È finita la gioventù
e sono finiti anche i soldi
abbiamo finito di tirar la seta
tireremo quella dei padroni.
E così, sempre chiuse,
senza potere neanche uscire
fra preghiere e rosari
ci hanno fatto quasi morire.
Al lavoro sfortunate
siamo riuscite a resistere
e se un po’ ci fermavamo
perdevamo la salute.
Su coraggio, filandine,
sempre unite noi saremo
tutte quante petroliere
se coscienza noi troviamo.
Vogliamo avere il nostro orario
vogliamo averlo dalle 6 alle 19
e le ore che ci avanzano
le vogliamo godere nel letto.
È il 2 maggio del 1894. A Udine, le prime filandine entrano in rivolta.
Le altre compagne, con le mani ancora nell’acqua bollente, le sentono arrivare: «Volin vèlu il nestri orari, volin vèlu des sis es siet; e che ore che nus vanze, volin glòdlile tal jett». È il canto della rivoluzione, l’invito urlato a unirsi allo sciopero.
Nel laboratorio le donne distolgono lo sguardo dai fili di canapa e di lino; dall’inizio dell’interminabile giornata di lavoro è la prima volta che si guardano negli occhi: tutte ricercano nell’altra un segnale di assenso, un gesto appena accennato di una alleanza con le altre. Si avverte il primo scroscio; dal fondo della sala, qualcuna ha appena levato le braccia dalla vasca di trattura. È il cenno che stavano aspettando. Tutte insieme si precipitano in strada; ad accoglierle trovano il corteo di cui avevano sentito il canto. Si riconoscono una nell’altra, con le loro mani arse dal lavoro e la divisa mal concia come i loro volti e la loro dignità, prostrati dalle quattordici ore di fatica e dalla misera paga con cui vengono retribuite.
«Je finide la galete, son finìz anghe i doplòns, vin finìt di tira sede, tirarìn chei dai paròns…»; insieme riniziano il canto, marciando unite per i loro diritti.
Le filandine friulane, con il loro lavoro e con le loro lotte, hanno contribuito a costruire una parte significativa della storia industriale, culturale e umana del Friuli-Venezia Giulia e dell’Italia tutta. I loro canti, parte integrante e testimonianza del loro passaggio sulla terra, sono l’eredità preziosa di un passato femminile fatto di resistenza e sorellanza. Un’orma importante di quelle che ci hanno preceduto che non si è lasciata sbiadire dallo scorrere del tempo, voci che, tramandandosi di generazione in generazione, sono giunte fino a noi, sfuggendo a quella trappola di dissoluzione in cui spesso precipita la tradizionale orale.
Le ragazze e i ragazzi delle classi 2B, 3BR e 3AS dell’Istituto Tecnico Antonio Zanon (UD), con il loro progetto dal titolo Voci di filo e di terra: le Filandine e il lavoro collettivo femminile in Friuli, hanno continuato il lavoro di eternizzazione e di valorizzazione iniziato da altre/i prima di loro. Il «percorso coeso e radicato che (ci) mette in contatto con le radici della storia femminile locale, ed evidenzia la durezza, la forza, il coraggio con cui le donne lavoratrici hanno difeso valori quali la dignità e la libertà» è valso loro il primo premio ex aequo per la sezione B2-Percorsi di vita e di lavoro della XII edizione del concorso Sulle vie della parità, la cui premiazione si è tenuta l’11 aprile presso l’Aula Volpi della facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre.

Attraverso un percorso di ricerca, riflessione e creatività, gli alunne e le alunne hanno avuto l’opportunità di esplorare la storia, la cultura e il ruolo delle donne nel mondo del lavoro, con particolare attenzione al contesto lavorativo delle filande e delle lavoratrici impiegate in questi laboratori.
L’itinerario progettuale ha avuto il suo inizio nella Biblioteca civica “V. Joppi” di Udine; qui, tramite il reading di canti, parole e musica condotto da Nicoletta Oscuro e Matteo Sgobino, gli/le studenti sono stati condotti in un «viaggio alla scoperta di storie ed emozioni che raccontano non solo il coraggio, la fatica, l’orgoglio, le lotte sociali e le conquiste delle donne lavoratrici della filanda, ma anche la centralità del loro ruolo, spesso dimenticato, nel tessuto economico, sociale e umano», entrando in contatto con le radici della storia femminile locale e con la durezza della loro condizione lavorativa e retributiva. Il lavoro di riscoperta ha consentito, inoltre, di approfondire il vissuto dell’imprenditore concittadino a cui è intitolato il loro istituto: Antonio Zanon (1696-1770). Pioniere dell’industria della filanda, noto per aver aperto il primo stabilimento della città di Udine, grazie alla sua impresa, Zanon riuscì a creare un circolo virtuoso di emancipazione e indipendenza economica per molte donne del territorio.


