Cambogia. Luogo di terra e acqua

E arrivò il momento della Cambogia, nel luglio 2012. Mio marito ama l’Indocina e finii per appassionarmi anch’io a quella terra lontana, a me nota solo per i reportage o i film della guerra in Vietnam. La Cambogia è un luogo di terra e acqua: è la patria del Mekong, fiume che nasce dagli altipiani tibetani di oltre 4500 metri e che bagna Cina, Birmania, Laos, Thailandia e Cambogia, prima di sfociare in Vietnam. Il suo territorio è una vasta pianura circondata da monti che lasciano aperto un varco a sud-est, dove si apre un grande golfo di cui resta traccia nel lago di Tonlè Sap, il cui livello delle acque si alza notevolmente nel periodo delle piogge, allagando le pianure circostanti. A fine ottobre cessano i rovesci, si abbassano le temperature e le pianure, rese fertili, danno buoni raccolti. Con queste poche informazioni geografiche ci preparavamo a partire per un viaggio autonomamente organizzato. Nella scuola dove insegnavo, il liceo “Maffeo Vegio” di Lodi, una collega mi parlò di un missionario lodigiano, padre Mariano Ponzinibbi, che aveva fondato, proprio in Cambogia, una scuola galleggiante sul lago Tonlè Sap. Morto nel 2007, era stato sostituito da un altro missionario del Pime di Saronno, del quale mi diede il numero telefonico. Ricevetti anche il contatto di Valeria, una volontaria lodigiana, facente parte di uno sparuto gruppo di missionarie laiche che operano in Cambogia in ambito educativo-sanitario. Mi rivolsi a lei e concordammo di portare ai bambini e alle bambine della scuola galleggiante matite e penne, raccogliendole tra le classi del mio liceo: riuscimmo a riempire due pacchi con scritto «A pen for you!».

Al volo Malpensa – Bangkok seguì un viaggio in pullman per la Cambogia, direzione Poipet, città di confine, dove le pratiche alla frontiera per l’ingresso in Cambogia furono rocambolesche: fantomatici tuk-tuk drivers ci portarono da altrettanto fantomatici militari, i quali volevano approfittare dei turisti per trarne denaro. Così 20 dollari ufficiali, necessari per il visto, diventarono molti di più, ma, nota positiva, era incluso anche il taxi, che in 2ore e mezza ci avrebbe portato a Sien Reap. Questa è la meta turistica più importante della Cambogia, grazie alla vasta area di Angkor, santuario di tutte le divinità scaturite dal pensiero degli uomini: realizzata con l’antica arte Khmer, l’eterna dimora di Vishnu e Shiva è ricca di simboli biologici, maschili, femminili, religiosi…della vita intera. Ci impiegammo tre giorni per visitare i monumenti principali, patrimonio Unesco dal 1992: è un mondo perso nel tempo, dove occorre il continuo sforzo umano per tenere puliti i templi dalla natura soffocante e aggressiva.
Il luogo era stato abbandonato nel quindicesimo secolo e nascosto dalla lussureggiante vegetazione, fino all’arrivo del giovane ricercatore francese, figlio dell’Illuminismo, Henri Mouhot, che, mentre cercava farfalle, si imbatté nella visione fiabesca di cinque torri di pietra che si slanciavano oltre le alte fronde. Era il 1860 e lui morì l’anno successivo di malaria, lasciando un meraviglioso diario di viaggio con dettagliate mappe del sito che servirono agli/le archeologhe, affinché si rendesse visibile e visitabile questo immenso patrimonio dell’umanità.

Il tempio delle donne ad Angor Wat

Le opere a grandi e ripidi gradoni risalgono al IX secolo, sono in laterite e mattoni, dedicate a divinità maschili e femminili della religione induista e buddista e narrano, scolpite nella roccia, le imprese del popolo khmer. Commovente è stata la visita del tempio delle donne, presidiato da statue raffiguranti grandi scimmie, ma la vista della maestosa grandiosità di Angkor Vat ci ha lasciati/e stupiti/e di ammirazione; all’interno abbiamo assistito anche a uno spettacolo con danzatrici cambogiane molto brave.

