Il 2005 è stato l’ultimo anno in cui sono stata figlia unica. Nei mesi precedenti la nascita, i miei genitori mi hanno da subito resa partecipe del fatto che stesse avvenendo un evento grandioso nella pancia di mia madre. Per farmi comprendere l’arrivo di un altro essere vivente nella famiglia, mi mostravano le ecografie e rimanevo incantata davanti al telecomando che magicamente si muoveva in equilibrio sulla pancia gonfia. Allora avevo quattro anni e, come quel telecomando, qualcosa si stava spostando nelle nostre vite. Il suo arrivo, nell’autunno, è stato accompagnato da un regalo che, a detta di mamma e papà, era da parte di Angelo, il mio nuovo fratellino. Non nego che sarà emerso qualche dubbio nella mia mente di bambina quattrenne: innanzitutto, come poteva essere possibile che mia madre avesse partorito sia un neonato sia Ken (che non era nemmeno visibile dalle ecografie)? In secondo luogo, trovavo improbabile che uno scricciolo non in grado di mantenersi in piedi si fosse recato in un negozio di sua spontanea volontà… Ma non mi feci troppe domande, intanto avevo avuto un nuovo giocattolo! E no, non parlo di Ken.
Così la mia Barbie veniva affiancata dalla sua versione maschile e io da un amico con cui passare le giornate. Dal primo momento, non ci siamo più separati: dal bagnetto nei pomeriggi estivi, dove tigri realistiche in plastica venivano immerse nell’acqua insaponata, alle storie inventate più disparate che vedevano bambole, animali, macchine e robot volanti protagonisti della stessa avventura.
Dico sempre che la nascita di mio fratello sia stato il regalo più bello e prezioso che i miei genitori potessero farmi. Ed è così. Crescere insieme mi ha permesso di scoprire una parte di me sconosciuta, tutta maschile, e vedere come le pieghe della sua esistenza prendessero forma è stato un privilegio enorme. Vivere con lui mi ha permesso di entrare in un mondo diverso dal mio, senza mai sentirmi fuori posto. Nei nostri giochi non c’erano confini: Barbie pilotava astronavi e lottava contro i dinosauri, mentre Ken, ogni tanto, faceva shopping insieme ai Trasformers. Fino a quando non siamo stati catapultati appieno nella nostra prima esperienza sociale, quella della scuola, nessuno ci ha mai detto che determinate cose fossero “da maschi” o “da femmine”. Erano solo nostre.
Crescendo è arrivata l’adolescenza, abbiamo preso strade diverse, manifestato interessi e percezioni del mondo opposte. Le avventure condivise sono diventati spazi separati. Ma è anche questo il bello: lui è per me la vetrina sulla realtà che mi fa vedere oltre, oltre i miei limiti. Delle volte, però, vorrei tornare nella nostra base segreta in cameretta, fatta di cuscini, coperte, sedie, per potermi sentire al sicuro come in quei momenti e per poter ritornare complici, invincibili e liberi dalle convenzioni e dalle aspettative del mondo esterno.
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Articolo di Alice Lippolis

Sono laureata in Lettere Moderne presso l’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi dal titolo Nomi di mestiere: Sessismo Linguistico tra Sincronia e Diacronia. Attualmente sto frequentando il corso di laurea magistrale di Editoria e Scrittura presso la medesima università. Amo viaggiare, tanto quanto amo leggere sotto l’ombrellone in spiaggia (ma anche un po’ dove capita).
