Fragilità e segreti delle famiglie

L’ultimo libro di Mara Cinquepalmi, giornalista professionista già autrice di diverse pubblicazioni sui temi a lei più cari, quali la memoria, lo sport e le discriminazioni di genere, è Breve atlante delle (altri) madri e dei (nostri) figli, in cui ritroviamo intrecciate queste stesse tematiche: il racconto di storie di vita, il gioco del calcio come fenomeno culturale e l’essere madri nelle tante e varie sfumature che comporta.
Breve perché il rapporto tra madre e figlia/o è indagato in quattro racconti, emblematici dei diversi modi di vivere o subire, scegliere o negare la maternità, atlante perché, come scrive l’autrice: «è per definizione una “raccolta sistematica di carte geografiche per consultazione e studio”, così questa è una piccola raccolta di storie sull’essere figli. Anche di madri che hanno rinunciato a essere tali per diversi motivi, affidando i propri figli alle cure di altre persone perché non hanno potuto o voluto. Sono madri “perdute” come vuole un’accezione moralista».
La protagonista delle vicende, diverse l’una dall’altra per periodi e luoghi, ha però sempre lo stesso nome, Agata, a sottolineare come possono cambiare le storie ma la condizione che ruota intorno all’essere madre, nella sua bellezza e difficoltà, gioia e profonda sofferenza, rimane la stessa.
Lasciamo a chi si addentrerà nella lettura dei racconti la curiosità di scoprire gli esiti finali delle peregrinazioni dei diversi personaggi nei meandri dell’esistenza, fra paesi, cortili, spiagge dai vari nomi e colori, descrizioni e atmosfere che cambiano continuamente, e ricordiamo solamente alcuni momenti cruciali dei quattro racconti, intervallati da partite di calcio e canzoni d’epoca, puntualmente indicate in una playlist in appendice, disponibile anche su Spotify.

Il primo, La crepa, parla di un abbandono del figlio, dovuto, come spesso capita, a un rapporto adolescenziale considerato “sbagliato” dalle rispettive famiglie, dalla gente del paese, da una mentalità gretta e bigotta, nonostante la bella figura del prete con cui l’Agata dei libri perduti si confida, che è l’unico a sostenerla: «La domanda di don Andrea arriva dalla grata che chiude il confessionale. Che guaio può mai essere un figlio?». E poi le peripezie dell’esistenza, i non-detti, i litigi, il separarsi e il ritrovarsi… ma il “chi si è” e la sua incertezza segna la vita: «E tu a chi appartieni? Dalle mie parti prima o poi te lo chiedono, qui funziona così e lo impari presto. È la vecchia sdentata, seduta davanti alla porta di casa sua, mentre riprendi fiato dopo una corsa giù per la strada in discesa, è la maestra il primo giorno di scuola, pronta a disegnare la geografia della sua nuova classe, è l’impiegato curioso che tiene tra le mani sudate la carta di identità». E l’avvenimento centrale avviene sullo sfondo della memorabile estate dell’82, quella dei mondiali di calcio vinti dall’Italia in Spagna, l’avventura del commissario tecnico Bearzot e di Paolo Rossi, che fece discutere e accalorarsi tutta la nazione.

