Editoriale. Era di maggio

Carissime lettrici e carissimi lettori,
ma che succede? La Cultura, quella scritta con la maiuscola, non funziona più bene per il nostro mondo? Dobbiamo andarcene in un altrove lontanissimo? Siamo all’assurdo! Scommetto che se il grande Fëdor Michajlovič Dostoevskij fosse qui, ora, dovrebbe cambiare mestiere e, chissà, essere costretto a sentirsi un comico, visto che era socialista e non può sentirsi un intellettuale.
Dostoevskij (lui considerarlo un comico?!) finirebbe per cancellare quel suo splendido motto: «La bellezza salverà il mondo»! Oppure, saremo noi, spaesate/i e disorientati/e a sentirci costretti e costrette a pensare, più o meno nella rassegnazione, che una risata seppellirà questo nostro pianeta.
Sì, perché non si può tanto scherzare su questi argomenti. La comicità è una cosa seria, c’è poco da fare! Un’arte lontana, nata dalla Grecia antica. Anche la comicità è arte, che attraversa, spazia, non si ferma internamente alle ideologie.
Invece da dire c’è stato molto, e l’arte e la cultura si è denigrata, colpo dopo colpo, battuta contro battuta, come nel tennis. Allora, cominciamo, come si dice, dall’inizio. O no, è meglio, dalla fine. Da quando il ministro della Cultura Giuli, un bel po’ piccato, risponde esplicitamente e nominalmente a Elio Germano, premiato con il David per la sua interpretazione di Enrico Berlinguer nel film Berlinguer la grande ambizione. «La classe dirigente di sinistra ha preferito affidarsi agli influencer o ai cantanti, piuttosto che agli intellettuali». Ma specifica, con una buona dose di ideologia indicando sia Germano che Geppi Cucciari che aveva lanciato qualche frecciatina sulla chiarezza e “profondità” dei discorsi del ministro. Un po’ come era successo per il predecessore di Giuli, fuoriuscito dal ministero per scandali sentimentali. Cucciari, quella volta presentatrice e comica (e intellettuale?!) che aveva trovato impreparato Gennaro Sangiuliano niente di meno che sui sei libri partecipanti al Premio Strega. «A sinistra avevano intellettuali e li hanno persi — aveva commentato un po’ stizzito Alessandro Giuli — si sono affidati agli influencer, ora gli sono rimasti i comici e basta».
È il filosofo Massimo Cacciari a rispondere consigliando al titolare della Cultura «di abbandonare il complesso di inferiorità» e spiegandogli, con la dovuta calma, durante un’intervista televisiva, che gli intellettuali non devono essere di sinistra o di destra, devono «interpretare» le cose del mondo e devono farlo bene. In più Cacciari non ha dimenticato di denunciare, proprio nell’occasione della risposta al ministro della Cultura, gli enormi tagli fatti alla scuola e all’università, oltre che alle arti tutte, in primis al Cinema.
Secondo noi ha scritto bene un giornale riguardo a Giuli che ci tiene a ribadire di essere «il ministro politico di un governo di destra repubblicano» (e rieccoci con l’ideologia). Il quotidiano ha scritto riguardo alle esplosioni e alle gaffe di Giuli: «Sarà l‘influenza del dicastero? Dopo le gaffe dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano, secondo il quale Times Square si trova a Londra o Cristoforo Colombo ha circumnavigato la terra sulla base delle teorie galileiane, l’attuale ministro della Cultura continua a inanellare faux pas. Dopo la citazione sbagliata di Hegel, durante un’intricata esposizione delle linee guida del suo dicastero… è scivolato sulla geografia. Stava rispondendo alla Question time, a Montecitorio, sui teatri condominiali candidati per l’iscrizione nella lista del Patrimonio mondiale Unesco per il 2026, quando si è inventato la provincia di Spoleto». In questo caso, uno dei diciotto candidati era il Teatro Nuovo Giancarlo Menotti in… provincia di Spoleto! (in realtà la provincia è quella di Perugia). Ritornando all’oggi Cacciari ha ricordato a Giuli che «Semmai, proprio durante il ventennio gli stanziamenti per la scuola, l’università e l’arte erano considerevoli.» «È oggi, con questo Governo che io giudico non antifascista, ma postfascista — ha detto l’ex sindaco della Serenissima — che i fondi sono tragicamente tagliati, come purtroppo in tutti i Paesi dove regnano nazionalismo e sovranisti».

