Questa è la seconda parte rivolta alle scienziate che nel tempo sono state protagoniste della lotta per la parità, soprattutto in medicina, nei Paesi extraeuropei (vedi qui tutti gli articoli precedenti).
Patricia Healy Bernadine (Stati Uniti 1944-2011)
Nata a New York da una famiglia di origine irlandese, rivela fin da piccola una grande passione per gli studi. È la migliore del suo corso alla scuola superiore e viene ammessa con una borsa di studio al prestigioso Vassar College, dove nel 1965 si diploma con il massimo dei voti e la lode in Chimica e Filosofia.

Sempre con una borsa di studio entra alla Facoltà di Medicina di Harvard (una delle sole dieci ragazze su centoventi iscritti) e qui si laurea con lode nel 1970 per entrare poi alla John Hopkins School of Medicine e al John Hopkins Hospital, per specializzarsi in Medicina interna e Cardiologia. È la prima donna a ottenere il tempo pieno in Cardiologia e in breve diventa docente ordinaria. Per otto anni dirige il reparto di unità coronarica del John Hopkins ed è vicerettrice e coordinatrice dei programmi di post dottorato dell’omonima scuola. Nel 1984 viene chiamata come consigliera scientifica dal Presidente Ronald Reagan e l’anno successivo lascia Washington per dirigere il centro di ricerca cardiologica della Cleveland Clinic Foundation. È qui che osserva una situazione che descriverà in un articolo pubblicato nel 1991 dal New England Journal of Medicine: La sindrome di Yentl. L’articolo prende il nome dalla protagonista di un racconto di Isaac B. Singer, Yentl, che è costretta a tagliarsi i capelli e vestirsi da uomo per poter entrare nella scuola ebraica e studiare il Talmud e denuncia come le donne siano meno ospedalizzate, meno sottoposte a indagini diagnostiche, a interventi e terapie rispetto agli uomini con le medesime malattie cardiologiche e anche come le donne siano poco o nulla rappresentate nelle sperimentazioni cliniche. Le sue affermazioni suscitano molto scalpore in tutto il mondo e si concorda che questo articolo sia il punto di partenza della Medicina di Genere.
Bernadine Healy continua la sua battaglia e nel 1991 il presidente George Bush la nomina, prima donna, direttrice del National Heart Institute. Nel suo discorso di presentazione al Congresso, annuncia la Women Health Initiative, una campagna finanziata con 650 milioni di dollari per uno studio su 150.000 donne finalizzato alla prevenzione delle malattie cardiache, dell’osteoporosi, del cancro del seno e del retto. Con l’elezione del Presidente Bill Clinton lascia l’incarico e nel 1994 viene candidata al Senato dal Partito Repubblicano, ma non viene eletta. Ritorna quindi all’attività medica e diventa rettrice e docente dell’Ohio State University College of Medicine and Public Health. Nel 1999 le viene diagnosticato un tumore al cervello che dopo le prime terapie sembra sconfitto. Accetta quindi la carica di presidente della Croce Rossa americana, che lascia nel 2001 dopo l’11 settembre, a causa delle polemiche sull’uso da parte della Croce Rossa di sangue infetto e sul discusso utilizzo dei fondi raccolti per le vittime dell’attentato.
Negli anni successivi, mentre porta avanti la sua battaglia contro la malattia, scrive e diventa commentatrice televisiva, prendendo più volte posizione pubblicamente contro la teoria che collega l’autismo alle vaccinazioni. Pubblica complessivamente più di duecento articoli scientifici di cardiologia e politica sanitaria e nel 2007 esce il suo libro Living time: Faith and Facts to Transform Your Cancer Journey.
Dopo la morte, tutte le sue carte sono state ordinate e in parte digitalizzate in un fondo della più grande biblioteca medica del mondo: la National Library of Medicine di Bethesda in Maryland.
Marianne J. Legato (Stati Uniti 1935)