Tra le varie letture di autrici friulane, i/le alunne ne hanno poi selezionate alcune che, più di altre, hanno saputo raccontare la condizione del lavoro femminile, offrendone una rappresentazione non stereotipata che metta in scena donne forti e determinate. Spiccano fra loro la poeta Gina Marpillero e la scrittrice Ilaria Tuti; a quest’ultima si deve il merito di aver riportato alla luce la vicenda delle Portatrici carniche, le donne che, durante la Prima guerra mondiale, si offrirono volontarie per trasportare rifornimenti, munizioni e messaggi ai soldati in prima linea:
«In questa notte di inquietudine, affioriamo dall’oscurità come se vi fossimo avvezze, ma in realtà non lo siamo affatto. Abbiamo grandi occhi lucidi, ventri concavi e schiene vigorose avvolte negli scialli neri della tradizione. […] Conosciamo queste montagne più di chiunque altro, […] le abbiamo salite e scese tante volte. Sapremo proteggerci, se necessario.
Del resto sono consapevole: se non rispondiamo noi donne a questo grido d’aiuto, non lo farà nessun altro. Non c’è nessun altro». (Ilaria Tuti, Fiore di roccia, Longanesi, 2020).
I testi selezionati, alcuni in italiano e altri in dialetto friulano, insieme ad alcuni canti tradizionali delle filandine, sono diventati oggetto della staffetta di lettura che i ragazzi e le ragazze hanno presentato in formato video in occasione della Giornata Internazionale della Donna, nell’ambito del progetto di Istituto RispettAMI! Educazione ai sentimenti e per la prevenzione alla violenza di genere.
Nel filmato realizzato, le voci degli/delle alunne, ritratti dietro a un leggio nero mentre intonano versi e parole, sono intervallate dalla musica e dal canto di Luigi Maieron, artista friulano che ha fatto delle donne della sua vita le destinatarie privilegiate di molte delle sue canzoni.



In linea con quanto prescritto nel bando del concorso indetto da Toponomastica femminile, la dirigente scolastica dell’Istituto, la professoressa Elena Venturini, d’accordo con Cinzia Bruno e Laura Parolin, le docenti che hanno accompagnato i ragazzi e le ragazze in questo percorso, ha fatto richiesta formale alla Commissione Toponomastica del Comune di Udine di intitolare un luogo situato nei pressi della struttura scolastica alle filandine friulane. Una volta individuato, il sito verrà inserito all’interno di un percorso di memoria nei luoghi significativi della storia delle filandine con pannelli informativi utilizzabili con applicazioni mobili.


Per il tempo che verrà, l’Istituto rinnova il suo impegno a sostenere progetti di ricerca, valorizzazione e diffusione della memoria storica e a collaborare con il mondo dell’impresa femminile per la creazione di sinergie nuove.
Per indicare «l’insieme delle ricchezze, dei valori materiali e non materiali che appartengono, per eredità e tradizione, a una comunità o anche a un singolo individuo», la lingua italiana impone si utilizzi la parola patrimonio, dal latino patrimonium, derivato di pater–tris «padre». Il rimando al maschile è quindi esplicito.
Ma poiché l’eredità di cui parliamo, fatta di voci, testi e musiche, ha origine dal femminile, mi azzardo a definirla con un termine improprio: matrimonio, dal latino matrimonium, derivato di mater–tris «madre». Ne cambio il senso perché anche il lascito femminile necessita di una parola per dirsi che rimandi subito al genere di chi lo ha prodotto. Ma se non mi è concesso, se mi si obbliga a rispettarne il significato, allo stesso modo io me ne approprio perché, d’altronde, se il senso è quello di un’unione che sia anche spirituale, io voglio unirmi in matrimonio con le donne del passato, che sono per me spirito guida e anima di questa Nazione.
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Articolo di Sveva Fattori

Diplomata al liceo linguistico sperimentale, dopo aver vissuto mesi in Spagna, ha proseguito gli studi laureandosi in Lettere moderne presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza con una tesi dal titolo La violenza contro le donne come lesione dei diritti umani. Attualmente frequenta, presso la stessa Università, il corso di laurea magistrale Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione.
