Appena finita la lettura di due romanzi italiani incentrati su figure di donne realmente vissute, sento il bisogno di condividere le mie impressioni. Il primo, La portalettere (Nord, 2023), vincitore del premio Bancarella 2023, che tanto successo ha portato all’autrice Francesca Giannone, narra in modo piano e scorrevole, con una buona dose di inventiva, la vicenda originale e avvincente della bisnonna, partendo dal ritrovamento di un semplice biglietto da visita: «Anna Allavena Portalettere. Lizzanello (Lecce)».
Evidentemente orgogliosa della professione che si è trovata a svolgere quasi per caso, lei maestra ligure finita in Puglia seguendo il marito, la giovane donna ha affrontato con energia e sicurezza la diffidenza e i pregiudizi verso una scelta controcorrente, per un mestiere ritenuto maschile, almeno in quel paesino conservatore e legato alle tradizioni. Anna saprà conquistarsi, pur con fatica, la simpatia delle paesane e dei paesani grazie alla sua dedizione e disponibilità, visto che all’epoca (siamo negli anni Trenta) l’analfabetismo in Salento era assai diffuso e lettere e cartoline non sempre potevano essere comprese agevolmente, quindi lei si prestava volentieri a entrare nelle modeste case e a leggerle. Pronta a insegnare nel tempo libero all’amica ritenuta pazza e a essere un esempio di emancipazione, farà qualcosa di incredibile: creare dal nulla una Casa per le Donne, aperta per imparare a leggere e scrivere ma anche per apprendere un mestiere, o per trovare rifugio in momenti difficili. Sarà la prima a indossare i pantaloni, sarà l’unica a non andare in chiesa, sarà la sola moglie e madre che ogni settimana preparava il pesto nel mortaio, sarà comunista nel profondo del suo animo, tanto da non votare alle elezioni comunali il marito, candidato per la Dc. Sempre disposta a ribellarsi alle ingiustizie, a incoraggiare altre donne sottomesse, a rifiutare compromessi, lettrice accanita di opere di qualità, non voleva dimenticare quella lingua francese che talvolta usava, rendendola ancor più “forestiera” agli occhi delle compaesane; era solita fare poi un’altra cosa assolutamente anomala: andava al bar e amava bere il caffè corretto con la grappa. Intorno a lei vediamo ruotare la comunità locale, l’amato marito Carlo, il figlio, il cognato con cui aveva tanti interessi in comune, e un amore tenuto sempre sopito da parte di entrambi, la cognata, la nipote inquieta, le colleghe dell’ufficio postale, la sarta che nascondeva un segreto. Tutto questo e molto altro in una articolata vicenda che si dipana per oltre 400 pagine fra fatti privati e storia nazionale fino al 1961, passando attraverso la conquista del voto femminile e il lento avanzare del progresso, con le prime automobili, l’arrivo del telefono, le innovazioni tecnologiche, l’industrializzazione, i commerci internazionali di vino pregiato.
L’altro libro, non propriamente opera di narrativa, piuttosto una biografia, candidato al premio Strega 2025, si intitola La ribelle. Vita straordinaria di Nada Parri (Laterza, 2025) ed è stato scritto con partecipazione e impegno encomiabili da Giorgio van Straten, intellettuale fiorentino dai molteplici talenti. È stato direttore dell’Istituto italiano di cultura a New York dal 2015 al 2019 e ha ricoperto numerosi importanti incarichi pubblici; è prolifico romanziere, traduttore, saggista, attualmente presidente della Fondazione Alinari per la Fotografia; dal 2000 è Grande Ufficiale al merito della Repubblica.
Il suo lavoro è veramente bellissimo e, pur facendosi leggere come un romanzo per vivacità di stile e di narrazione, contiene solo fatti documentati, anche se in talune parti lo scrittore ha dovuto integrare e immaginare pensieri, dialoghi, situazioni, senza disdegnare suoi interventi personali, ricordi, riflessioni, collegamenti fra passato e presente. Anche in questo caso la ricerca appassionata e appassionante è nata quasi casualmente, partendo da un nome, da alcuni dettagli, da incontri che hanno portato a lunghe ricerche in biblioteche e archivi, fra documenti pubblici e privati, trovati in cassetti e vecchi bauli, messi a disposizione dalle figlie di Nada; ha potuto pure attingere alla tardiva autobiografia La vita amara (Ibiskos,2005), un titolo profetico, come vedremo.

