Sulle strade di Shanghai

Il nome Shanghai (上海, shàng-hǎi) significa “sul mare” e sintetizza la vocazione commerciale e portuale della città. Fino al XIX secolo, Shanghai era un insediamento relativamente modesto, ma dopo la Prima Guerra dell’Oppio (1842), con l’apertura forzata al commercio internazionale divenne rapidamente un centro strategico.
Nessuna città cinese racconta la complessità della propria storia politica quanto Shanghai. La sua toponomastica, stratificata e selettiva, è il prodotto di secoli di cambiamenti urbani, dominazioni straniere, rivoluzioni ideologiche e pianificazioni moderne. Nelle sue oltre 60.000 strade si riflette una memoria costruita più per esclusione che per inclusione. I nomi che mancano, infatti, parlano tanto quanto quelli presenti.

La rete stradale di Shanghai

La toponomastica di Shanghai può essere riassunta in tre grandi fasi storiche, corrispondenti a momenti cruciali della storia cinese contemporanea.
La prima fase si apre con l’ingresso della città nel commercio internazionale. A partire dal 1845, con l’istituzione delle concessioni straniere — inglese, francese, americana e, seppur non ufficiale, italiana — si delinea un sistema urbano in cui la toponomastica risponde a logiche coloniali. La città viene spezzata in compartimenti coloniali autonomi che impongono i propri codici toponomastici creando un tessuto a forte impronta occidentale, in totale rottura con la tradizione cinese. Strade, piazze e quartieri portano nomi come Avenue Joffre, Rue du Consulat, Gordon Road, Piazza Regina Elena.

Shanghai inglese e francese. Cartolina degli anni ’20

La seconda fase inizia con la fine delle concessioni e si sviluppa a partire dal 1949, con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Rinominare vie e piazze è sempre stato uno strumento di legittimazione del potere e il nuovo governo comunista avvia un’ampia campagna di ridenominazione urbana, finalizzata alla costruzione di un’identità socialista. I nomi coloniali vengono eliminati, ma insieme a essi scompaiono anche quelli religiosi, aristocratici e associati al governo nazionalista del Guomindang. Il lessico toponomastico si riempie di termini astratti e ideologici: appaiono strade dedicate alla “Liberazione”, alla “Costituzione”, alla “Fratellanza del Popolo”.
La terza fase coincide con l’espansione vertiginosa della città nel tardo Novecento e inizio Duemila, in particolare con la creazione del distretto di Pudong. Qui, in una nuova griglia urbana pensata ex novo, la toponomastica viene organizzata secondo uno schema preciso e impersonale: le strade che corrono in direzione nord-sud portano nomi di province e regioni cinesi, come Sichuan Road (四川路), Henan Road (河南路) e Xinjiang Road (新疆路), mentre quelle in direzione est-ovest sono spesso intitolate a città, come Nanjing Road (南京路), Fuzhou Road (福州路) e Yan’an Road (延安路).
È un modello “scientifico”, pianificato, che riflette la modernità senza evocare il passato.

Shanghai. Nanjing Road, orientamento Est-Ovest

La toponomastica cinese è un dispositivo ideologico, uno strumento di ordine simbolico e territoriale.
Alla base delle attuali regole toponomastiche c’è l’intento di rispettare l’unità nazionale, la sua dignità e sovranità. Pertanto, nelle aree in cui le minoranze etniche e religiose hanno un’altissima concentrazione, i toponimi lasciano poco spazio ai nomi locali. Questo vale anche per Shanghai, che pur essendo una metropoli moderna e cosmopolita, adotta criteri toponomastici standardizzati per rafforzare il senso di coerenza nazionale. La pluralità culturale della città — frutto di scambi e migrazioni — viene neutralizzata nella nomenclatura ufficiale.
L’area urbana di Shanghai occupa oggi circa 6.500 chilometri quadrati e include ben 16 distretti distinti. La struttura viaria crea sostanzialmente una grande griglia, con poche eccezioni, abbracciata da tre circonvallazioni concentriche.

Mappa di Shanghai. Le circonvallazioni

Nelle aree di più recente costruzione i nomi delle strade riflettono una logica di standardizzazione finalizzata all’efficienza e al controllo, e rispettano in prevalenza i suddetti criteri di orientamento rispetto ai punti cardinali.
A questa logica si affianca tuttavia una varietà di strategie denominative che includono vie numerate, toponimi funzionali, riferimenti alla natura ed elementi simbolici.
In alcuni casi vi si incontrano strade conosciute con nomi diversi da quelli ufficiali, legati alle attività economiche storiche o attuali. Un esempio emblematico è Fuzhou Road (福州路), conosciuta come “Cultural Street” per la concentrazione di librerie, case editrici e negozi di articoli per la calligrafia e la pittura tradizionale cinese. Altre strade prendono il nome da fiori, piante, stagioni o paesaggi, evocando bellezza e armonia, come Meihua Road (梅花路) — Strada dei fiori di pruno, Fenglin Road (枫林路) — Strada della foresta d’acero, Ziteng Road (紫藤路) — Strada del glicine. Nel quartiere residenziale di Gubei, nel distretto di Changning, alcune nuove vie sono state denominate con nomi di pietre preziose, come Hongbaoshi Road (红宝石路) — Strada del rubino, Manao Road (玛瑙路) — Strada dell’agata, associando così eleganza e prestigio al contesto urbano.