Una sezione dei templi ad Angor

La vicina città di Siem Reap, dove alloggiavamo, è molto attrezzata perché è turistica, ha buoni negozi e ottimi ristoranti. Da lì avevamo l’obiettivo di visitare le scuole galleggianti e in seguito la capitale, Phnom Penh. Io e mio marito per andare da Siem Reap a Battambang, la seconda città dopo la capitale, per fare un’esperienza meno turistica, optammo per un viaggio in barca. Si attraversa parte del grande lago Tonle Sap e poi ci si infila in uno dei fiumi che porta a sud. Quasi dieci ore di navigazione, comprese due aspettando che ci portassero una saldatrice per il timone rotto. A bordo non c’erano comodità, si trattava infatti di barche locali in legno; è un’esperienza fuori dal consueto, che permette però di vedere un lato non turistico della Cambogia. In particolare, durante i periodi in cui il Tonlé Sap esonda, ci si trova a navigare tra quelle che in altri periodi dell’anno sono letteralmente delle foreste. Ai lati del fiume si vedevano palafitte e abitazioni di fortuna: sono i villaggi galleggianti, dotati anche di minimarket, presso i quali sono state fatte brevi soste. A tratti il fiume si stringe e gli alberi con i loro rami entrano letteralmente dentro il traghetto, aperto ai lati, costringendo i passeggeri a spostarsi al centro per evitare i rami. Ad ogni dove sbucavano dei bambini che ci salutavano sorridendo. Siamo stati abbordati da altre imbarcazioni con la gente che saltava da una barca all’altra.
L’albergo di Battambang aveva mobili massicci di legno scuro che facevano pensare al periodo coloniale francese; il ristorante che ci era stato consigliato, il White Rose, era veramente romantico con piatti khmer e fantastici frullati di frutta fresca. Il giorno dopo, domenica, abbiamo partecipato alla messa nella chiesa cattolica ed è stata un’esperienza veramente commovente, per i canti e la partecipazione della gente seduta per terra. Una trentina di giovani dai quindici ai diciott’anni, in divisa, presentavano quel giorno la loro promessa per il Battesimo, che avrebbero ricevuto soltanto dopo aver compiuto un cammino di 3 anni, di cui quella era la prima tappa: ci è stato spiegato da una suora salesiana tailandese che conosce l’italiano, grazie ad un periodo di studio a Torino.

La promessa del Battesimo adulto in una chiesa di Battambang

Era finalmente arrivato il momento di raggiungere la scuola galleggiante fondata da padre Mariano Ponzinibbi. Non fu impresa facile raggiungerla e farsi comprendere dalle persone per lo scarso inglese, sia il mio che il loro. Con un pullman abbiamo fatto il primo tratto di strada e poi, giunti sul lago, con la barca abbiamo raggiunto la scuola. Le barche di questi villaggi due volte all’anno vengono legante tra di loro con delle corde per non disperdersi nel lago: avanzano in cerca di acqua più profonda nel periodo di secca e retrocedono nel periodo dei monsoni per ancorarsi alla terraferma. È interessantissimo assistere alla vita che “galleggia” con negozi, distributori di benzina e donne intente a svolgere faccende domestiche. Vedevamo molte chiese cristiane, riconoscibili dalla croce che spunta su un piccolo campanile, tuttavia dall’esterno quelle protestanti e quelle cattoliche non sono distinguibili: lo diventa non appena entrati, in quanto solo le ultime hanno la statua della madonna. Saliti sulla nostra scuola abbiamo vissuto un’ora indimenticabile, accolti da un giovane missionario giapponese a cui la scuola era stata affidata. Sia i bambini e le bambine sia gli/le insegnanti erano vietnamite, provenienti da una zona del Vietnam che li respinge; possono quindi vivere in Cambogia, ma solo sulle acque e non sulla terraferma. Abbiamo consegnato loro le penne e le matite che avevo ritirato al liceo “Maffeo Vegio”, ci hanno ringraziato con applausi e mi hanno mostrato la foto di padre Mariano.

