Il tema della mascolinità ritorna nella tragedia di Shakespeare Macbeth in maniera quasi ossessiva. Esso si trova intrecciato in modi complessi e contraddittori all’interno dei personaggi principali, permettendo tuttavia di fare luce su come l’ossessione per il potere e la virilità iperbolica possano portare al logoramento psicologico e morale. Lady Macbeth, che forse nell’opera è colei che più volte nomina il concetto di mascolinità, è uno dei pochi ruoli femminili al cui ingresso l’autore dedichi un intero monologo. Ciò che maggiormente la caratterizza è il rovesciamento dei ruoli di genere tradizionali e il deliberato rifiuto della femminilità, manifestato fin dalle prime battute. È possibile identificare alcune scene chiave nell’opera in cui in particolar modo si coglie tale rovesciamento, che determina anche una particolare dinamica di controllo e seduzione. Il primo monologo di Lady Macbeth apre l’arco drammatico del personaggio. Dopo la lettura della lettera inviatale dal marito, in cui per la prima volta genere maschile e femminile vengono posti su un piano egualitario, la donna esprime un’esplicita critica per l’indole di lui: «[…] too much full o’the milk of human kindness / to catch the nearest way» (atto I, scena V). Il riferimento al latte è sicuramente ironico in un personaggio simile, totalmente privo di quelle che sono generalmente considerate le virtù della maternità. Ma questo elemento permette di identificare un ulteriore piano di lettura del rapporto complesso di Lady Macbeth con il marito, ovvero quello di un atteggiamento materno-nutritivo che viene particolarmente esplorato nell’adattamento cinematografico di Justin Kurzel del 2015. È inoltre indicativo il rimando al veleno — «Hie thee hither / that I may pour my spirits in thine ear, / and chastise with the valour of my tongue / all that impedes thee from the golden round» (atto I, scena V) —, che accosta questa forte figura femminile ad antagonisti come Claudius e Iago. L’atto di versare i propri spiriti nell’orecchio, considerato allora la porta dell’anima, richiama un atto penetrativo che non fa altro che consolidare il rovesciamento di genere. Ciò che rende tuttavia ancora più peculiare il personaggio, specie se calato nella cornice storica della società elisabettiana, si trova nella seconda parte del monologo, in cui Lady Macbeth manifesta con espressioni durissime un completo rifiuto per la sua femminilità, in modo da lasciare spazio alla crudeltà, necessaria per poter avere determinate ambizioni — «Come, you spirits / that tend on mortal thoughts, unsex me here / and fill me from the crown to the toe top-full / of direst cruelty» (atto I, scena V) —, e l’impostazione stessa della preghiera agli spiriti ha delle connotazioni faustiane, che rendono allusivamente demoniaca la richiesta fatta. Come sostiene Asp, «Lady Macbeth consciously attempts to reject her feminine sensibility and adopts a male mentality because she perceives that her society equates feminine qualities with weakness» (C. Asp, Be Bloody, Bold and Resolute: Tragic Action and Sexual Stereotyping in Macbeth, in Studies in Philology, Vol. 78, No. 2, University of Nord Carolina Press, Spring, 1981, pg. 153), e il suo discorso eradica dal suo stesso corpo le connotazioni tipicamente femminili che la relegherebbero a una posizione tradizionalmente concepita come subalterna, dalla quale non sarebbe certo in grado di agire nel modo in cui lei intende. Al contrario, le caratteristiche comunemente associate all’uomo le permetterebbero di proseguire ben oltre il punto di non ritorno. Shakespeare disegna una donna ferina, territoriale e assolutamente divergente dal canone femminile