Per indagare l’evoluzione del rapporto tra percezione del femminile e inclusività in ambito pubblicitario, non si può non parlare di Oliviero Toscani. Pionieristica e suscitatrice di dibattiti, la radicale deviazione dal topos estetico, etico, razziale e di genere raggiunta con le campagne di Toscani, ha rappresentato un punto di snodo fondamentale.
Scrive Luca Beatrice: «Con Oliviero Toscani è cambiata non solo la fotografia, ma anche il rapporto tra un prodotto di facile fruizione e l’immagine molto spesso dalla natura traumatica: la maglietta insanguinata di un soldato morto in guerra, il barcone dei migranti, le ultime ore di un malato di Aids, i primi istanti di vita di un bambino. E poi le campagne di sensibilizzazione per il sesso sicuro, contro l’anoressia, con la scelta davvero estrema di una ragazza nuda dal corpo scheletrico che poi morì di quello stesso male e Toscani confessò a posteriori che mai avrebbe voluto fotografarla. Alcuni dei suoi scatti più famosi hanno mandato messaggi chiari contro il razzismo e le discriminazioni, cominciando dai bambini che non hanno pregiudizi né preconcetti. È il trionfo del colore sullo sfondo bianco e l’unico rimando al prodotto che resta nell’inquadratura è il rettangolino verde in basso a destra, presenza minima, United Colors of Benetton. Eppure, tutti sapevamo che quella era la sua pubblicità e la foto di Toscani.
Il suo stile ha innescato il cortocircuito di senso tra immagine e messaggio fin dalla storica pubblicità «Jesus. Non avrai altro jeans all’infuori di me» e «Chi mi ama mi segua» che fece storcere il naso alle/ai benpensanti, intascando l’apprezzamento di Pier Paolo Pasolini sul «Corriere della Sera», perché univa l’erotismo allusivo dello short strizzato sul sedere e sul basso ventre della modella a una frase che manipolava un comandamento e un’altra di origine evangelica. Provocazione intelligente o blasfemia? Toscani lascia a noi il giudizio» (Luca Beatrice, Le vite. Un racconto provinciale dell’arte italiana, pp. 320, Torino, Marsilio editore, 2023).



Dalla fine degli anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta, Toscani propone le campagne più provocatorie e famose. Di questo periodo sono le immagini di:
– un bacio tra un prete e una suora (1991)
– un malato di Aids sul letto di morte (1992)
– la foto del sangue di un migrante albanese (1992)
– tre cuori umani con la scritta White, Black, Yellow (1991)
– un condannato a morte negli Usa (1995)
– foto segnaletiche di detenuti (1999)

Nel 2000 arriva la fine della collaborazione con Benetton dopo le polemiche suscitate dalla campagna Looking Death in the Face sui detenuti nel braccio della morte, ma il suo militarismo sociale fotografico prosegue con altri brand.
La strategia adottata da Toscani è di rottura radicale con gli archetipi del passato, sia in senso ideologico, che — per diretta conseguenza — in senso iconico e linguistico. La sua rivoluzione semiotica include anche le figure infantili, che non sono mai state risparmiate dall’adeguamento al topos. Anzi, sono state i primissimi bersagli della genderizzazione. Basta fare un giro nel reparto giochi di qualunque centro commerciale: a bambini e bambine vengono tutt’ora proposti mini ruoli sociali ammantati, rispettivamente, di azzurro e di rosa. Porterò brevi esempi, perché questo argomento merita un articolo tutto suo. Le figure scelte sono coeve del picco di campagne di Toscani e sono inserite a fine comparativo.



Giocattoli separati per sesso. Bambini con giochi di motori, di guerra, di sport. Bambine spinte a giocare alle sciantose o alle mamme casalinghe, senza esperire mai un’autonoma via di mezzo. «Mio marito mi ha regalato il nuovo aspirapolvere folletto, vedessi come pulisce!» dice una bambina all’altra, al telefono. Neanche nella finzione se l’era comprato da sola. Belle bambine, brave, buone, vestite bene che poi giocano a cullare e pulire. Un prototipo in miniatura di ciò che il telaio archetipico avrebbe tessuto per loro tangibilmente da appena dopo la pubertà. Un messaggio sociale fatto passare zitto zitto dalla porta sul retro.
Una cosa che invece salta subito all’occhio nelle campagne di Toscani – che farà da apripista per il futuro — è che nelle sue foto non si vendono più solo i prodotti, ma idee, ideali, valori. E i brand stessi se ne fanno portavoce, secondo un meccanismo di “valorializzazione” (values-based marketing o pubblicità valoriale, detta anche branded content), ossia il processo di attribuzione e vendita di valori simbolici attraverso i (e insieme ai) prodotti.
Da allora, su esempi come questo, molte aziende si sono impegnate in campagne pubblicitarie attive per la diversità come risorsa. In queste, il ruolo delle donne e di tutte le identità cerca finalmente narrazioni eque. Le campagne pubblicitarie più inclusive incontrano ancora resistenze e contraddizioni, ma si impongono sempre di più sulla percezione di consumatrici e consumatori e potrebbero, sul lungo termine, influenzare norme culturali e atteggiamenti.
Alcuni esempi di marchi commerciali odierni che sono stati riconosciuti per il loro impegno nella valorizzazione delle donne, rappresentando diverse etnie, abilità, e sfere della vita:
1. Dove (Unilever)
Dove è nota per le sue campagne sulla bellezza reale, promuovendo una visione più inclusiva della bellezza femminile. Le sue testimonial hanno diverse età, etnie e forme fisiche. Lo slogan: we see the beauty all around us. Anche la controparte italiana di Dove ha promosso campagne sulla bellezza reale e sull’inclusività, cercando di rappresentare donne di varie età, etnie e corporature. Ne è un esempio recente il programma Body Confident Sport, legato all’hashtag #KeepHerConfident per formare i e le coach sportivi/e a incoraggiare le adolescenti e non abbandonare lo sport perché a disagio coi propri corpi.