La consegna delle penne in una scuola di Khampon Chhang, floating village

Nelle tre aule sono presenti dei banchi, un armadio di vetro che contiene i loro quaderni e, alle pareti, una lavagna con dei cartelloni con delle immagini molto colorate, scritte nelle lingue che devono apprendere: il khmer che non conoscono, ma è indispensabile per ambientarsi nella società cambogiana; il vietnamita che conoscono solo oralmente; l’inglese che è fondamentale per aprirsi agli altri. Non abbiamo visto nessun materiale didattico e l’apprendimento è basato sulla ricopiatura dalla lavagna e la ripetizione mnemonica di ciò che dice l’insegnante. All’ora di pranzo alcuni/e studenti in età di scuola primaria tornano a casa in barca a mangiare, per poi ritornare per le lezioni pomeridiane, da soli o a due a due con le loro personali barchette. I più piccoli, invece, pranzano lì con una ciotola di riso condito con verdure e gamberetti e poi fanno un riposino mettendo un cuscino sul pavimento.

Il riposino pomeridiano dei piccoli

La bellezza di questi piccoli/e ci ha riempito di gioia; ho ringraziato le maestre che mi hanno concesso di fotografarli. Incontrammo più tardi don Franco di Saronno che ci ospitò a casa sua (appartenuta precedentemente a padre Mariano), mangiammo un piatto di spaghetti e bevemmo un buon caffè Lavazza, fatto con la moka. Ci ha mostrato un centro per bambini con disabilità, molto arretrato; dove lo Stato è carente intervengono, come fu anche in Italia, le strutture religiose con i pochi mezzi che hanno. Lui è molto felice di vivere lì, al punto che quasi gli pesano i 2 o 3 mesi che, ogni 3 anni, deve trascorrere in Italia, dove oramai prova un senso di disagio: trova che tutto sia troppo complicato, la burocrazia esagerata, così come le forme di prevenzione e i sistemi di sicurezza, che da loro non esistono. Di sera, nel suo studio, abbiamo rivisto un film che conoscevamo, che in quella ambientazione era più coinvolgente: Le urla del silenzio del 1984, di Roland Joffè, cinema di denuncia che ricostruisce con perfetto realismo gli orribili crimini compiuti dal regime comunista di Pol Pot. Da quelle parti, ci disse don Franco, la convivenza religiosa tra i buddisti, gli animisti e i pochi cristiani è pacifica.
Visitammo la grande pagoda buddista della città e, in particolare, il crematorio dove i defunti vengono cremati. La credenza animistica è fortemente presente. Infatti, accanto a ogni casa c’è sempre un piccolo tempietto a forma di pagoda: è la casa degli spiriti dove si accendono incensi e si posano dei fiori e dei doni per propiziarsi il divino. Ci attendevano i giorni a Phon Penh, la capitale risorta trent’anni fa, dopo il terrore del governo dei Khmer rossi, ma che vanta una storia millenaria legata ai potenti Khmer, di cui si possono vedere i tesori presso il museo nazionale.

Il palazzo reale a Phon Penh

Splendido è anche il palazzo reale e la pagoda d’argento. In città ci attendeva l’ultimo appuntamento missionario: l’incontro con Cristina e Paola! Frizzanti, si presentarono con una moto — ce ne sono a migliaia in città, è il mezzo di trasporto più diffuso — e andiamo al Friend’s Resturant, un ristorante gestito da una cooperativa per il recupero dei ragazzi di strada. Il cibo e il servizio sono ottimi, il clima è di festa, come quando ci si ritrova tra vecchi amici: anche se ci eravamo appena conosciute, l’intesa è stata imminente. Parlammo delle attività che fanno, nei loro due campi d’azione: Paola nella sanità e Cristina nel sociale, soprattutto nella disabilità psichica, meno accettata dalla gente del posto. Entrambe ritengono che si debba dare molta fiducia alle donne, affinché si effettui un cambiamento positivo nella società, in quanto gli uomini sono spesso dipendenti da alcolismo. Le cinque o sei italiane volontarie e i due preti italiani presenti in Cambogia, si ritrovano solo una volta all’anno, a Natale, perché vivono in punti distanti tra di loro, nel territorio cambogiano, e le strade non sono facili da percorrere. Ci mostrarono un negozio annesso al ristorante, che vende oggetti prodotti da ragazze e ragazzi, seguiti da loro.
Il giorno dopo abbiamo visitato i memoriali della peggiore pagina di storia della Cambogia: l’inferno di Pol Pot, quello che viene chiamato «la dittatura dei Khmer rossi», periodo che durò 3 anni, 8 mesi e 20 giorni. Venne ucciso più di un quarto della popolazione, specie gli intellettuali. La popolazione oggi è ancora giovane e porta i segni di una ferita enorme, che ha interrotto o reso difficoltosa la trasmissione culturale tra generazioni. I processi per ottenere giustizia da quell’evento erano ancora in corso. Un taxi ci ha portato nel Museo del genocidio di Tuol Sleng, noto come S-21: una scuola superiore che fu adibita a prigione e luogo di tortura. Tutto è rimasto come allora: le aule trasformate in piccole celle con muri divisori, gli strumenti di tortura, le teche con i crani perforati. Nessuno si salvò, tranne sette uomini utili alla conduzione del carcere stesso, tra cui un meccanico o un elettricista. Tra il 1975 e il 1978, circa 20.000 persone furono rinchiuse qui prima di essere uccise, perché ritenuti nemici della rivoluzione, e ogni prigioniero fu fotografato, talvolta prima e dopo le torture. Stanza dopo stanza, il museo espone decine di strazianti fotografie in bianco e nero.

