Sono molti i momenti di proficua collaborazione — che negli anni si sono consolidati —fra la professoressa associata di Sociologia Generale presso l’Università degli Studi Roma Tre, Milena Gammaitoni, e la nostra associazione Toponomastica femminile. Innanzitutto è valida autrice di numerosi articoli di biografie di musiciste, compositrici, direttrici d’orchestra o di temi legati ad argomenti sociali d’attualità (vedi qui), che l’hanno fatta apprezzare dal nostro pubblico di lettrici e lettori; in secondo luogo ricordiamo che è stata discussant in salotti virtuali su svariati temi.

Un evento, poi, fondamentale per la nostra vita associativa, ha visto la presenza costante e fattiva della prof.a Gammaitoni: il concorso didattico Sulle vie della parità, ospitato presso il Dipartimento di Scienze della Formazione di Roma Tre. Portando i saluti istituzionali da parte dell’ateneo che ha di anno in anno accolto la premiazione, ha sempre motivato le/gli studenti presenti a compiere ricerche che ricordano e danno rilevanza a figure femminili importanti per la cultura e la società, promuovendone le intitolazioni in spazi pubblici.

In occasione della pubblicazione del suo ultimo libro, La sociologia. Storia e storie. Teorie e ricerca empirica (pp. 509), prima di calarci nella presentazione di quest’ultimo imponente lavoro, poniamo alcune domande alla docente, per conoscerne meglio il percorso culturale e professionale.
Partiamo da te: quando è nata la tua passione per gli studi sociologici? Già la scuola secondaria ha saputo indirizzarti o è stata l’Università che hai frequentato a far nascere il tuo interesse?
Durante le scuole superiori amavo soprattutto la filosofia, la letteratura italiana e straniera, e questo dimostrava già un grande interesse per culture diverse. Ai miei tempi non era neanche accennata la sociologia durante gli studi superiori, l’ho scoperta grazie a mia madre, mi indicò il manifesto degli studi, perché ero indecisa tra la facoltà di filosofia o lettere. Improvvisamente vidi concretizzata negli studi sociologici l’unione del pensiero astratto teorico e filosofico con quello della vita quotidiana, del presente, nell’indagare le problematiche della società, e immaginare soluzioni, indicando auspicabili mutamenti, nella definizione valoriale e politica (sono una socialista utopista, eco femminista se vogliamo usare delle categorie…), sempre più convinta e consapevole negli anni che la scienza non è mai neutrale.
Così decisi di iscrivermi alla Facoltà di Sociologia con grande entusiasmo e convinzione.
Sappiamo che svolgi numerosi altri incarichi, oltre alla principale docenza, ce ne vuoi parlare?
Il mio impegno scientifico e divulgativo è iniziato da studente universitaria, scrivendo per alcune riviste culturali: nel 1998, coordinavo due rubriche fisse, una sulle compositrici per la rivista La Scrittura, e una sulle scrittrici per la rivista Orizzonti.
I miei studi si sono concentrati nell’approfondire teorie e metodi di ricerca transdisciplinari, per comprendere e far emergere il ruolo sociale di artisti e artiste, come validi indicatori di condizioni di vita e problematiche che riguardano l’intera popolazione, iniziando nel 2001 a insegnare sociologia delle arti in Italia e all’estero — che ho tenuto a declinare al plurale, per comprendere tutte le creazioni artistiche — ne è piena espressione il libro Per una sociologia delle arti, Cleup ed. 2012.
Già nel mio primo libro monografico, La funzione sociale del musicista (Edup 2004), erano emersi vari focus: l’urgenza di inserire l’educazione musicale nelle scuole di ogni ordine e grado, l’aumento della precarizzazione dei tanti diplomati in Conservatorio, la scoperta della storia delle compositrici e il suo doveroso recupero.
Nel 2015 il fortunato incontro con Luca Aversano, musicologo presso il Dams di Roma Tre (oggi direttore del dipartimento), e direttore della Fondazione Teatro Palladium (fino al 2024), e Orietta Caianiello, docente presso il Conservatorio di Bari, ha reso possibile l’ideazione di una Giornata di Studio sulle musiciste e compositrici, oggi giunta alla X edizione, la creazione di una mostra fotografica e documentaria, con la cura di Toponomastica femminile, esposta parzialmente al Parlamento Europeo nel 2020, in occasione della premiazione ricevuta dall’Associazione, e che ogni anno è esposta integralmente nel mio dipartimento (32 pannelli, circa 300 compositrici e musiciste) infine la fondazione nel 2021 di una collana editoriale “Voci di Musiciste” con l’editora e musicologa Bianca Maria Antolini, ed.SEdM. Attualmente co-coordino con Orietta Caianiello e Flavia Gallo (direttrice del teatro di Ostia Lido) una rubrica fissa sulle musiciste, Hator e le altre, per la “Rivista Strumenti e Musica”, infine l’adesione alle attività dell’associazione di Patrizia Bonardi artistsociologist.