2. Aerie (American Eagle Outfitters)
Aerie ha ottenuto elogi per la sua campagna AerieREAL che celebra la diversità del corpo femminile e si impegna a non ritoccare le immagini del corpo.

3. Procter & Gamble
P&G ha realizzato diverse campagne mirate a sfidare gli stereotipi di genere e promuovere un’immagine più realistica delle donne nelle loro pubblicità. Tra cui la campagna Like a Girl di Always che è stata apprezzata soprattutto per sfidare stereotipi di genere e promuovere l’empowerment femminile.

5. Nike
Nike ha prodotto campagne che vanno oltre l’immagine tradizionale dell’atleta femminile, abbracciando la diversità di storie e sfide, specialmente con la campagna Just do it nella quale sono state ingaggiate anche atlete con disabilità, come Bebe Vio, nota campionessa di scherma paralimpica.

6. Gap
Gap ha presentato diverse campagne che riflettono la diversità delle donne di tutte le età e background, importante in una società nella quale alle donne sembra non sia concesso di invecchiare.
7. Yamamay
L’azienda di lingerie italiana Yamamay, che fino a una decina d’anni fa ingaggiava solo modelle perfettamente confacenti agli standard estetici, negli ultimi anni ha realizzato campagne promuovendo la bellezza e la femminilità in molte forme e taglie diverse, anche se pian piano sembra tornare a immagini di corpi conformi al canone di bellezza femminile occidentale, a ben vedere i manichini nelle sue vetrine.
8. Intimissimi (Calzedonia Group)
Intimissimi sulla falsa riga del brand precedente, ha realizzato campagne incentrate sulla bellezza e l’empowerment femminile, anche attraverso la rappresentazione di donne di diverse etnie, pur mantenendo sempre lo standard di fisici femminili giovani, atletici e potenzialmente desiderabili, anche per vendere prodotti destinati agli uomini. Vedasi di seguito la campagna 2021 sui boxer da uomo, nella quale un cliente entra in un negozio Intimissimi Uomo e viene catapultato in un laboratorio segreto, dove testerà il prodotto con l’ambassador Diletta Leotta, che interpreta una scienziata.

9. Ovs
Stesso discorso vale per Ovs, importante brand italiano di abbigliamento che ha promosso campagne abbracciando la diversità delle donne in termini di età, forma del corpo e background, ma con poco coraggio di mantenere il tiro.
10. Kiko Milano
Kiko Milano ha promosso la diversità attraverso la scelta di modelli di diverse etnie e background. Uno dei marchi più resistenti sulla rappresentazione cromo-etnica diversificata. Per quanto la maggior parte delle modelle sia molto giovane, le rughe di modelle più adulte (anche se non frequenti) non sembrano modificate con foto ritocco.
11. Victoria’s Secret
Risale a una manciata di anni fa la prima sfilata durante la quale vennero sostituiti i famosi “angeli” di Victoria’s Secret con donne trans, di varie etnie, forme fisiche, abilità, ma a seguito di quel primo passo, il brand ha cambiato il suo messaggio in modo globale, adottando anche manichini espositivi che possano assomigliare a fisici comuni.
Interessante a questo proposito lo scossone dato al brand dal testo della canzone di Jax, dal titolo, appunto Victoria’s Secret. Tra le canzoni andate virali su TikTok più o meno un anno fa. La cantautrice statunitense è conosciuta in patria per essere arrivata terza nella quattordicesima stagione di American Idol. Il testo ci parla dei suoi problemi alimentari e muove una fortissima critica a chi lucra sulle insicurezze femminili, giacché tutte noi eravamo convinte che la Victoria proprietaria dell’impresa fosse, magari, la filiforme ex Spice Girl e imprenditrice Victoria Beckam, invece no: il marchio appartiene a un uomo, il quale rievoca — mediante il nome scelto per il marchio — i supposti “segreti di bellezza” della Regina Vittoria. Il testo della hit infatti ci mette in guardia e ci dice senza mezzi termini:
«God, I wish somebody would’ve told me when I was younger
That all bodies aren’t the same
Photoshop, itty-bitty models on magazine covers
Told me I was overweight
I stopped eating, what a bummer
Can’t have carbs and a hot girl summer
If I could go back and tell myself when I was younger
I’d say, “Psst”
I know Victoria’s Secret
And girl, you wouldn’t believe
She’s an old man who lives in Ohio
Making money off of girls like me
Cashing in on body issues
Selling skin and bones with big boobs
I know Victoria’s Secret
She was made up by a dude (dude)
Victoria was made up by a dude (dude)
Victoria was made up by a dude»
12. Desigual
Desigual si fa manifesto di disuguaglianza come valore simbolico già dal nome del brand che — attraverso l’iconico volto della top model Winnie Harlow, per prima — ha adottato un’indovinata corrispondenza tra il patchwork tipico dei suoi capi e accessori e le diverse tipologie di pelle considerata “imperfetta” delle sue modelle con vitiligine. Ritroviamo la logica del branded content che condivide i valori aziendali con il portato pubblicitario, anche se, in questo caso, la forma fisica e l’età rappresentano ancora fattori di discrimine.


