Donne protagoniste nelle istituzioni della Repubblica, il libro pubblicato da Viella a cura di Patrizia Gabrielli, è un’opera collettiva che nella sua prima sezione Profili ricorda cinque donne importanti delle nostre istituzioni, mentre nella seconda, dal titolo Rappresentanza, Rappresentazioni, autorappresentazioni, contiene approfondimenti interessanti. Si apre con una introduzione preziosa a firma della curatrice e si chiude con un’Appendice Per una storia pubblica, particolarmente ricca e curata da Graziella Gaballo.
La parte dei profili comincia con Nilde Iotti: una donna presidente o una presidente donna?, il saggio di Monica Fioravanzo che mette in evidenza l’assertività e l’autorevolezza di questa parlamentare e partigiana, apprezzata anche all’estero, ma soprattutto sottolinea il suo tratto caratteristico: il grande senso delle istituzioni che nel più lungo mandato da Presidente della Camera dei deputati, il primo ricoperto da una donna, si manifestò con un grande equilibrio e con la ricerca costante «dell’imparzialità, del rispetto delle regole che disciplinano la vita delle istituzioni, della garanzia dei diritti di espressione e di iniziativa delle minoranze[…]». Iotti ha imperniato «il suo atteggiamento, negli anni in cui è stata chiamata dalla fiducia dell’Assemblea a tale carica, al perseguimento costante dell’imparzialità e del supremo interesse dell’istituzione» (dalla Prefazione di Nilde Iotti al volume di Silvio Furlani, Guglielmo Salotti e Alberto Maria Irpino, I Presidenti della Camera). Segue il saggio di Michela Minesso Tullia Romagnoli Carettoni e l’impegno per la democrazia. Dall’Italia all’Europa al mondo che ripercorre la formazione di questa grande antifascista e politica, la sua consapevolezza dell’importanza della democrazia, dei diritti umani, della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico e della cittadinanza femminile, in cui man mano lo sguardo si allarga verso quella che sarebbe diventata l’Unione Europea e verso il mondo. Una figura che, con grande anticipo e lungimiranza, ci spinge a dilatare lo sguardo alle tematiche internazionali, e uno stimolo ancora valido per i nostri media mainstream a uscire dal cronachismo provinciale in cui si sono fossilizzati. Chissà perché, mentre leggevo la storia di questa donna eccezionale, risuonavano nella mia mente le parole di una grande scrittrice e intellettuale, Virginia Woolf: «Come donna non ho Paese, come donna il mio Paese è il mondo intero». Tina Anselmi: «Volevo rendermi utile» di Alba Lazzaretto è il ritratto di una donna, Prima Ministra della storia della Repubblica dopo 836 Ministri maschi, che ha saputo interpretare la politica come servizio. Chiamata all’impegno dalla sua formazione cattolica e antifascista per avere sperimentato le atrocità del regime mussoliniano, impegnata nella Resistenza fin dalla giovane età, la sua cifra è la passione ideale unita a una grande concretezza che la vide promotrice di leggi a favore delle donne e della riforma sanitaria, alla cui base è l’unico diritto definito fondamentale dalla Costituzione italiana, il diritto alla salute. Irrisa, derisa e lasciata sola come Presidente della Commissione P2, non si fece intimidire dalle pressioni e dalle intimidazioni, confortata dal parere del grande costituzionalista Leopoldo Elia, con cui si confrontò sempre. Un esempio cui ispirarsi per il disinteresse del suo impegno, mai finalizzato al tornaconto personale e percepito così dalle innumerevoli testimonianze di stima da parte di cittadine e cittadini di diversa provenienza e cultura politica. Un impegno per cui è stata disposta a «farsi stravolgere la vita» dalla politica.