Strade di Shanghai. Da sinistra: Fuzhou Road, Fenglin Road, Manao Road, Hongbaoshi Road Station, Ziteng Road Station

Il Regolamento sulla Mappatura dei Toponimi, che risale al 1986, porta con sé tracce dell’egualitarismo insito nel pensiero comunista e vieta quindi di intitolare le vie a persone. Questo spiega anche l’assenza di toponimi femminili. In effetti, Shanghai, come la maggior parte delle città cinesi, non ha strade dedicate a personaggi storici viventi o defunti (con rare eccezioni, come Sun Yat-sen) e per quanto riguarda le donne, se si escludono le generiche “Vie delle Madri” e qualche rara evocazione mitologica — come la “Via della Dea Madre del Cielo” — il loro contributo alla storia e alla cultura è del tutto inesistente nella toponomastica, ma la città conserva la memoria di poche sue protagoniste nelle loro antiche abitazioni o nei parchi.

Soong Ching-ling

Non c’è una strada intitolata a Soong Ching-ling (宋庆龄), 1893-1981 — seconda moglie di Sun Yat-sen (uno dei più importanti rivoluzionari cinesi) — che svolse un ruolo significativo nella formazione della Repubblica, ricoprendo diverse posizioni governative di rilievo, tra cui quella di vicepresidente e di capo di Stato ad interim. Due luoghi cittadini, però, ne testimoniano comunque l’importanza: la Residenza Memoriale, al numero 1843 di Huaihai Middle Road, Distretto di Xuhui, dove visse dal 1948 al 1963 e oggi trasformata in museo, e il Parco Memoriale che porta il suo nome, al numero 21 di Songyuan Road, nel Distretto di Changning.

Shanghai. Residenza celebrativa di Soong Ching-ling

Mancano targhe e strade a scienziate, letterate, artiste o imprenditrici, eppure ci sono altre figure femminili legate a Shanghai che meriterebbero un riconoscimento toponomastico. Forse la più amata è Qiu Jin, poetessa, femminista e rivoluzionaria, fu giustiziata nel 1907 per aver partecipato a una cospirazione contro la dinastia Qing.

Qiu Jin

Qiu Jin (秋瑾), è una figura iconica della Cina moderna. Nata nel 1875, fu una delle prime donne a rompere con le convenzioni del tempo: abbandonò il marito, vestì abiti maschili, praticò arti marziali, imparò a cavalcare e fondò il giornale femminista “China Women’s News” (中国女报), che denunciava le ingiustizie sociali e promuoveva l’educazione delle donne. Frequentò ambienti progressisti, pubblicò saggi e poesie infuocate contro l’oppressione femminile e imperiale, e collaborò con esuli e intellettuali rivoluzionari. Nel vivace fermento culturale e politico della Shanghai degli inizi del Novecento, organizzò incontri clandestini e contribuì alla nascita della Restoration Society, un’organizzazione segreta anti-Qing. Catturata dopo un fallito attentato, fu torturata e giustiziata a soli 31 anni. A Shanghai, però, la sua voce non si è mai spenta del tutto: risuona tra le pagine della letteratura, nei movimenti per i diritti delle donne e nel desiderio, ancora inascoltato, di dedicarle una strada che onori la sua memoria.

Ruan Lingyu

Un’altra figura comunemente amata, nata e vissuta a Shanghai, è Ruan Lingyu (阮玲玉), una delle icone più note del cinema cinese degli anni Trenta. Nacque nel 1910 da una famiglia povera e le difficoltà economiche crebbero alla precoce morte del padre. A sedici anni, iniziò la carriera di attrice che la rese protagonista in numerosi film muti. La sua interpretazione più celebre, in La Dea (神女, 1934), le valse il titolo di “Greta Garbo di Shanghai”: qui veste i panni di una prostituta che lotta per mantenere suo figlio e assicurargli un futuro dignitoso. La sua vita personale fu segnata da relazioni tumultuose e da un’intensa pressione mediatica. Nel 1935, a soli 24 anni, si suicidò, lasciando un vuoto profondo nel cuore dei suoi fan e nella storia del cinema cinese. La sua morte suscitò indignazione e portò a riflettere sul trattamento delle celebrità, e soprattutto delle donne, da parte della stampa sensazionalistica. Oggi, Ruan Lingyu viene ricordata come una pioniera del cinema, il cui talento e la cui tragica fine continuano a ispirare e commuovere.

Il moderno distretto di Pudong

Shanghai è una città in continua espansione. Ogni anno nascono nuovi quartieri, si aprono nuove arterie, si ridefiniscono interi distretti. Questo dinamismo rappresenta un’occasione straordinaria per ripensare la toponomastica in chiave inclusiva. Non si tratta solo di rendere giustizia a figure dimenticate, ma di educare le future generazioni attraverso lo spazio che abitano. Le targhe non sono semplici indicatori ma narrazioni permanenti. Ogni nome scritto su una mappa contribuisce a costruire un’identità collettiva. Shanghai, con la sua storia affascinante e contraddittoria, può scegliere se continuare a tacere o iniziare a parlare anche con voce femminile.
Una città più giusta comincia anche da una targa.
E le targhe, come le storie, si possono — e si devono — riscrivere.

In copertina: il Nanpu Bridge.

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Articolo di Paola Di Lauro

Laureanda in Lingue e culture moderne, sono appassionata di letteratura e narrativa femminista. Intreccio prospettive femministe con radici culturali diverse, tra cui quella italo-cinese, per decostruire narrazioni dominanti e costruire nuovi immaginari. Scrivo per dare spazio a esperienze plurali, per riscoprire autrici dimenticate e per affermare il potere della parola nel ridefinire il mondo.

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