attribuiti poteri magici, usata nei mercati di tutti i continenti, e pure per liberare prigionieri o ottenere privilegi e concessioni. 

Maria Barovier a questo punto della sua vita sente il desiderio e la necessità di avere una fornace “tutta per sé” dove esprimere liberamente la sua arte e chiede l’autorizzazione al Doge di costruire una piccola fornace a proprio uso esclusivo dove poter cuocere i vetri smaltati ornati che le venivano commissionati. E il Doge la autorizza con Decreto del 26 luglio 1487 con parole di elogio per l’opera della maestra vetraia:

«Marietta gratissima ob eius mirum artificium manus in
conficiendis laboreriis sive operibus vitreis pulcherrimis valde,
quorum ipsa fuit inventrix […] opera sua inconsueta et non
sufflata, in quandam sua fornace parvula ad hoc studiose
confecta». «Marietta è una delle preferite per il suo straordinario lavoro manuale nella realizzazione di bellissime opere in vetro, di cui lei fu l’inventrice […] le sue opere furono insolite e non soffiato in una specie di piccola fornace per questo scopo finito» (Google traduttore latino-italiano).

Alla fine di questo scritto su di una artista che ha prodotto e contribuito a produrre opere “immortali” e scosso il mondo economico e politico con una “semplice” perlina dal potere magico scaturita dal suo ingegno, non possiamo che constatare la sua grandezza sottovalutata anche da chi ne ha avuto largo beneficio.

Qui le traduzioni in francese e inglese.

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Articolo di Nadia Cario

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Laureata in Governo delle Amministrazioni, è referente per il Veneto di Toponomastica femminile. È componente dell’Esecutivo delle associazioni culturali del Comune di Padova. Collabora con gli organismi di parità locali e regionali.

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