Quando la campanella suona c’è un’altra scuola che prende vita fuori dalle classi e lontano dalle interrogazioni di matematica, storia e geografia. È la scuola di chi desidera per sé un sapere che non è fatto solo di formule algebriche e cronologie di re e regine. Questa scuola oltre la scuola è la scuola di cui oggi abbiamo più bisogno. Alcune e alcuni docenti lo hanno capito già da un po’, e con loro un numero via via crescente di dirigenti scolastici, che hanno iniziato a investire tempo e risorse per trovare finanziamenti e progetti adeguati al fine di integrare alle lezioni frontali dell’orario scolastico, una pratica viva e vivificante che è quella che anima i laboratori teatrali nelle scuole.
Il progetto Tessere una tela — Da Penelope a Maria Lai di Toponomastica femminile, a cura di Federica Delair e Simona Guerrini e vincitore del bando “A scuola di parità”, ha rappresentato per alcune e alcuni studenti dell’Istituto Comprensivo Ulpio Traiano di Dragona, un vero e proprio rito di passaggio.


Ogni laboratorio extra scolastico è infatti un luogo di trasformazione, alla fine del quale qualcosa cambia sempre in chi lo ha attraversato. Si stringono nuove amicizie, ci si confidano segreti, si ride e si piange insieme, perché il teatro è il luogo in cui si impara ad abitare il cerchio, a stare nella relazione e nella reciprocità dello sguardo. Con Tessere una tela — Da Penelope a Maria Laila comunità di adolescenti che si è costituita è riuscita in breve tempo, grazie all’utilizzo dello strumento teatrale, ad indagare un tema centrale in ambito letterario e culturale. Il progetto ha cercato infatti di mettere a fuoco ciò che ha portato la donna a farsi soggetto della creazione artistica, rifiutando il ruolo di musa per assumere finalmente quello di poeta. Penelope e Maria Lai rappresentano perciò due diversi volti del femminile. Entrambe tessono una tela, ma la tela che cuce Penelope la unisce a un uomo, mentre quella di Maria Lai la lega a tutti gli uomini e tutte le donne della sua città. Se Penelope appartiene a Ulisse, Maria Lai appartiene alla sua arte, che, nel caso di Legarsi alla montagna del 1981, è un’arte relazionale, in cui un’intera comunità ha lasciato che un filo attraversasse le sue strade. Come un lieve ricamo sopra a un fazzoletto, Maria Lai ha cucito insieme tutte le case della sua città, e la città alla sua montagna, in un’opera di land art di proporzioni monumentali.
Il tema del cucire è stato perciò centrale nel lavoro svolto con il gruppo di studenti dell’Istituto Ulpio Traiano.
A partire dalle parole preziose che Maria Lai ci ha lasciato, anche noi ci siamo domandate: «Cosa vuol dire cucire? Un ago entra ed esce da qualcosa lasciandosi dietro un filo segno del suo cammino che unisce luoghi e intenzioni. Più che saldare e incollare, che portano insieme estraneità, il filo unisce come si unisce guardando o parlando. Niente è fisicamente trasformato. Le cose unite restano integralmente quelle che erano. Solo attraversate da un filo».
Per noi quel filo è stato dunque il teatro, cioè il ritrovarsi per due ore a settimana in un’aula di scuola — a volte una classe altre volte l’aula magna — a condividere del tempo insieme, senza banchi e senza sedie, con nessun altro strumento all’infuori del corpo. Durante il laboratorio ci siamo soffermate a lungo sulle possibilità creative che abitano i corpi, tentando di risvegliare in tutte e tutti loro il desiderio spontaneo di creare, come quando un bambino o una bambina giocano al gioco senza tempo del “facciamo finta che”. Un aspetto centrale della ricerca ha riguardato l’impiego di alcune fotografie scattate durante la performance di Maria Lai del 1981, che abbiamo deciso di integrare nel nostro copione. Così, le immagini che ritraggono i cittadini e le cittadine di Ulassai alle prese con il lungo filo blu realizzato a partire da alcuni vecchi jeans, sono diventate per noi una costante fonte iconografica durante tutto il processo creativo. A partire dall’osservazione delle posture ritratte nelle foto, le ragazze e i ragazzi hanno dato vita ad una nuova performance.