In Dormono sulla collina la seconda madre, Agata della fabbrica, si ritrova incinta dopo che suo marito muore in un brutto incidente sul lavoro: «Le disgrazie, si sa, non arrivano mai una alla volta. Questo ha pensato Agata quando ha scoperto di essere incinta dopo la morte del marito. E dire che un figlio lo volevano. Avrebbero fatto spazio in quella casa piccola, non lontana dalla fabbrica. Avrebbero fatto spazio nelle loro vite adulte, quando ormai un figlio è un miraggio». Che fare? Spesso le scelte non sono davvero scelte, ma macigni che ti cadono addosso e devi solo combattere perché non ti schiaccino definitivamente. Abbandonare un figlio appena nato senza neanche volerlo vedere, nel tentativo vano di placare il dolore, è invece «un dolore acuto, tanto da sembrare che le bucasse il petto fin nel profondo, fino a toglierle il respiro». La stessa sensazione di soffocamento, di spaesamento, ma questa volta per la gioia, la prova chi quel figlio lo accoglie nella propria casa, come dono a lungo cercato e ora finalmente realizzato. Qual è la cosa giusta in questi casi? Dire… non dire… far finta che quel figlio sia tuo davvero? Ma è tuo… l’hai cresciuto tu… però viene sempre il momento in cui «qualcosa si spezza e ti senti dire: «Perché solo ora? Perché mi avete ingannato per diciotto anni?» Come reagisce un figlio alla scoperta di avere una madre biologica che lo cerca e vuole conoscerlo, dopo tanti anni, e una famiglia che lo ha accolto e amato, ma ingannato? «Come il tarlo nell’armadio che poco alla volta, persino per anni, mangia il legno scavando gallerie e creando fori dalla forma perfetta. Il tarlo approfitta di una crepa. Si accomoda lì, si nutre del legno e si diffonde rapidamente. Così fa l’inganno. Si annida in una bugia, in una crepa della vita e si moltiplica per anni in silenzio come i cerchi nelle pozzanghere».

E arriva finalmente anche l’Agata della speranza. Una storia di migrazioni, di bimbe e bimbi lasciati alle madri e alle nonne, lasciati e ritrovati… «La Germania è lontana, “un altro mondo” come sostiene sua nonna, ma non può rinunciare. Non questa volta. Paolo le ha promesso che la sposerà, che potrà andare a riprendersi suo figlio Luca, che in Germania diventeranno ricchi e saranno felici. Quello che non è mai stata a Bologna». Passano gli anni, scorrono le vite e le vicende: lontane nello spazio, presenti nel ricordo… Forse non tutto è perduto… «Nessuna legge obbliga genitori e figli a volersi bene. Si sceglie di essere madri come di essere figli».

La quarta madre, l’Agata delle bugie, è la più triste, quella che subisce vere e proprie violenze domestiche: «Non avrei mentito più o almeno così credevo fino a quando non incontrai Corrado. Sognava di fare il pugile, ma intanto lavorava nell’officina del padre. Sognava pure una casa tutta sua con me e Nina, però all’inizio ci accontentammo di una con due stanze. Era bravo a sognare Corrado ed era pure bravo ad alzare le mani su di me». Sa però fuggire e cavarsela da sola con Nina, la prima figlia, e Michele, il figlioletto che voleva sottrarre alla violenza del padre: «Mentii anche a Corrado prima che la pancia si arrotondasse, prima che potesse mettere le mani su quel figlio suo, al quale diedi il nome dell’arcangelo che trafigge il diavolo con la spada». Tanti stenti, tanti cambiamenti, tante lotte per riavere Michele, portato via da lei considerata una “cattiva madre”, ma che Agata vuole con sé, dopo tanta fatica: «Lo dice il tribunale: “Deve essere tolto alla madre e riconsegnato alla famiglia che da un po’ di tempo si occupa di lui”. Secondo i giudici, questa casa, non è “un ambiente idoneo per il suo sereno sviluppo”». Come finirà?

Una lettura coinvolgente, di vita vissuta, di brutte esperienze che speri di non dover subire mai, se non le hai provate finora, o in cui ti ci ritrovi, in prima persona o per sentito dire. E di grandi prove di coraggio: «Agata si muove a fatica sulla sedia scomoda, non sa se per il ventre sempre più ingombrante, così enorme rispetto a quel suo corpo minuto, o per quello che sta per dire alla donna che siede di fronte a lei, pronta a prendere appunti su un grande quaderno a quadretti».

Maria Cinquepalmi
Breve atlante delle (altre) madri e dei (nostri) figli
Scatole Parlanti, 2025
pp.96

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.

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