dell’epoca. Negli adattamenti cinematografici del 2015 e del 1971, Kurzel e Roman Polanski hanno rappresentato Lady Macbeth con delle significative differenze. La Lady Macbeth di Kurzel è una donna matura, toccata recentemente dalla perdita del figlio a causa del vaiolo, che quindi affronta una pesante depressione luttuosa; quella di Polanski è giovane e bellissima, piena di vitalità ed espressività. La scena iniziale del film di Kurzel, che raffigura il funerale del figlio appena infante dei coniugi Macbeth, conferisce immediatamente un’atmosfera cupa alla pellicola. La recitazione dei protagonisti è gelida e monotona. In entrambi le movenze e gli sguardi celano uno stress-post-traumatico, derivante dal lutto recente ma anche, specialmente per l’uomo, dagli orrori della guerra. Tuttavia, è possibile scorgere anche una grande differenza tra i due: Lady Macbeth, interpretata da Marion Cotillard, ha uno sguardo di rabbia e determinazione fredda che le accende gli occhi fin dal primo monologo, mentre Fassbender, nell’impersonare il marito, sembra essere maggiormente piegato al dolore e al lutto, con uno sguardo spesso perso nel nulla. La scena in cui compare per la prima volta Lady Macbeth è girata all’interno di una chiesa, l’occhio fisso e allucinato su un crocifisso celtico davanti a lei, mentre sussurra le parole con forza, quasi a voler stringere un patto con gli spiriti. È interessante il contrasto fra il setting cristiano e il linguaggio violento della donna, che dà una connotazione blasfema all’intero monologo. La forza che emana questa figura, in inquadrature dall’intensità mirabile, pare essere alimentata da una rabbia fervente e, allo stesso tempo, estremamente lucida. Lei sta chiedendo a Dio di darle qualcosa in cambio del suo essere donna, e sembra dire che questo le sia dovuto per la perdita che le è stata inflitta. Inquadrati nella scena insieme a lei, sullo sfondo, sono due affreschi, risultanti da un sincretismo tra le immagini sacre e quelle profane di un certo tipo di folklore nordico. Il primo rappresenta un angelo che sorregge una bilancia su cui si trovano delle figure umane, apparentemente dei bambini e delle bambine; il secondo rappresenta corpi in caduta verso l’inferno, che nella loro nudità rimandano anch’essi a creature infantili. In entrambi i casi si tratta di immagini del giudizio universale, tema assolutamente calzante per la sostanza dell’opera, ma che contribuisce inoltre a calare la Lady Macbeth di Kurzel già all’inferno, ancor prima di procedere con l’omicidio di re Duncan.
La Lady Macbeth interpretata da Francesca Annis ha una recitazione molto più ritmata, c’è uno spettro di emozioni e tonalità assai più diversificato. È giovane, bellissima e acuta, addirittura ridacchia mentre espone il piano per l’uccisione di Duncan al marito. Il suo monologo è reso sicuramente meno incisivo dalla presenza di molti voice-over che non ne indirizzano l’intensità in maniera diretta, come nel caso di Cotillard. Eppure è di notevole forza la scena in cui osserva dall’alto dei bastioni del castello l’arrivo di Duncan, esprimendo nello sguardo una totale territorialità e determinazione. La seconda scena dalla quale emerge la caratteristica tradizionalmente identificata come maschile di Lady Macbeth — almeno, fino all’atto III, scena II, dove si fa strada una prima frattura in un rapporto fino a quel momento simbiotico — è quella in cui lei tiene il discorso persuasivo per compiere l’omicidio. È importante ricordare, tuttavia, che Lady Macbeth nel testo non esprime mai l’ambizione per sé stessa, ma essa è sempre indirizzata nei confronti del marito, il quale aveva cominciato a pensare all’omicidio già da diverso tempo.