Figlia di un medico di origini italiane, che le aveva sconsigliato di intraprendere la carriera medica, si iscrive a Medicina alla New York University e si laurea nel 1962. Acquisita la specializzazione in Cardiologia, nel 1968 inizia la carriera, dopo aver prestato servizio in cardiologia presso il College of Physician and Surgeons della Columbia University. E già dalle sue prime ricerche si rende conto che il cuore delle donne ha caratteristiche diverse da quello degli uomini. Pur avendo avuto un’educazione medica tradizionale, in cui le donne sono considerate “uomini in miniatura”, più studia più si rende conto che le differenze sono tante e tutte molto importanti per la diagnosi e la cura. E se esistono differenze in ambito cardiologico ce ne sono sicuramente in tutti gli altri. Chiede così all’università di poter orientare le sue ricerche in questo settore, ottenendo importanti finanziamenti da privati, e grazie al suo impegno, e a quello di altre colleghe, riesce a ottenere dignità scientifica per la ricerca genere-orientata.
Afferma: «Ritengo fondamentale l’utilizzo della variabile genere/sesso nella ricerca medica… Può sembrare strumentale dire che lo studio sulle donne è assolutamente necessario, ma la salute delle donne è molto più di un problema politico o femminista; la realtà è che le donne stanno offrendo anche agli uomini una straordinaria opportunità di conoscenza che non può essere ignorata».
Dopo la pubblicazione del suo primo libro sulle malattie cardiache femminili, premiato dall’Associazione cardiologica americana, le donne sono entrate a far parte dei test clinici che hanno evidenziato differenze non solo nelle sintomatologie ma pure nella risposta ai farmaci. Gli studi cardiologici hanno così aperto le porte a una ricerca di genere orientata anche in altri ambiti medici, i cui risultati sono stati da lei pubblicati in quello che ancor oggi è considerato un testo fondamentale: The Principles of Gender Specific Medicine, pubblicato nel 2004 e aggiornato nell’ultima edizione del 2017. Nel 2018 il testo ha ricevuto un Prose Award dall’Association of American Publishers.
Nel 2005 pubblica un libro divulgativo, tradotto in Italia nel 2006 con il titolo ironico Perché gli uomini non si ricordano niente e le donne non dimenticano mai, in cui, a partire dai luoghi comuni su uomini e donne, spiega come le differenze di comportamento siano dovute anche a caratteristiche biologiche e ad adattamenti culturali e ambientali come sesso e genere.
Le sue pubblicazioni scientifiche sono innumerevoli, a partire dalla prima rivista specializzata del settore, The Journal of Gender-Specific Medicine e dalla rivista ufficiale della Fondazione di Medicina Genere-specifica americana Gender and Genome (primo numero a fine 2016), fondazione che ha costituito nel 2006 e che ancora dirige.
Nel 2006 presiede a Berlino il primo Congresso internazionale di Medicina Genere-specifica ed è presidente onoraria anche delle successive edizioni, tenute a Vienna (2007) e a Stoccolma (2008).
Ha ricevuto vari riconoscimenti professionali, tra cui il Martha Lyon Slater Fellowship dal 1965 al 1968, e il J.Murray Steel Award nel 1971. Il National Institutes of Health (Nih) l’ha premiata per la carriera di ricerca e l’ha nominata membro delle sezioni che studiano le richieste di sovvenzioni Nih. Dal 1995 al 1998 è stata membro fondatore del nuovo Ufficio di ricerca sulla salute delle donne, sempre presso il Nih, e nello stesso periodo ha co-presieduto il gruppo di lavoro responsabile della definizione dell’agenda di ricerca sulla salute delle donne per il XXI secolo. Nel 1997 è stata riconosciuta “Eroina americana della salute” dall’American Health of Women e nello stesso anno è stata insignita del premio annuale Women in Science dalla Women’s Medical Society di New York. Nel 2005 ha ricevuto il National Council on Women’s Health Award per la sua attività nella medicina di genere e nel 2006 il Ladies’ Home Journal ha istituito un premio annuale a lei intitolato per la medicina di genere.
Il suo ultimo libro, The Plasticity of sex, ha vinto un Prose Award nella categoria Biomedicina nel 2021.
Barbara McClintock (Stati Uniti 1902-1992)
Appassionata di scienze fin dalle scuole superiori, non potendosi iscrivere al corso di Genetica perché precluso alle donne, si laurea e si specializza in Botanica alla Cornell University. Diventata assistente presso la stessa Università, nel 1931 pubblica, insieme alla collega Harriet Creighton, i primi risultati della sua ricerca sui cromosomi come base della genetica, realizzata osservando le differenti colorazioni dei chicchi del mais.
Nel 1933 ottiene una borsa di studio della Fondazione Rockfeller per approfondire il suo lavoro in Germania, dove però rimane solo pochi mesi a causa dell’ascesa al potere del nazismo.
Rientrata alla Cornell, si rende conto che la sua università non ha nessuna intenzione di attribuire il ruolo di docente a una donna, così nel 1936 si trasferisce all’Università del Missouri, dove le viene offerta una cattedra a tempo pieno. Qui insegna fino al 1941, quando sceglie di lavorare come ricercatrice al Dipartimento di genetica del Carnegie Institute of Technology di Washington, dove approfondisce le sue ricerche in un laboratorio che oggi porta il suo nome, scoprendo che la cancellazione o la permanenza di informazioni genetiche da una generazione di piante a quelle successive avviene grazie a elementi genetici mobili, i trasposoni, porzioni di Dna in grado di spostarsi da un cromosoma all’altro.
Nel frattempo entra nell’Accademia nazionale delle scienze e diventa la prima donna presidente della Società genetica americana, ma quando nel 1951 pubblica il suo lavoro, l’accoglienza da parte della comunità scientifica è diffidente, a volte anche ostile. Non solo perché è una donna, ma anche perché le sue ricerche così innovative mettono in crisi la Biologia molecolare dell’epoca, in cui la genetica è ancora agli albori e non si conosce l’esistenza del Dna, che viene scoperto solo nel 1953, cioè due anni dopo la sua pubblicazione.
Ma non si perde d’animo; smette di pubblicare i propri lavori, non tiene conferenze né partecipa a convegni, ma continua a lavorare per più di vent’anni studiando l’evoluzione di svariate specie di mais raccolte negli Usa ma anche in Centro e Sud America. Il lavoro completo viene pubblicato nel 1981: dopo gli anni di isolamento e quasi di ostracismo, Barbara McClintock viene invitata a convegni, riceve premi e riconoscimenti ufficiali e, a ottantuno anni e trentacinque anni dopo la pubblicazione del suo primo e sottovalutato studio, nel 1983 riceve il Premio Nobel per la Medicina «per la scoperta degli elementi genetici mobili».
In occasione del Premio Nobel (la prima donna a riceverlo da sola) disse di essere stata molto contenta della propria «vita ben vissuta, perché ho potuto dedicarmi a ciò che più mi piaceva».
Una sua biografia è stata pubblicata sul numero 217 di Vitamine vaganti.
In copertina: Barbara McClintock.
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Articolo di Roberta Pinelli

Ho lavorato per 42 anni nella scuola pubblica, come docente e dirigente. Negli anni fra il 2019 e il 2024 sono stata Assessora alle Politiche Sociali del Comune di Modena. Mi occupo da sempre di tematiche femminili e ho pubblicato un Dizionario biografico delle donne modenesi.
