Proseguiamo la pubblicazione dei racconti finalisti della XII edizione del Concorso di Toponomastica femminile, Sulle vie della parità, dal tema quest’anno Le donne e le arti, presentandoli nell’ordine alfabetico dei cognomi delle autrici. Riportiamo qui il lavoro di Federica Gatta (studente di Scienze politiche alla Sapienza di Roma), Trame di libertà, che prende le mosse dall’incipit ideato da Mariapia Veladiano (in corsivo nel testo).
La giuria ha espresso sul suo racconto il giudizio seguente: «Il dialogo viene efficacemente contestualizzato e i due personaggi acquistano non solo un nome, ma anche un profilo psicologico credibile. Non tutte le affermazioni contenute nell’incipit trovano uno sviluppo e la conclusione è un po’ facile, tuttavia l’espressione, sciolta e corretta, appare sempre adeguata e il racconto nel complesso garbato e gradevole».
Trame di libertà
di Federica Gatta
«Ma sei un uomo!», esclamò lei, incredula.
«E allora?» rispose lui, mantenendo la calma.
«E allora è assurdo. Saranno tutte donne. Un corso di tessitura fuori tempo, fuori luogo e fuori genere. Sei completamente fuori di testa».
«Ma tu lo sapevi che Dio tesseva? Ce l’ha detto la nostra maestra tessitrice alla prima lezione».
«Questa se l’è inventata».
«No, è scritto in un Salmo della Bibbia: Mi hai tessuto nel seno di mia madre. E un profeta dice che Dio ci tiene in braccio. Poi la Chiesa è stata fatta dagli uomini e così certe cose non le sappiamo. Almeno questo è quello che ci ha detto la maestra».
«Ridicolo».
«Ha detto anche che tessere la pace è meglio che costruirla. Chi tesse mette insieme, chi costruisce occupa la terra».
Francesca si fermò per un momento, fissando la parete bianca della cucina come se volesse scoprire qualcosa di nascosto oltre quel muro. Era sempre stata affascinata dall’insolita passione che Giorgio aveva sviluppato per la tessitura.
La loro cucina, un tempo ordinata e dedicata solo alla preparazione dei pasti, ora era invasa da gomitoli di lana colorata, aghi e un telaio che occupava la maggior parte del tavolo. Nonostante la sua iniziale incredulità, Francesca doveva ammettere che c’era qualcosa di magico nel modo in cui le mani robuste e abituate alla falegnameria di Giorgio riuscivano a intrecciare i fili con delicatezza e precisione.
«Ma cosa ti ha spinto davvero a fare tutto questo?» chiese infine, la voce carica di una curiosità sincera.
Giorgio smise di lavorare ai fili e la guardò con occhi profondi.
«Non ne sono sicuro, Francesca. Forse è stato il bisogno di fare qualcosa di diverso, di trovare un nuovo modo per esprimermi. Ho sempre lavorato con le mani, ma la tessitura è… qualcosa di speciale. È come se ogni filo avesse una sua voce, un suo ritmo. E imparando a tessere, ho scoperto un nuovo modo di danzare con la vita».
Francesca sorrise, sorpresa da quella riflessione. Giorgio non era mai stato un uomo di molte parole, e raramente si lasciava andare a espressioni così poetiche. Eppure, in quel momento, lo vedeva sotto una luce diversa: un uomo che cercava di rompere le barriere di genere che la società gli aveva imposto fin dalla nascita.
«E le altre persone al corso? Come hanno reagito?» domandò lei, avvicinandosi al tavolo e sfiorando con le dita uno dei gomitoli di lana.
Giorgio rise piano.
«All’inizio mi hanno guardato come se fossi un alieno. Ma poi hanno capito che non ero lì per prendere in giro nessuno. Ora mi trattano come una di loro. Abbiamo creato un piccolo gruppo di supporto. Ridiamo, parliamo, condividiamo storie. E, naturalmente, tessiamo insieme. È… liberatorio».
Francesca annuì lentamente, cercando di immaginare la scena: persone di età e background diversi, sedute attorno a un tavolo, le mani impegnate a tessere e, in mezzo a loro, Giorgio. Un’immagine inaspettata, ma che ora trovava stranamente confortante.
«Hai mai pensato a cosa significava per le donne, in passato, tessere?» chiese Francesca, senza staccare lo sguardo dai fili. «Era una delle poche arti a loro concesse. Ma forse era anche di più. Forse era una forma di resistenza, un modo per esprimere ciò che non potevano dire apertamente».
Giorgio rifletté un momento, poi annuì.
