A Mesagne, nell’ambito del XIII Convegno di Toponomastica femminile, durante la prima giornata il 9 ottobre 2024, Antonietta Angelica Zucconi è intervenuta sul tema Viaggiatrici con questo suo apporto:
«L’intervento intende presentare il numero XXII (numero 1 del 2023), intitolato Viaggi, della rivista “Genesis” pubblicata dalla Società Italiana delle Storiche; questo numero è stato curato da Elisabetta Serafini e da me. Il proposito espresso nella call for papers da noi curatrici era di presentare lo stato dell’arte degli studi odeporici, e quindi di reperire e riunire una serie di contributi sul tema del viaggio visto in una prospettiva di genere, con un focus particolare sul nesso tra viaggio, scrittura e costruzione identitaria, e sulla valenza potenzialmente emancipatoria del viaggiare.

A sinistra Antonietta Angelica Zucconi, a destra Danila Baldo
Abbiamo inteso il concetto di viaggio in senso lato, comprendendo migrazioni, turismo, spostamenti per lavoro o studio, pellegrinaggi; il viaggio poteva consistere in uno spostamento definitivo o temporaneo, libero o forzato, dettato da ragioni economiche, politiche, religiose, culturali, da curiosità anche di esperienze sessuali ecc.
Da tempo le esperienze di viaggio femminili sono oggetto di studi disciplinari e interdisciplinari, ma negli anni più recenti si sono aggiunte nuove riflessioni su come la specificità di genere possa determinare l’esperienza del viaggio: a quali esperienze possono accedere solo le viaggiatrici o solo i viaggiatori; i luoghi che le une e gli altri possono o non possono visitare; le forme delle relazioni con le popolazioni con cui entrano in contatto; lo stile e i contenuti dei loro racconti; le opinioni delle viaggiatrici su come il genere determini i comportamenti sociali nei luoghi visitati, costruendo un termine di paragone con quelli del proprio contesto di provenienza; come la lontananza dalla società di appartenenza possa talvolta offrire la possibilità di liberarsi da conformismi e di sperimentare nuovi ruoli.

Gli articoli presentati in questo numero coprono un arco di tempo abbastanza delimitato (tra l’inizio del XIX e la prima metà del XX secolo), e raccontano le vicende di viaggiatrici che si sono spostate — descrivendo poi le loro esperienze — da una parte all’altra del pianeta. La maggioranza delle protagoniste provenivano da Paesi occidentali (soprattutto anglosassoni, ma anche dalla Francia) e visitavano nazioni considerate lontane, esotiche o “diverse”, oppure si recavano in altri Paesi europei ritenuti interessanti per motivi politici o sociali. Abbiamo anche il caso di una viaggiatrice proveniente dal Medio Oriente.
Le fonti su cui si basano i saggi sono fondamentalmente le relazioni di viaggio scritte in prima persona, mantenute private o presentate solo in ambito familiare, oppure uscite in libri e periodici, di varia natura e destinati a lettori diversi. Spesso scopo del viaggio era proprio raccogliere materiale destinato a queste pubblicazioni.
Alessia Facineroso, Unfolding Italy. Viaggiatrici inglesi nel “lungo” Risorgimento.
Facineroso riprende nel suo articolo, con una visione originale, l’argomento ben conosciuto e studiato delle viaggiatrici inglesi in Italia nel corso dell’intero Risorgimento; queste viaggiatrici si fecero sempre più numerose via via che miglioravano le condizioni materiali di viaggio. Alla passione anglosassone per il Mediterraneo, emergente durante il Grand Tour e a partire dal XVIII secolo, si aggiunse nei primi decenni dell’Ottocento l’idea che un intervento della Gran Bretagna, usando come modelli la politica e la società inglese, potesse essere una soluzione di problemi e conflitti in queste regioni.
Nei resoconti delle viaggiatrici si ripercorre una narrazione al femminile del Risorgimento, con una particolare attenzione al contesto politico. Le travellers descrivevano un modello “romantico” dello Stato che voleva nascere, con una forte identificazione nelle passioni della nazione italiana; l’esperienza del viaggio in Italia diventava allora un modo di sperimentare i propri desideri e le proprie speranze di riscatto.
L’Italia era vista come una donna, anzi come una madre: Elisabeth Barrett Browning, che visse a lungo e morì a Firenze, aveva preferito mutare il nome di patria in quello di matria o madrepatria.
Elena Musiani, “Per lungo tempo ho viaggiato da sola e da straniera”. Intrecci di sguardi e narrazioni nell’Europa della prima modernizzazione.