Bis, bambini in fila in attesa del cibo nel periodo dei Khmer rossi

Non si conosce il numero degli uccisi in tutto il Paese, ma si parla circa di un milione e mezzo, provocati da Pol Pot, pseudonimo di Saloth Sâr, studente della Sorbona di Parigi, rivoluzionario, politico e generale cambogiano, capo dei guerriglieri comunisti della Cambogia e primo ministro. Egli, dal 17 aprile 1975, avviò un esperimento di ingegneria politica, per trasformare la Cambogia in una cooperativa agraria maoista; fu un tentativo di riportare indietro le lancette della storia attraverso l’evacuazione dalle città, l’abolizione della proprietà privata, degli ospedali, delle professioni liberali, degli orologi e del denaro. I cambogiani furono deportati dalle città e mandati nelle campagne a lavorare in gigantesche fattorie collettive dove regnarono malattie e carestie. Aberrante fu l’eliminazione degli adulti da parte dei bambini, obbligati ad uccidere i propri genitori, ma per cui non furono fatti dei veri e propri processi per crimini contro l’umanità. Nessun giornalista poté documentare ciò che stava succedendo dal momento che si erano chiusi al mondo esterno. Fu solo l’arrivo dei vietnamiti che portò al termine quella tragedia. Nelle elezioni del maggio 1993 Sihanouk, ex sovrano in esilio, venne di nuovo proclamato re di Cambogia.

Cranio rotto nel museo del terrore S-21

Noi, dopo la sconvolgente visita di quel museo, siamo andati a bere una birra al famoso Hotel Continental Fcc, Foreign correspondents club, sul Mekong, centro culturale e intellettuale della capitale dove, durante la guerra in Vietnam, i corrispondenti di tutto il mondo si riunivano prima di mandare i loro dispacci ai rispettivi giornali. Di questi giornalisti e giornaliste sono presenti delle foto affisse alle pareti.

Guardando il Mekong dal balcone del FCC

Prima di ritornare in Italia avevamo previsto una tappa sulla costa a Sianukville, luogo di ameno turismo. Tuttavia, mentre passeggiavo sulla spiaggia, facevo caso agli uomini di mezza età, da soli, e non potevo fare a meno di pensare allo sfruttamento sessuale minorile, molto fiorente in Cambogia. Nonostante i cartelli contro la pedofilia disseminati ovunque, la piaga della prostituzione minorile non accenna a diminuire. È la povertà: la spaventosa e incolmabile sproporzione fra i loro normali redditi e gli immensi guadagni che offre una bambina in vendita sono tali da rendere difficile alla famiglia il negarla. Benché la povertà si possa solo combattere e non giudicare, rimane la bocca amara a ciascuno/a di noi, coscienti di quale gravità morale si tratti. E pensare che è solo dal 1992, con l’arrivo del personale delle Nazioni Unite, che la prostituzione è esplosa e la responsabilità dell’Occidente si fa veramente grave.

Spiaggia a Sianukville

È la fine di luglio, è ora di tornare… addio Cambogia, di te ricorderemo il verde smagliante, le dolci acque interne, le bianche spiagge sul mare, l’ottima cucina, gli innumerevoli tuc tuc, sempre pronti a portarci ovunque, e il giovane sorriso di tutti.

***

Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.

Lascia un commento