Come nota Ramsey, «the curious thing about her exhortation is that its rhetorical force is almost wholly negative. Dwelling hardly at all on the desirability of Duncan’s throne, she instead cunningly premises her arguments on doubts about Macbeth’s manly virtue» (J. Ramsey, The Perversion of Manliness in Macbeth, in Studies in English Literature 1500-1900 Vol. 13, No. 2, Rice University, Elizabethan and Jacobean Drama, Spring 1973, pg. 288). Lady Macbeth fa leva sulla stessa mascolinità di lui, andando a criticargli aspramente quel medesimo animo «green and pale» (verde e pallido) con cui era stata descritta Ofelia in Amleto. Il piano dell’umanità e della mascolinità vengono dunque continuamente mescolati e sovrapposti da Lady Macbeth, e l’uno è considerato l’equivalente dell’altro. Laddove Macbeth con la definizione di “uomo” intende una serie di valori e confini morali ben definiti — e tutto ciò che supera questi limiti diventa non-umano — Lady Macbeth invece lo istiga ad assumere le caratteristiche di un uomo che si avvicina maggiormente a un’idea forzata di mascolinità, quindi una virilità accentuata, un coraggio oltre ogni misura. Proprio per evidenziare al marito questa sua mancanza, gli mette violentemente sotto gli occhi la propria immagine, di lei che, nonostante sia stata madre, sarebbe pronta a fracassare il cranio di un neonato — «I would while it was smiling in my face / have plucked my nipple from his boneless gums / and dashed the brains out, had I so sworn as you/ have done to this» (atto I, scena VII) — pur di non rompere la parola che lui le ha dato. Anche qui, quindi, Lady Macbeth è accostata a un ideale materno dal quale lei tuttavia diverge totalmente.
Negli adattamenti, i monologhi e le scene tra i coniugi sono stati liberamente manipolati e spostati, a seconda del gusto del regista. Nel film di Kurzel, questo dialogo avviene nella chiesa, ambientazione anche del primo monologo. Lady Macbeth viene ritratta con uno sguardo gelido, mentre Macbeth le rivela i suoi dubbi. Kurzel ha deciso di andare nella direzione di una seduzione fisica, oltre che mentale: i dettagli del piano omicida vengono esposti dalla donna mentre consuma un rapporto col marito sull’altare della chiesa, reiterando la blasfemia del pensiero e dell’atto. E proprio in questa scena si vede il legame carnale e fagico evidenziato tra i due: Macbeth sembra nutrirsi di lei, e lei è il suo nutrimento. Polanski è andato in una direzione del tutto diversa, mostrando una Lady in lacrime nel sentire il marito tornare sui suoi passi; ha un tono supplichevole mentre cerca fisicamente di far girare verso di lei l’uomo, che le volta ripetutamente le spalle. È pure assente il riferimento a una precedente gravidanza, probabilmente per non creare tensione narrativa con la giovane età dei due protagonisti. Quando infine riesce a convincere il marito, lei danza sorridente con Duncan, mostrando una piena capacità calcolatrice nel simulare le emozioni. Il legame stretto e carnale che stringe la coppia, tuttavia, avrà la sua prima frattura nell’atto III, quando per la prima volta Macbeth non metterà al corrente la moglie del suo piano di uccidere Banquo e Fleance. Notiamo qui un cambiamento nelle dinamiche fra i due per cui, dopo tre atti, è Macbeth ad assumere il ruolo di dominanza. Egli dà per scontato che lei sarà contenta dei risultati delle sue azioni — «Be innocent of the knowledge, dearest chuck, / till thou applaud the deed» (atto III, scena II) —, non si interessa neanche più alla volontà della moglie. Questo importante distacco è reso evidente specialmente nell’adattamento di Kurzel, nel quale la donna si frappone fisicamente tra il marito e l’intento, fra lui e il pensiero. Lady Macbeth non avrà più alcun controllo sulla catena di omicidi che si dipanerà, in particolare con l’assurda strage degli innocenti. Questa divisione sancirà la fine di entrambi poiché, in una coppia così interdipendente, l’uno non può sopravvivere senza l’altra. La mascolinità isterica del dramma porterà i due personaggi a destinazioni diverse ma altrettanto drammatiche. Lady Macbeth, non riuscendo più a tollerare il senso di colpa e la frattura tra il suo femminile e il suo maschile, morirà tra le urla della dama di compagnia; quanto a Macbeth, egli supererà ogni limite umano, arrivando all’animalità più violenta e istintuale.
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Articolo di Beatrice Ceccacci

Studente magistrale in Filologia Moderna, si è laureata in Lettere Moderne presso l’Università La Sapienza di Roma. Fin dai primi anni di studio, ha coltivato un forte interesse per i women and gender studies, un interesse che ha trovato espressione nella sua tesi triennale dedicata alle trobairitz, le prime poete provenzali.