A proposito del cinema italiano e della sua crisi per mancati sostegni economici a quest’arte, i grandi nomi che lo rappresentano nel mondo, attori e attrici, registi e registe, hanno scritto una lettera aperta al Ministro della Cultura Alessandro Giuli e, insieme, ai sottosegretari Lucia Borgonzoni e Gianmarco Mazzi. Il settore del cinema è indubbiamente in crisi e tante famiglie sono rimaste senza stipendio. Era questo il senso profondo, fatto, nel suo discorso a Milano, dal vincitore della statuetta del Donatello. Non c’entravano gli intellettuali, ma semmai l’arte e la situazione attuale dei finanziamenti al cinema a cui appartiene con splendore e impegno Elio Germano. L’attore ha denunciato la «complessiva incertezza normativa e i ritardi, generati in primis dall’operato del Governo nella gestione della riforma del Tax credit, che hanno causato una crisi di sistema che ha colpito molte produzioni, soprattutto le più piccole e indipendenti». La lettera aperta va a sostegno dell’intervento di Pupi Avati ai David di Donatello, che ha parlato di un’opulenza dei premi non corrispondente a quella di tutto il settore, e dei colleghi Elio Germano e Geppi Cucciari, perché «si fermino le polemiche pretestuose e gli attacchi inaccettabili a chi democraticamente ha mosso critiche all’operato del Ministero».

Era di maggio. Era il 12 e 13 maggio del 1974, esattamente mezzo secolo fa, e in Italia vincevano i “no” per l’abrogazione della legge sul divorzio. Il divorzio era mal visto dai democristiani, dal Movimento sociale e, chiaramente, non lo voleva sicuramente la Chiesa, anche se molti grandi personaggi cattolici erano favorevoli e, addirittura, all’interno del comitato per il referendum. Oltre alle Acli e ai Comitati Civili erano pro-divorzio uomini come Giorgio La Pira, Mario Gozzini, Pietro Scoppola, Paolo Prodi. I movimenti contrari optavano per la cancellazione e per loro era decisamente la scelta per il voto con “sì” alla abrogazione o per disertare le urne. Che coincidenze offre la Storia!
La legge sullo scioglimento del matrimonio, la cosiddetta Legge n.898 del 1° dicembre 1970 era conosciuta anche come Legge Fortuna-Baslini, dal nome dei primi firmatari in sede parlamentare. Loris Fortuna era socialista e Antonio Baslini apparteneva al partito liberale. L’attuazione della legge aveva suscitato un forte dibattito tra le forze laiche e divorziste e quel referendum del maggio del 1974 lo aveva sponsorizzato il radicale Marco Pannella. La vittoria del “no” fu il principio di un carosello di macchine a clacson ininterrotto e di titoli di giornale esultanti. Non si poteva tornare indietro. Io, diciannovenne, ero al mio primo voto!
Il nostro Paese aveva ora sicuramente una legge che normalizzava il rapporto matrimoniale rendendolo nullo se si svuotava dei sentimenti iniziali o se uno dei due coniugi (se non entrambi) volevano intraprendere altre strade affettive. Un legame che ora poteva sciogliersi se si riempiva di violenza e di menzogne. Ormai non solo chi era ricco poteva “divorziare”. In più affidandosi alla Sacra Rota! Era l’unico modo.

Vi ricordate Stefania Sandrelli in barca mentre bacia Mastroianni e con il piede tocca maliziosamente il marinaio? Era il 1961 e il film, Divorzio all’italiana, con la regia di Pietro Germi vinse il premio come migliore commedia e ottenne ben tre candidature all’Oscar portandosi a casa una statuetta per la migliore sceneggiatura. In più, insieme agli altri due film della trilogia (Sedotta e abbandonata e Signore & Signori, rispettivamente del 1964 e del 1966) che entrano tutti nei 100 film italiani da salvare.
Questa era l’Italia di allora e così si risolveva, e non solo in Sicilia, il nodo del contratto matrimoniale, stavolta sia religioso che laico. Il coniuge doveva, come dire, solo morire. In questo caso ucciso per leso onore (nel film provvederà materialmente anche la moglie di lui, dell’amante e, chiaramente Fefè, il barone). E questo accadeva non solo in Sicilia. Un modo di sciogliere un matrimonio: cioè uccidendo e, semmai, facendo passare il femminicidio come una riparazione all’onore violato. Già non valeva solo in Sicilia.
Il divorzio riguarda tanto le donne. Forse anche in male, ma soprattutto in bene. Perché la possibilità di ottenere il divorzio, soprattutto per le donne, ha significato poter avere l’opportunità di gestire la propria vita, oltre che, chiaramente i propri affetti. Come in tantissimi altri paesi. Così pure nell’educazione dei figli, cominciando dalla scelta sulla religione. Dunque, nel nuovo matrimonio per “legge” le scelte si fanno in comune. Si potrebbe dire anche quella estrema dello scioglimento giuridico dello stesso.

Era il 12 maggio del 1974 e l’Italia è scesa in piazza. Almeno gli italiani e le italiane che avevano appoggiato il referendum proposto dal partito di Marco Pannella. I “no” avevano vinto con il 59,26% dei voti (19.138.300) sconfiggendo, con 13.157.558 (il 40,74%) il partito degli e delle antidivorziste.
Era maggio. Era il 12 maggio del 1977. Una studentessa romana, Giorgiana (Giorgina) Masi, appena 18enne, moriva a Roma, quasi sul Tevere, con un ancora misterioso (?) proiettile alla schiena, all’incrocio tra Ponte Garibaldi e piazza Gioacchino Belli. Giorgiana, con il suo fidanzatino, partecipava a una manifestazione, non autorizzata, per celebrare, con Pannella, il terzo anniversario proprio della vittoria del Referendum sul divorzio!
Era di maggio. Anzi è di questo maggio. Una manciata di giorni fa. Il 13 maggio, martedì scorso, moriva José Alberto Mujica Cordano, nato il 20 maggio nel 1935 a Montevideo, conosciuto da tutti come Pepe Mujica, il presidente più democratico, amato e generoso dell’Uruguay (è stato Presidente dal 1° marzo 2010 allo stesso giorno del 2015). Una morte che era stata annunciata qualche mese fa, con una fake news. Già da tempo si era rifiutato di continuare le cure che dovevano combattere la sua malattia. Era stato un combattente Tupamaros e non aveva mai voluto uno stipendio devolvendo tutto alle persone povere e continuando a lavorare come contadino. Andando in autobus e presentandosi come una persona del popolo. Addio Presidente!