Un lavoro teatrale che è stato quindi anche lo studio di un archivio, attraverso una rielaborazione creativa del dato scientifico, che ha spostato la ricerca su un piano emotivo ed esperienziale. In generale, l’obiettivo di ogni laboratorio dovrebbe essere quello di integrare l’offerta formativa delle ore scolastiche. Lasciare che le allieve e gli allievi si innamorino dei temi trattati durante l’attività teatrale, per tornare con più vivo interesse alle lezioni in classe. Tessere una tela — Da Penelope a Maria Lai ha attraversato perciò l’epica e la storia dell’arte, con lo scopo specifico di integrare la teoria alla pratica e la sfera pratica di nuovo alla teoria, offrendo al gruppo di studenti che hanno preso parte all’attività, una conoscenza più approfondita delle materie di studio.
Non solo, ogni laboratorio è di per sé un lavoro di prevenzione e di recupero di problematiche sociali e identitarie. A teatro si è uniti nella diversità, al di là del genere e dell’orientamento sessuale, poiché il teatro è il luogo in cui si impara ad abitare uno stesso luogo e uno stesso tempo di pace, che esiste solo se esiste l’altro e l’altra da me. Un laboratorio teatrale è perciò un esercizio di democrazia, poiché il teatro è prima di tutto una pratica assembleare che ha bisogno della presenza di un certo numero di corpi che decidono di trascorrere del tempo insieme. Così quando qualcuno o qualcuna si assenta, quell’assenza si ripercuote immediatamente all’interno di tutto il gruppo. Per questo il teatro è un’attività democratica, perché è un esempio diretto di partecipazione alla cosa pubblica, che in quel momento è rappresentato dalla compagnia teatrale. Oggi, che con un clic ci si deresponsabilizza da ogni impegno, con uno sbrigativo “oggi non ci sono”, è forse questo uno dei più grandi insegnamenti che il teatro può offrire alle nuove generazioni: prendersi cura — come si fa con una pianta — del lavoro a cui si è deciso di prendere parte, e che ha bisogno per non morire della presenza costante di tutte e tutti. Non ogni tanto, o solo quando mi va, ma fino a quando l’ultimo applauso del pubblico ne segnerà la fine.

Il lavoro ha visto due momenti di restituzione pubblica: il 12 maggio presso il Teatro del Lido di Ostia e il 26 maggio nell’aula magna della scuola.
L’appuntamento del 12 maggio, che si è svolto nell’ambito di Calendaria, insieme ad altre scuole del litorale, e alla presenza di alcune assessore del decimo Municipio, è stato un importante momento di condivisione. In questa occasione abbiamo presentato un montaggio ridotto dell’intero lavoro, unendo la parte iconografica all’esecuzione canora di Penelope’s song di Loreena McKennit, suscitando un vivo interesse da parte delle istituzioni presenti in sala.

L’apertura al pubblico ha rappresentato per tutto il gruppo, un momento emotivamente significativo. Per molte e molti di loro, infatti, era la prima volta sul palco di un teatro, e salire su di un palco, questo va ricordato, non è cosa da poco, significa fare dono di sé al pubblico. Significa avere coraggio. Non avere paura di mostrare le proprie paure. D’altronde, come scriveva Philippe Petit, nelle prime pagine del suo Trattato sul Funambolismo: «Chi non vuole intraprendere una lotta accanita di sforzi inutili, pericoli profondi, trappole, chi non è pronto a dare tutto per sentirsi vivere non ha bisogno di diventare funambolo. Soprattutto non lo potrebbe»
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Articolo di Federica Delair

Laureata in Lettere e specializzata in Artiterapie, è una regista teatrale attiva presso alcuni licei di Roma. Conduce laboratori teatrali bilingue in francese e italiano, incoraggiando una forma di scrittura biografica.