13. Nuvenia (Bodyform)
Il noto marchio inglese di prodotti per il ciclo mestruale femminile è tra i più tenaci e autentici nell’impegno a favore dell’inclusività. Parla apertamente di mestruazioni e tutto ciò che a esse si collega e include donne di ogni tipo, spesso dall’agenzia Imperfetta Models, un’agenzia di modelle che promuove la diversità come valore. Altro importante riconoscimento che gli va dato è di aver inserito campagne pubblicitarie volte a normalizzare le mestruazioni e nelle quali, perciò, il sangue viene rappresentato come rosso, esattamente come nella realtà e non più adoperando un non identificato liquido azzurrino per proteggere la fobia maschile del sangue mestruale. Lancia così, parallelamente al primo spot del 2017, anche l’hashtag social #BloodNormal. Inoltre, il brand lancia anche #AboutBloodyTime, progetto nato dalla cooperazione del brand con Self Esteem Team, un’organizzazione che dal 2013 si occupa di divulgazione nelle scuole e nelle università inglesi riguardo salute mentale, ansia scolastica e propriocezione corporea.

14. Gucci
Il noto marchio di alta moda ha iniziato a inserire le imperfezioni fisiche come segni distintivi dei suoi volti. Esempio fu l’assunzione in organico della modella armena Armine Harutyunyan, vittima di bodyshaming perché ritenuta troppo brutta e che, per questo, nel 2020 fu al centro di infuocati dibattiti al grido di “se ci va quella posso andarci anche io”, che sarebbe — a onor del vero — un ottimo messaggio, ma qui ci occorre a dimostrazione che anche il cambiamento in positivo richiede tempo e costanza.


15. Lego
L’azienda famosa per i suoi mattoncini cerca di salvare le bambine dalla trappola precoce del ruolo domestico-materno. Bambine di varie etnie e con sindrome di down vengono impiegate come testimonial. Tutte loro costruiscono coi mattoncini la propria professione senza che nulla sia loro inviso.


Questi sono solo alcuni di numerosi esempi possibili. In Italia non si è ancora raggiunto un optimum, giacché nella rappresentazione permane il messaggio che si può avere solo un “difetto” alla volta, rispetto agli standard estetici: se hai la vitiligine va bene, ma devi essere magra, abile e giovane; se sei disabile va bene se sei bella, magra e giovane; se non sei giovane meglio essere bianca, in forma e senza difformità evidenti e lo stesso vale per le modelle plus size.
Ad ogni modo, alcune aziende — come già esposto — hanno dimostrato che si può ben sperare e che, per loro, l’impegno civile corrisponde sempre di più anche alla risposta del consumatore o della consumatrice, risultando anche un investimento vantaggioso che risponda alle logiche aziendali primarie. Per quanto sia sempre importante analizzare le singole campagne e le iniziative di ciascun brand in chiave di sviluppo diacronico per capire appieno se l’impegno assunto sia reale o calcolato per imbonirsi il pubblico finale e — in conclusione — appiopparci il prodotto alle regole che vogliamo.
In copertina: No Anorexia, Oliviero Toscani, brand ‘No-l-ta’, 2007. Campagna di denuncia degli standard di bellezza irrealistici.
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Articolo di Roberta Russo Vizzino

Attrice, modella d’arte e scrittrice di origine calabro-campana. Dopo un’esperienza di vita in Lettonia, attualmente abita tra Roma e Firenze. Terminata la formazione attoriale ha intrapreso un percorso universitario in Discipline, arti e scienze dello spettacolo presso l’Università “La Sapienza” di Roma e pubblicato il suo primo libro Io sono onda di mare nel 2023.