Sulle tracce di Nada, come un investigatore, si è mosso van Straten per sapere, per capire, per entrare nel cuore e nella mente della donna e soprattutto per comprendere le sue scelte rivoluzionarie, arricchendo il testo con una pianta delle località in cui si sono svolti i fatti e con varie immagini di edifici, carte, oggetti. Ribelle dunque, una toscana impulsiva, dal carattere di ferro, di cui seguiamo le varie fasi dell’esistenza, nel libro suddivise con dei sottotitoli illuminanti: La vita convenzionale, La vita straordinaria, La vita dopo, Epilogo.
Cosa si può intendere per “vita convenzionale”? I genitori, la nascita nel 1923, la giovinezza, il matrimonio con Bruno che subito parte volontario per la guerra, il rapporto contrastato con i suoceri di idee fasciste, l’arrivo della amata figlia Ambretta, il maturare senza tentennamenti della sua fede comunista, la voglia di sottrarsi alle convenzioni e agli obblighi imposti in famiglia, compreso il modesto lavoro di bottegaia che le va stretto e la fa sentire inadeguata, fuori posto. La guerra porta ovunque privazioni, miseria, rischi, timore di possibili bombardamenti, specie per chi vive vicino a un porto, come la famiglia Galigani che ha casa e negozio a Marina di Carrara. È sola, Nada, i suoi sono sfollati da Empoli, vorrebbe raggiungere dei parenti per mettere al sicuro la piccolina, ma i suoceri sono irremovibili, persone meschine e ristrette che mai le rivolgono un apprezzamento o una parola gentile: arriva a fare testamento, e ha solo 20 anni.
Dopo l’8 settembre, con la sua scia di sangue proprio nelle zone della Linea gotica, alle falde dell’Appennino si verificano gli eccidi più terribili operati dalle truppe nazi-fasciste; basta un nome: Sant’Anna di Stazzema, 560 innocenti vittime, il 12 agosto 1944. Ai primi del 1944 però nella banale quotidianità della giovanissima mamma interviene un fatto sconvolgente in grado di trasformare dalle radici la sua esistenza; si sta per passare alla “vita straordinaria”. Nada conosce ai giardinetti in paese un sottufficiale della Wehrmacht di quasi quarant’anni, Hermann, un uomo gentile, che detesta la guerra proprio come lei, che si proclama antifascista, che non si lascia coinvolgere dal clima militaresco e aggressivo dei commilitoni.
Qualcosa di insensato, di incredibile, di pericoloso sta per nascere fra loro: un amore esaltante e appassionato, dalle conseguenze devastanti per entrambi. «Non c’è vita/che almeno per un attimo/non sia stata immortale», ha scritto Wislawa Szymborska, parole che si adattano perfettamente a Nada che sta iniziando la sua seconda vita, per cui van Straten ha fatto un lavoro capillare di ricerca, basandosi su libri di storia, interviste, testimonianze, ricordi e cercando conferme nelle memorie assai imprecise e lacunose di Nada.
Da ora in poi seguiamo quasi giorno per giorno le scelte coraggiose dei due amanti, la clandestinità, gli spostamenti del disertore e della “ribelle”, l’arrivo alla 2a Julia, «la brigata “più bianca d’Italia”, come qualcuno l’ha definita», le azioni compiute, l’accoglienza alla 135a Garibaldi, i pericoli, le perdite dolorose, vittorie e sconfitte. Un bel giorno finalmente Nada avrà una divisa (maschile) con comodi pantaloni, comunque è ben accettata quasi ovunque per la sua indole, il suo spirito combattivo, il suo altruismo; anche Hermann tutto sommato si fa apprezzare dai partigiani, che lo fanno sentire uno di loro.