«Sì, ne abbiamo parlato durante una delle lezioni. La maestra ci ha raccontato di come, in certe culture, le donne riportano storie segrete nei loro lavori. Messaggi nascosti nei motivi, storie d’amore, di lotta, di speranza. Era il loro modo di comunicare, di lasciare un segno. E penso che tessere sia ancora così, in molti modi. Una tela può essere molto più di un semplice pezzo di stoffa; può essere un simbolo, un messaggio, un manifesto».
Francesca si sedette di fronte a lui, incrociando le braccia sul tavolo.
«Sai, mi piacerebbe vedere cosa hai fatto finora. Magari potresti mostrarmi qualcosa, se ti va».
Giorgio esitò un attimo, poi si alzò e andò a prendere uno dei suoi lavori. Lo srotolò con cura sul tavolo, rivelando una serie di colori vivaci intrecciati in motivi complessi. C’era qualcosa di profondamente personale in quel pezzo di tessuto, qualcosa che andava oltre la semplice abilità tecnica.
«Questo è uno dei miei preferiti», disse, accarezzando la stoffa con affetto. «Ho cercato di rappresentare un’alba. L’idea era di catturare il momento in cui la notte cede il passo al giorno, quando il buio si dissolve e la luce inizia a prendere il sopravvento. È un momento di transizione, di speranza. E tessere mi ha permesso di esprimere questo sentimento in un modo che non avrei mai immaginato».
Francesca osservò attentamente il lavoro, colpita dalla profondità del significato che Giorgio era riuscito a trasmettere. Per la prima volta, capì che quello che lui stava facendo non era solo un passatempo eccentrico, ma un vero e proprio atto di creazione artistica, un modo per esplorare sé stesso e il mondo attraverso un mezzo che, tradizionalmente, era riservato alle donne.
«È bellissimo» disse infine, con una sincerità che sorprese anche lei. «Davvero, Giorgio, c’è qualcosa di… potente in quello che hai fatto. Mi fa pensare a come l’arte possa superare le barriere di genere, di tempo, di cultura. Come possa essere un mezzo per esprimere ciò che le parole non riescono a dire».
Giorgio sorrise, visibilmente commosso dalle parole di Francesca.
«Sai, penso che tu abbia ragione. Forse è proprio questo il motivo per cui mi sono avvicinato alla tessitura. Ho trovato un modo per dire cose che non sapevo nemmeno di voler dire. E in questo, sento di essermi avvicinato a quelle donne di un tempo, che con le loro mani intrecciavano storie e sogni in una tela».
Francesca gli prese la mano, stringendola dolcemente.
«Forse, un giorno, potremmo tessere qualcosa insieme. Potrebbe essere un bel modo per condividere questa tua nuova passione».
Giorgio annuì, gli occhi che brillavano di una nuova luce.
«Mi piacerebbe molto. Potremmo iniziare con qualcosa di semplice, magari una sciarpa o una coperta. E mentre tesseremo, potremmo raccontarci storie, proprio come facevano quelle donne tanto tempo fa».
Così, quella sera, seduti al tavolo della loro cucina, iniziarono a progettare la loro prima opera tessuta insieme. I fili di lana, scelti con cura, giacevano sparsi sul tavolo, pronti a prendere forma sotto le loro mani. E mentre pianificavano, parlavano delle donne che avevano aperto la strada con la loro arte, di come la tessitura fosse stata un mezzo per loro di affermare la propria identità, la propria forza, il proprio coraggio.
In quel momento, Francesca si rese conto di quanto fosse importante continuare quella tradizione, di come ogni filo intrecciato rappresentasse non solo un atto di creazione, ma anche un atto di resistenza contro le limitazioni imposte dalla società. Tessere significava ricordare, celebrare e, in qualche modo, anche sfidare.
Giorgio, da parte sua, capì quanto fosse stato limitato dal concetto di mascolinità che gli era stato inculcato fin da bambino. Tessere gli aveva permesso di rompere con quelle barriere, di esplorare un lato di sé che aveva sempre tenuto nascosto. In quel semplice atto di tessere, aveva trovato una nuova forma di libertà, una nuova voce.
E così, mentre il telaio iniziava a muoversi sotto le loro mani, un nuovo capitolo si apriva per loro. Un capitolo in cui l’arte non conosce più confini di genere, in cui l’espressione di sé è libera e illimitata. E in quella libertà, scoprirono una nuova intimità, un nuovo modo di essere insieme, uniti da fili invisibili che, come quelli che tessevano, li avrebbero legati per sempre.
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Articolo di Loretta Junck

Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile, curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).