Non per caso da alcuni anni il Ministero dell’Università ha riconosciuto essenziale e preziosa, da parte di ogni studiosa/o, la diffusione delle idee e dei risultati delle proprie ricerche fuori dall’Accademia, chiamandola “Terza Missione”.
Tengo a sottolineare che il mio impegno per la storia delle musiciste non ha mai trascurato le origini vocazionali per la sociologia, ossia, il servizio sociale e l’analisi dei diversi contesti problematici della nostra società, anche attraverso le testimonianze di artiste/i: avevo iniziato a collaborare alle ricerche di Franco Ferrarotti sulla condizione dei nuovi poveri nel 1999, a ricerche sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza con Marina D’Amato dal 2024, sulla religiosità in Italia con Roberto Cipriani dal 2000, e diverse ricerche azione sull’immigrazione e la più recente attività, da me coordinata a Roma tra il 2021 e il 2023 per migliorare i servizi di accoglienza a straniere e stranieri e la loro più virtuosa inclusione, nell’ambito di un bando Fami, alla quale Toponomastica femminile ha collaborato con una mostra sulle migrazioni, con due bellissimi video poetici di Sara Balzerano.
Infine, anni fa, è anche emersa la necessità di superare il mio “mondo dato per scontato” in ambito prettamente storiografico ed epistemologico, riguardo alla presenza delle sociologhe fondatrici, vissute tra ‘700, ‘800 e ‘900.
Pensi che la società attuale (famiglia, scuola, panorama intellettuale) agevoli i/le giovani a trovare la loro strada oppure vedi una gioventù disorientata?
Le/i giovani sono disorientati quando non incontrano persone adulte capaci di orientarli e supportarli con fiducia e passione per la vita e il sapere.
Dico sempre alle e ai miei studenti che ognuna e ognuno di noi ha un talento, bisogna trovarlo!
Durante le mie lezioni non si chatta al cellulare/tablet, semmai si usano insieme per cercare altro nel web… Biografie, origini etimologiche delle parole che usiamo, ecc.
Agnes Heller spiega in modo esemplare che i saperi tecnici specifici insegnano a fare «un mestiere molto specifico, una cosa e solo quella», al contrario il sapere filosofico, le discipline umanistiche in generale, preparano la mente e l’anima a poter fare di tutto della e nella propria vita.
Danilo Dolci scriveva che «cresci solo se sei sognato». Oggi ragazze e ragazzi faticano molto a incontrare chi permetta loro di sognarsi e definire la propria identità, poggiando su una consapevolezza storica, su un metodo valido, utile individualmente, e solidale in senso comunitario.
Mi spiego meglio, quando per esempio presento teorie e ricerche empiriche, narro in primis le storie di vita di sociologhe e sociologi, il contesto storico, culturale nel quale vissero, le loro amicizie intellettuali e artistiche, le scoperte scientifiche a loro contemporanee… alla semplice domanda: «Perché la prima rivoluzione industriale ebbe i suoi germogli nell’Università di Glasgow?» spesso non ci si chiede quale clima relazionale, di scambio, fosse presente in quella università, non solo la struttura economica che lo sostenne, ma anche il prezioso incontro tra economiste/i, scienziate/i, filosofe/i che ebbero la possibilità di dialogare in quel luogo, condividere idee. Spesso questo manca oggi, dove l’eccesso di burocrazia soffoca tutte e tutti, come aveva previsto Max Weber ai primi del ‘900, definendola una gabbia di acciaio. Io stessa fatico a incontrare le mie e i miei colleghi, non abbiamo una mensa dove studenti e docenti possano conversare fuori dall’aula, e sappiamo che spesso, quando ci si rilassa, si affacciano nuove idee, durante la condivisione di un pranzo o una pausa si semina l’inizio di nuovi legami tra le persone.