Il 9 maggio 1945 arrivano a Parma e si festeggia la liberazione. Grandi speranze, grande entusiasmo, gioia diffusa pensando a un radioso futuro. Nada e Hermann hanno un breve periodo di felicità, nella casa dei Venti; stanno rimandando la resa dei conti, si illudono che in Germania non ci sia una moglie con quattro figli, che un tedesco sia davvero “perdonato”, che sia semplice avere documenti, trovare un lavoro stabile e una sistemazione, che una famiglia così anomala possa sopravvivere nel 1946, specie dopo la nascita della figlia Elisabetta, a cui occorre dare un cognome. Il ritorno dalla guerra di Bruno complica ulteriormente le cose perché ai tempi, lo sappiamo bene, non esisteva il divorzio e un padre aveva delle pretese sulla figlia, Ambretta in questo caso. Dolori, rinunce, amarezza, fallimenti: Hermann le prova di tutte, va più volte in giro per l’Italia, fino a Bolzano, per cercare una occupazione; le belle parole rilasciate dai comandi partigiani servono a poco, il pregiudizio su di lui è sempre forte. Nada poi rischia di essere considerata una madre “snaturata”, una donna egoista, che ha abbandonato la figlia per uno straniero e per combattere. Il distacco avviene, era inevitabile, pur con l’idea di ricongiungersi, prima o poi.
Hermann continua a scrivere fino al 1956, a promettere di ritornare, a chiedere a Nada di raggiungerlo in Belgio, ma intanto rientra in Westfalia e si sposa, senza amore, una seconda volta. Qualche segnale ancora, poi il silenzio. Ma anche la donna ha dovuto dare una svolta alla propria vita: lavora, pensa alle figlie, si occupa di politica, trova un compagno comprensivo che le starà vicino per quarant’anni.
Nell’Epilogo veniamo a sapere le cose belle compiute da Nada nel lungo dopoguerra, la sua generosità verso il prossimo, il suo impegno sociale al Patronato Inca, l’incarico di segretaria dell’Istituto di assistenza per ragazzi subnormali, «come si diceva allora, con una buona dose di brutalità, a Cerbaiola. Perché comunque venissero definiti, lei quei ragazzi li amava, e loro l’adoravano», racconta la figlia Elisabetta. Il coronamento della sua attività politica a fianco del Pci fu nel 1975 quando divenne sindaca di Cerreto Guidi (Firenze), la prima in tutta l’area dell’Empolese-Valdelsa. Cinque anni esaltanti, ma faticosi, che le consumarono le energie; l’Italia stava cambiando, eppure lei contava ancora sulla fine del capitalismo, che sarebbe arrivata prima o poi. Quando il Pci si sciolse, scelse Rifondazione comunista. La sua lunga vita, così piena e unica, si concluse nel 2017.
Bellissimo libro dicevamo, da leggere e meditare; quante cose sa e può fare una donna, specie se ribelle! Anche Walter Veltroni ha deciso di ricordare, con il suo Iris, la libertà (Rizzoli, 2025), una partigiana nota per essere stata la compagna del mitico Silvio Corbari, finalmente restituita a sé stessa e alla sua individualità.

Iris Versari fu un esempio di sacrificio estremo, di altruismo, una giovane temeraria pronta a dare la vita per il bene collettivo. Facile pure il collegamento, dopo il grande successo alla Fiera del libro di Torino e gli appuntamenti nei teatri dell’autore, con la biografia che Roberto Saviano ha dedicato a un’altra donna coraggiosa, toscana anche lei e convinta che l’amore potesse fare miracoli, ma travolta dagli eventi: Rossella Casini, protagonista di L’amore mio non muore (Einaudi, 2025), vera e tragica vicenda di una universitaria fiorentina che scelse di salvare l’uomo sbagliato.

La vita di Nada assomiglia un po’ all’una, un po’ all’altra, ricordandoci però che ogni esistenza è irripetibile e immortale, forse per più di un attimo.


Francesca Giannone
La Portalettere
Nord, 2023
pp. 416
Giorgio van Straten
La ribelle. Vita straordinaria di Nada Parri
Laterza, 2025
pp. 248
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, pubblicista, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate a Pistoia e alla Valdinievole. Ha curato il volume Le Nobel per la letteratura (2025).