Susanna Agnelli: la politica come relazione di Paolo Soddu racconta una figura di donna che ha fatto della cura (per le persone, per l’ambiente, per il paesaggio e nella politica) la cifra della propria esistenza. Aderente al Partito repubblicano ma molto vicina alle battaglie dei radicali, Prima Ministra degli Esteri della storia italiana, nella sua carica di Sindaca di Monte Argentario si oppose fermamente alla speculazione e alla devastazione del paesaggio. Sempre ingiustamente offuscata dalla figura del fratello Gianni, più attratta dall’impegno in Unione Europea che da quello parlamentare, vanta una vita ricca di incontri e di esperienze importanti, anche a livello internazionale e in difesa delle persone più deboli. Schierata in difesa dell’interruzione di gravidanza e del divorzio e per questo fortemente criticata, presente alla Conferenza sulle donne di Pechino, le sue parole suonano oggi ancora più preziose: «Per quanto diverse possano essere le nostre società, le donne non dovrebbero mai indulgere in atteggiamenti distruttivi o bellicosi. La guerra è morte. E le donne sono orientate alla vita. La maternità, privilegio e responsabilità esclusiva delle donne, testimonia questo fatto. Quando le donne hanno voce in capitolo, dovrebbero sempre difendere la pace, anche perché sono tra coloro che soffrono di più…»
Adele Faccio, tra libertà e nonviolenza di Lucia Bonfreschi è l’approfondimento che ho preferito perché capace di far emergere dall’oblio una figura femminile che ha dato tanto alla storia delle donne ma sempre stata rinchiusa nella definizione di “strega” legata alle sue battaglie per un aborto sicuro e legale. L’autrice è riuscita a restituire la complessità e le sfaccettature dell’impegno politico-parlamentare e femminista di Faccio. Attiva in Liguria nella Resistenza, con un passato come assistente universitaria di filologia romanza, attratta dalla produzione letteraria sudamericana e dal pensiero di Wilhelm Reich, Faccio sentiva come la repressione sessuale e l’oppressione sessuale e politica riguardassero soprattutto il genere femminile, costretto in casa nel ruolo di mogli e di madri. L’autrice ripercorre l’incontro con Pannella e il partito radicale, l’impegno parlamentare e le difficoltà incontrate per il modo aggressivo e insolente con cui alcuni parlamentari comunisti criticavano il suo aspetto fisico, la proposta radicale sull’interruzione di gravidanza inserita all’interno della lotta delle donne contro il potere, anche contro quello dei medici, «perché le donne sanno benissimo di essere sfruttate dalla categoria medica, di essere oggetto di una indegna repressione sessuale e di una colpevolizzazione sessuofobica e ginofobica». E con grande lungimiranza Faccio comprese in anticipo quanto il compromesso raggiunto in Parlamento su quella legge avrebbe ampliato la discrezionalità e quindi il potere dei medici.
Nella seconda parte il contributo di Emanuela Scarpellini, Donne in politica: il potere dell’abito, va segnalato perché riflette sull’abbigliamento femminile nel mondo della politica, sulle critiche mosse spesso su questo punto alle donne dai media e su come il vestito indossato, insieme ai pochi gioielli e a qualche altro accessorio, possa essere un messaggio di affermazione politica, soprattutto in questi ultimi decenni. Se per le Costituenti il modo in cui erano vestite e pettinate era l’unico degno di essere descritto dai giornali dell’epoca, nel tempo le cose sono cambiate anche se sono rimaste le critiche, molte di più di quelle riferite agli uomini. La sobrietà e l’eleganza di Iotti, la semplicità di Anselmi e Bindi, l’eccentricità di Bonino, lo stile Merkel e Thatcher fino ad arrivare ai guai di Schlein per avere dichiarato di farsi consigliare da un’armocromista o di Meloni per essersi presentata dal Papa vestita di bianco come lui, sono raccontate collegandole al loro modo di fare politica e di interpretare i ruoli istituzionali, caratteristiche sulle quali porre attenzione. In Donne, istituzioni e generazioni Marica Tolomelli esamina una fase virtuosa nella storia della politica delle donne, incapace però di lasciare la propria eredità alle generazioni successive, anche a causa dell’arrivo del berlusconismo che avrebbe completamente cambiato, in peggio (n.d.r.), la politica italiana e, al suo interno, il ruolo delle donne. Il contributo di Giulia Cioci, Memorie, autorappresentazioni e linguaggi istituzionali è forse la parte che più mi ha appassionata perché, guardando al periodo tra la V e la IX Legislatura, riflette «su alcuni aspetti relativi al processo di costruzione della leadership da una prospettiva autobiografica e di genere», con contributi di democristiane come Tina Anselmi, Maria Elettra Martini, Mariapia Garavaglia, di comuniste tra cui Bianca Guidetti Serra, Simona Mafai e Marisa Rodano, di radicali come Adelaide Aglietta, Adele Faccio e persino Ilona Staller e, tra le altre, Laura Cima, Laura Balbo, Giancarla Codrignani, Natalia Ginzburg.
Il libro curato da Patrizia Gabrielli è una boccata d’ossigeno in questi tempi cupi e un contributo prezioso nella riflessione sulle donne in politica e sulla loro conquista della leadership. I profili delle cinque donne scelte potrebbero fornirci la chiave per uscire dall’impasse in cui le istituzioni italiane si trovano da almeno un trentennio. In modi e su fronti diversi queste figure femminili potrebbero essere le ispiratrici di una rinascita delle classi dirigenti politiche, ormai attraversate da una perdita di credibilità e autorevolezza nei confronti dell’opinione pubblica e dell’elettorato.

Donne protagoniste nelle istituzioni della Repubblica
a cura di Patrizia Gabrielli
Viella Editore, Roma, 2024
pp.280
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