Le mie e i miei studenti in aula leggono a voce alta brevi passi dai libri dei classici e contemporanei, a volte incontrano intellettuali, artiste/i miei ospiti a lezione, anche alcuni autori/autrici dei libri di testo a scelta del mio programma di esame, ascoltano musiche e canzoni che trattano temi sociali in modo esplicito, poesie…
Dunque rispondendo alla tua domanda, purtroppo constato, anche durante la mia esperienza in moltissime scuole superiori di Roma dove svolgo orientamento, che chi è giovane fa spesso una grande fatica a capire chi è e cosa potrebbe fare nel presente e nel futuro, tipico dell’adolescenza certamente, anche io ho chiarito le mie idee durante lo studio universitario, ma la mia impressione è che le/i giovani siano più che altro disincantati, sfiduciati, sospesi in un lungo “non so, o non sono capace di fare nulla”. E la responsabilità è della società, ovvero delle/degli adulti (famiglia, scuola, altre agenzie di socializzazione), di chi non nutre lo sviluppo della fiducia in sè stesse/i, con quasi nessun controllo/conoscenza dei contenuti fruiti nell’uso smodato dell’iperconnessione al web tramite cellulari e nel dark web, dove ci si anestetizza, ci si distrae dall’ansia del quotidiano, o ci si illude di agire nel mondo, di Esserci, creando video, post e immagini di sé stesse/i, fino all’acquisto online di droghe sintetiche. Oggi vediamo crescere sempre più l’alcolismo e dipendenze di diverse tipologie in giovane età, che vanno a colmare vuoti esistenziali e istituzionali.
L’apoteosi di questa situazione, che rischia di diventare drammatica se non riformulata nell’ambito del dialogo socratico, è la creazione di lauree in università private telematiche per diventare influencer!
Non sono contraria all’uso delle nuove tecnologie e dell’IA, se non diventano fine a sé stesse, vuote di contenuti o utilizzate come mezzi di plagio e di violenza. Mc Luhan lo aveva chiarito benissimo, non è il mezzo a creare il messaggio…
Quale tuo libro o impegno culturale/professionale/sociale ti ha dato finora più soddisfazione?
Difficile scegliere… direi che la maggior soddisfazione è vedere una scintilla nuova negli occhi di chi mi sente parlare, quando ricevo da studenti domande argomentate, sapere che ho contribuito a rendere più chiaro e determinato il percorso di vita di qualcuno; di fatto aprire nuove strade di conoscenza, che sia grazie a un libro o a una lezione, o conferenza…
Il lavoro di ricerca e di insegnamento è la Vocazione della mia vita, il Beruf weberiano, “La penombra toccata di allegria” di Marìa Zambrano.
Concentrandoci ora sul tuo ultimo testo, ce lo presenti raccontandoci come è nato e quali risvolti o tematiche ti preme far venire alla luce?
Come accennavo prima, a un certo punto, dopo anni in cui scrivevo di Mary Wollstonecraft come femminista ante litteram — il mio primo articolo su di lei è del 1999, quando non esistevano traduzioni italiane di Vendication of Women Rights (1792) — mi sono resa conto che poteva essere tranquillamente collocata al pari di J.J. Rousseau in qualità di pre-sociologa. Da questa mia nuova consapevolezza, per nulla scontata, ho iniziato a cercare la presenza delle sociologhe nell’800, perché nessun manuale di sociologia le citava, la prima a essere stata inserita è del ‘900, Hannah Arendt (F. Ferrarotti, Trattato di Sociologia, 1968, A. Izzo, Storia del pensiero sociologico 1996).
Il Manuale che ho ideato, con la partecipazione per alcuni capitoli firmati da Piero Dominici, Patrizia Bonardi, Katiuscia Carnà, Edmondo Grassi, Sara Rossetti, Chiara Carbone, Greta Calabresi, Michela Donatelli, Fabio Sisini, Perla Tellez, Elias Nemer, risponde a due particolari e non più rimandabili esigenze storico-sociali, scientifiche e formative, utilizzando un diverso linguaggio: la necessaria ricostruzione dei contesti storici, dei quadri sociali, delle relazioni culturali, delle scoperte scientifiche, delle innovazioni artistiche in cui hanno vissuto sociologhe e sociologi, fondatori e fondatrici della disciplina; la valorizzazione e la sistematizzazione nella storia della sociologia delle fondatrici dell’800 e delle sociologhe del ‘900 e contemporanee, narrando le loro storie di vita intrecciate ai grandi cambiamenti storico-politici, e alle piccole ma significative vicende del quotidiano, rivolgendo particolare cura e attenzione, ove le fonti dirette e indirette lo hanno reso possibile e affidabile, ricostruire le amicizie, gli scambi di idee, le suggestioni per aver letto una poesia o un romanzo, aver visto una mostra, ascoltato una musica, i momenti privati, pubblici di condivisione con un gruppo di persone, in cui a volte sorgono intuizioni, nuove idee e anche grandi temi che hanno ispirato nuove ricerche e scoperte.