Musiani indaga l’esperienza di vita e di viaggio di Flora Tristan, segnata dal suo essere “diversa” e straniera fin dalla nascita. Figlia di un peruviano e di una donna francese emigrata in Spagna, Tristan era rimasta orfana di padre piccolissima e aveva avuto un’infanzia difficile e un matrimonio infelice con un uomo violento; finì col guadagnarsi da vivere impiegandosi come governante e dama di compagnia presso famiglie inglesi. Nel 1833 s’imbarcò per il Perù, per raggiungere la famiglia paterna; il viaggio, compiuto da sola e poi raccontato nelle sue pubblicazioni, la mise di fronte alle difficoltà delle classi bisognose e in particolare delle donne straniere, considerate l’elemento più fragile e indifeso.
I suoi interessi, e il suo impegno sociale, si allargarono poi alla condizione femminile in generale e ai diritti delle donne, considerate come elemento unificante in una prospettiva geopolitica europea. Nei suoi libri e nei suoi resoconti di viaggi in Inghilterra, ritornava la preoccupazione sulla drammatica situazione sociale, soprattutto delle donne; le sue opere rappresentavano autentiche inchieste su un Paese, la Gran Bretagna, che era allora considerato un modello dai suoi contemporanei.
Irene Gaddo, Donne e montagna: viaggi e scritture femminili sulle Alpi occidentali tra XIX e XX secolo.
Con il saggio di Irene Gaddo cambiamo esperienze e ambiente: siamo nel mondo delle viaggiatrici e delle escursioniste che affrontarono esperienze difficili e anche pericolose sulle Alpi, in particolare nelle Alpi occidentali a cavallo tra Valle d’Aosta, Piemonte e Svizzera. Contemporaneamente alla nascita, tra metà Ottocento e Prima guerra mondiale, dell’alpinismo sportivo, molte donne — principalmente di nazionalità britannica — si avvicinarono alla montagna accanto a mariti, parenti o amici, o anche da sole o in compagnia di altre signore.
Molte viaggiatrici pubblicarono i loro resoconti, suscitando interesse negli editori e nei lettori. Nei loro handbooks — genere che conosceva allora un grande successo — descrivevano non solo gli itinerari e i paesaggi attraversati, ma vi aggiungevano una serie di suggerimenti per le escursioniste, in modo da metterle in grado di affrontare senza eccessive difficoltà e disagi le esperienze alpine. L’elemento più interessante nella scrittura dei resoconti delle viaggiatrici era l’accentuato interesse per gli aspetti folklorici e storico-culturali.
Veniva quindi proposta un’immagine diversa dell’esperienza alpina, in cui le donne potevano trovare un arduo ma possibile equilibrio tra il mondo maschile e la propria identità femminile, senza sovvertire le norme sociali ma rivendicando la capacità di affrontare imprese impegnative in ambienti difficili e non più riservati solo agli uomini.

Nicoleta Roman, L’Orient s’en va. Nineteenth-Century Western Women Travellers and their Routes of Knowledge for South-Eastern Europe.
Nel saggio della storica rumena Nicoleta Roman i confini dei viaggi in Europa si allargano, e anche la Romania, divenuta indipendente nel 1877-78 dall’impero ottomano, appare una meta turistica, esotica ma non troppo e priva di particolari pericoli anche per le viaggiatrici. In relazioni di viaggio di donne che erano rimaste nella regione per periodi più o meno lunghi, l’autrice indaga l’immagine che viaggiatrici occidentali si formarono della Romania e dell’intera Europa del Sud-Est.
Queste regioni erano viste come più vicine al Medio Oriente islamico, considerato ancora come “barbarico”; costituivano anche una tappa nel viaggio verso il Mar Nero o sull’itinerario per Istanbul, che rimaneva per molti turisti e turiste un punto di arrivo mitico, ricercato e amato ma anche temuto.
Alice Boeri, Donne in Cina a metà Ottocento. Opportunità e limiti del viaggio a partire da alcune fonti missionarie.
Le fonti — particolarmente originali e interessanti — su cui ha lavorato Alice Boeri, sono gli articoli e i racconti delle missionarie protestanti in Cina, nella seconda metà dell’Ottocento e dopo la fine delle Guerre dell’oppio, quando l’Impero Celeste fu costretto ad aprirsi al mercato internazionale. Le prime missionarie protestanti si stabilirono in Cina dopo il trattato di Nanchino del 1842 (in precedenza le donne straniere non potevano vivere nell’Impero), spesso al seguito dei mariti pastori ma anche da sole. Le società missionarie opponevano alcune difficoltà all’invio di donne nubili in Cina, relative a una loro presunta debolezza fisica in un clima debilitante, o alla possibilità che la popolazione locale le considerasse le “concubine” dei pastori.