Era De Maggio è una canzone in lingua napoletana, (amatissima da me e lingua di mia madre) basata sui versi di una poesia del 1885 scritta dal poeta Salvatore Di Giacomo e musicata da Mario Pasquale Costa, cantata dalla splendida voce di Roberto Murolo. Una curiosità: l’ha cantata anche Franco Battiato e qui troverete anche questa versione.

Poi una poesia del portoghese Pessoa. Fernando António Nogueira Pessoa, meglio noto come Fernando Pessoa, è stato uno dei più importanti poeti portoghesi del Novecento. Nato il 13 giugno 1888 a Lisbona e scomparso il 30 novembre 1935 sempre nella città portoghese, Fernando Pessoa iniziò a scrivere poesie già a sei anni elaborando con l’aiuto dei versi la morte prematura del padre. Del grande Pessoa leggeremo insieme una poesia.

Poesia dell’anima

Che noi si scriva, si parli o solo si sia visti
rimaniamo evanescenti.
E tutto il nostro essere non può in parola
o in volto giammai trasmutarsi.

L’anima nostra è da noi immensamente lontana:
per quanta forza si
imprima in quei nostri pensieri,
mostrando l’anime nostre con far da vetrinisti,
indicibili i nostri cuori pur sempre rimangono.

Per quanto di noi si mostri
continuiamo ignoti.

L’abisso tra le anime non può esser collegato da un miraggio della vista
o da un volo del pensiero.
Nel profondo di noi stessi restiamo ancora celati
quando al nostro pensiero dell’essere nostro parliamo.

Siamo i sogni di noi stessi, barlumi di anime,
e l’un per l’altro resta il sogno dell’altrui sogno.

Fernando Pessoa

Buona lettura a tutte e a tutti.

Il nuovo numero di Vitamine vaganti si apre con la protagonista di Calendaria della settimana: Clara Driscoll, maestra nell’arte vetraria, «esperta nel taglio e nella lavorazione del vetro, nonché abilissima disegnatrice di lampade passate alla storia dell’arredamento.»
In America contro Europa. Il numero 3/2025 di Limes. Parte Seconda si continua a cercare «di capire che cosa sta succedendo nel tumultuoso mondo dei rapporti internazionali» a partire dalla guerra in Ucraina. E di conflitti bellici si parla anche in La guerra delle donne. Le combattenti della Marca, che va alla scoperta delle storie sconosciute di figure femminili che hanno imbracciato le armi.
Si va nella Capitale con Caravaggio in mostra a Roma, che illustra le opere di Michelangelo Merisi a palazzo Barberini, per poi andare in giro per l’Europa con Il consumo del bronzo. La memoria delle molestie nello spazio pubblico, per verificare come molto spesso le statue che raffigurano le donne siano oggettificate, accarezzate e toccate, con il risultato di «normalizzare un contatto non consensuale». Si vola poi in Asia con il reportage del viaggio in India centrale.
Tamar Weiss-Gabbay. Book city Milano anche a Lodi è un’intervista all’autrice israeliana sul suo ultimo romanzo, La meteorologa.
Cosa determina dove e come costruiamo le nostre città? A questa domanda cerca di rispondere Città sulla pietra. Quando la geologia plasma gli insediamenti umani, mentre la Tesi vagante di questo mese si concentra sulla costante evoluzione del linguaggio. Se ne parla in Lingua e disuguaglianza. Discriminazioni linguistiche di genere nella società contemporanea. In Cultura viene presentata la nuova Bibliografia vagante, con consigli di lettura nel numero «dedicato agli studi contemporanei sulle scrittrici e il loro pensiero, e sul portato del loro lavoro sulla nostra cultura».
Continua poi l’esplorazione dei lavori di Clara Sereni, con Eppure, un romanzo che nasce come raccolta di racconti e che affronta i temi della normalità e della solitudine. Due sono le recensioni di libri: Amazon, la fabbrica nell’era del capitalismo digitale, un’inchiesta sulle condizioni di lavoro all’interno di una delle aziende più grandi del mondo; e Salvate il soldato Jack, romanzo per adolescenti di Federica Seneghini, in La Resistenza raccontata ai ragazzi.
Il numero termina con la storia e la ricetta di una delizia palermitana: Le panelle.
A tutte e a tutti auguriamo buon appetito!

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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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