Il Manuale, dunque, propone una profonda revisione della costruzione storica della sociologia, nel faticoso recupero del pensiero e dei testi che poco, se non mai, sono stati tradotti in italiano, di alcune pre-sociologhe e sociologhe dell’800 e del ‘900, che hanno proposto importanti teorie e metodologie di ricerca, rimaste comunque ai margini della memoria della nostra disciplina.

Pochi recenti esempi eccellono nel tentativo di reinserirle: Rita Bichi con la cura del Manuale di Sociologia Generale (2022), e la direzione di Maria Grazia Santagati della collana “Donne in Sociologia” (Vita e Pensiero ed.) dove si è avviata un’operazione culturale di grande innovazione traducendo le sociologhe dell’800 e del ‘900, nell’ambito del gruppo Sid – Sociologhe in Dialogo, e le traduzioni sulle sociologhe di Chicago a cura di Raffaele Rauty e Giuseppina Cersosimo per l’editore Kurumuny.
Come rileva Barbara Grunding, negli ultimi anni alcuni manuali di sociologia, soprattutto anglo-americani, hanno inserito qualche scienziata sociale (Ritzer 2000-2013; Godwin and Scimecca 2005; Ritzer e Stepinsky 2018) ma sono solo nominate, come fosse una sorta di political corretness o riparazione formale che non entra nei contenuti delle loro opere, le citate sono: Harriet Martineau, Jane Addams, Beatrice (Potter) Webb, Marianne (Schnigter) Weber, queste ultime solo usando i cognomi dei mariti. Si ipotizza una riparazione formale perché sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti sociologhe contemporanee come Mary Jo Deegan, Lynn McDonald, Patricia Madoo Lengermann, Gillian Niebrugge, fin dagli anni ’80 avevano pubblicato poderosi volumi di ricostruzione storica della sociologia al femminile, e ad oggi sembra non siano state prese sul serio e non ci sia stata ancora una vera riparazione che inducesse a un autentico interesse scientifico verso le loro opere, tranne alcune eccezioni sopracitate.
Harriet Martineau, filosofa, economista e sociologa, scriveva nel 1816 che la civiltà di un popolo si misura sulla qualità di vita di bambini, dei poveri e delle donne, e anche sul rispetto verso l’ambiente. Fu la traduttrice inglese del Corso di filosofia positiva di Auguste Comte, elaborò teorie e fece ricerca sul campo negli Stati Uniti ai primi dell’800, quando normalmente le donne non potevano viaggiare da sole. Lei, economista già conosciuta a Londra, partì dall’Inghilterra per poi vivere per tre anni negli Stati Uniti, visitando più di 300 famiglie di ogni strato sociale, dal Presidente Madison, alle prostitute e carcerati, con l’obiettivo di misurare empiricamente lo stato della nascente democrazia americana nella vita delle persone. Pubblica nel 1837 Society in America 2 voll., pubblicando subito dopo un saggio di metodologia sociale How to Observe Morals and Manners (1838). Si tratta di una ricerca empirica sistematica, la prima nella storia della sociologia, quando invece la manualistica indica la ricerca di Durkheim, Il Suicidio (1897), pubblicata molti anni dopo rispetto al lavoro di Martineau, anche perché nel 1837 questo sociologo non era ancora nato.
È stato un destino programmato socialmente e con precisione quello delle intellettuali, scienziate e artiste nell’essere state collocate in false categorie, stigmatizzate per comportamenti e idee disdicevoli per la propria epoca, considerate anomalie fuori dai canoni e dall’agency, sottostimate e marginalizzate dai loro posteri, perché i contemporanei le avevano molto più spesso riconosciute, pur con i limiti legislativi che impedivano un pieno accesso alle donne nelle istituzioni (Klein, 1946, Russ, 1983, Sesti, 2006). Si è trattato di una vera e propria violenza simbolica, che, se non superata, non aiuterà a prevenire la violenza contro le donne, che vediamo con sempre più preoccupazione presente anche da parte dei più giovani in Italia e nel mondo.
Per questo motivo ho deciso di tentare di riscrivere la storia della sociologia, perché le singole monografie purtroppo non sono sufficienti.
Ancora una volta, intrecciando la nostra attività associativa ai fondamentali apporti culturali e professionali di Milena Gammaitoni, la ringraziamo del tempo dedicatoci, nella certezza di averla ancora sulle nostre pagine come autrice e di poterla incontrare nei tanti eventi da lei proposti, sia in presenza sia online.
Qui il link dove sarà possibile scaricare l’indice e richiedere una copia omaggio e il sito web da dove scaricare articoli e informazioni.
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.