Gli articoli o i libri in cui molte missionarie descrissero la loro esperienza erano destinati soprattutto a una platea femminile, e avevano lo scopo sia di raccogliere fondi destinati alle missioni, sia di incoraggiare altre donne a partire; in questi scritti emerge un’attenzione particolare per la vita familiare delle donne cinesi. Va ricordato anche che — soprattutto nell’etnia Han — le donne erano tenute segregate, e che quindi solo le missionarie erano accettate all’interno delle case, dove potevano svolgere il loro ruolo educativo. Si ribadiva in questi scritti l’importanza della missione protestante, che poteva innalzare il ruolo della donna tramite la conversione al cristianesimo. Le donne cinesi erano considerate comunque bisognose di aiuto, e poste su un piano diverso e inferiore rispetto alle donne occidentali.
Leila Karami, Tre giorni alla fine del mare. Diario di pellegrinaggio alla Mecca di una principessa qajar (1886-1887).
Di eccezionale interesse è la fonte su cui ha lavorato Leila Karami: si tratta del diario del pellegrinaggio alla Mecca (ḥajj) di una principessa qajar, di cui non sappiamo il nome, che tra il maggio 1886 e l’agosto 1887 compì uno dei doveri principali richiesti dalla religione islamica. Il suo resoconto, conservato nella Biblioteca Nazionale di Tehrān, è uno dei rari esempi di narrazione di viaggio scritta da una donna iraniana nel XIX secolo, mentre all’epoca erano frequenti le relazioni di viaggio dei viaggiatori uomini.
La principessa, di nobile famiglia, aveva ricevuto una buona educazione e aveva sposato il governatore di una delle regioni dell’Iran, molto più vecchio di lei. Senza figli, caduta in depressione dopo la morte dei fratelli e tormentata da dubbi religiosi, chiese al marito il permesso di partire per l’ḥajj, accompagnata da sua madre, alcuni familiari e da un seguito di servitori. Il diario narra le vicissitudini e le difficoltà del viaggio, ma riporta anche le osservazioni della principessa sui luoghi e sulle persone incontrate, e sui loro costumi.
Arrivata vicino alla meta — ed era il momento più personale ed emozionante — la principessa raccontava il cambiamento nell’atmosfera spirituale, con i pellegrini vestiti di bianco e la lunga sequela dei riti da compiere; il clima religioso influì anche su di lei, e le fece dimenticare le difficoltà e i pericoli del viaggio. Questa esperienza, e le visite fatte ai santuari sciiti sulla via del ritorno, sembrarono averla aiutata a ritrovare la pace interiore.
Valentina de Santi, Luisa Rossi, Alexandra David-Néel, nomade del pensiero e nello spazio geografico.

L’ultimo saggio, quello delle geografe Valentina De Santi e Luisa Rossi, si incentra invece su una viaggiatrice celeberrima, Alexandra David-Néel. Le autrici si pongono in un’originale visuale di genere, ripercorrendo lo straordinario percorso di vita e di viaggi di Alexandra David-Néel attraverso i suoi scritti e le sue ricerche geografiche.
Viaggiatrice per proprio interesse, e studiosa dei Paesi e delle popolazioni visitati, David-Néel aveva una profonda conoscenza delle religioni orientali, maturata sia nell’esame dei testi sacri che in lunghe e avventurose osservazioni sul campo. Si dichiarava inoltre anarchica e socialista, contraria alla guerra e convinta della necessità di uno spazio libero di conoscenza, di lavoro e di studio aperto alle donne.
Nel 1891 partì per il primo viaggio in India, poi divenne cantante lirica, professione che le permise di viaggiare tra Europa, Asia e Africa. Sposò quindi l’ingegnere delle ferrovie Philippe Néel, cui rimase legata fino alla morte di lui da un matrimonio a distanza, ma tenuto vivo da una fitta corrispondenza. Nel 1911 ripartì per l’Asia per un viaggio che durò quasi 14 anni, e che culminò nel tentativo riuscito di arrivare a Lhasa — la capitale proibita del Tibet — travestita da pellegrina e accompagnata dal giovane Lama Yongden, che divenne il suo figlio adottivo. Sulla base delle annotazioni prese, David-Néel scrisse un gran numero di opere di viaggio più incentrate sulla realtà sociale che sulla descrizione di paesaggi o itinerari; questi libri conobbero un gran successo editoriale, soprattutto Voyage d’une Parisienne à Lhassa.
Le autrici descrivono anche la casa di Digne, in cui David-Néel ha vissuto gli ultimi decenni della sua vita, e che era stata chiamata in tibetano Samten Dzong (Fortezza della Meditazione), e che ora è divenuta un Museo. David-Néel vi aveva riunito oggetti e materiali raccolti durante i suoi lunghi viaggi in Oriente; visitarla significa entrare nel suo mondo e ricostruire la sua personalità e le sue esperienze.
In copertina: Flora Tristan.
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.
