Dove ci sta portando l’unione Europea?

Il 20 maggio scorso l’Unione europea ha approvato il 17esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia e il 10 giugno ha preparato il 18esimo. Questa volta però le critiche non sono arrivate soltanto dai cosiddetti “pacifinti” — pessimo termine politichese e “giornalistese mainstream”, di cui, sia detto per inciso, chi lo usa dovrebbe vergognarsi, perché dimostra un’ignoranza totale dell’articolo 11 della nostra Costituzione — ma dalle associazioni imprenditoriali e da gran parte dell’opinione pubblica europea. 
Come ricordano i Giga (Gruppo insegnanti di Geografia autorganizzati) nel loro saggio a cura del professor Andrea Vento, reperibile qui, il Fondo Monetario internazionale ha confermato che le precedenti sanzioni hanno prodotto «un forte rallentamento dell’economia dell’eurozona nel 2023 e nel 2024 (+0,4% e +0,9%9) e spinto in recessione (-0,3% e -0,2%) quella tedesca, mentre Mosca è cresciuta del +4,1% in entrambi gli anni», oltre alla contrazione della produzione industriale dell’Unione, in particolare di Germania e Italia, soprattutto nel settore automotive. Nel nostro Paese arrivata al ventiseiesimo mese consecutivo, da febbraio 2023 a marzo 2025, di riduzione calcolata su base tendenziale, rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente, con due picchi del -6,7% ad aprile 2023 e a dicembre 2024. 

Se le prime tranche di sanzioni avevano avuto un impatto negativo sulla Russia, Mosca è poi riuscita a reagire con contromisure di natura monetaria, commerciale ed economica e a intraprendere una fase espansiva grazie a un notevole incremento della spesa pubblica, soprattutto per la produzione di armamenti e spese militari in generale, «passate da una stima di 86,4 miliardi di dollari del 2022 a 149 miliardi del 2024». Che le sanzioni siano oggi un’arma spuntata, nonostante le affermazioni di Letta e Draghi in Italia, (che forse dovrebbero scusarsi con il popolo italiano per l’errore), lo dimostra il fatto che le sanzioni stesse sono aggirabili, come dimostrano molti articoli della rivista di geopolitica Limes
Secondo Confindustria e altre associazioni datoriali, la crisi industriale dell’Eurozona è da imputare all’aumento del costo dell’energia e del gas, dovuti alla rinuncia da parte dell’Unione alla fornitura di gas russo via conduttura, particolarmente conveniente, e alla sua sostituzione con quella molto più costosa prevalentemente statunitense, di Gnl. 

Secondo l’approfondimento dei Giga, arricchito come sempre di tabelle e dati e di riferimenti bibliografici, le sanzioni si sono rivelate un pesante boomerang pagato dai cittadini e dalle cittadine comunitarie in termini di aumento del costo del gas e della luce, di inflazione, di rialzo dei tassi di interesse, di riduzione dei salari reali e di crisi industriale. 
Dopo la svolta di Trump sulla guerra in Ucraina e la ripresa delle relazioni diplomatiche e commerciali degli Usa con la Russia, la cosiddetta «coalizione dei volonterosi» ha continuato nella sua politica della guerra a oltranza, dimostrando un arroccamento sulle proprie posizioni non particolarmente felice e l’incapacità di interpretazione della fase geopolitica attuale. 
L’attacco all’Iran di Israele e degli Usa, arginato per il momento dopo la ritorsione “simbolica” della Repubblica islamica, ha ulteriormente aggravato la situazione. Le restrizioni all’acquisto di idrocarburi dalla Russia a pochi giorni dell’esplosione della guerra non sono state una decisione felice. Se gli iraniani avessero reagito chiudendo lo stretto di Hormuz da cui transita circa il 30% del petrolio e il 20% del Gnl commercializzati a livello mondiale le ripercussioni sulle nostre economie sarebbero state drammatiche, come ricorda Andrea Vento. 

Il piano ReArme Europe da 800 miliardi di euro, deciso senza il coinvolgimento dell’unico organo eletto dai cittadini e dalle cittadine europee, è un’altra dimostrazione della inadeguatezza, secondo i Giga, della classe politica dell’Unione. Questo Piano si articola su 3 linee. 

La prima prevede che i singoli Stati ricorrano a finanziamenti per la Difesa, per un massimo di 650 miliardi di euro complessivi a livello comunitario per il periodo 2025-2028. Questi prestiti, in deroga al Patto di Stabilità, saranno scorporati dai vincoli di bilancio fino a un massimo di -1,5% di deficit annuo, ma andranno ad aumentare il debito pubblico degli Stati che li utilizzeranno. Ricordiamo che l’Italia ha già 3000 miliardi di debito pubblico, pari al 130% del Pil, mentre la Germania, il cui rapporto debito pubblico/Pil è al 63%, ha già iniziato sua sponte politiche di riarmo, dopo avere approvato il piano di 500 miliardi di investimenti di cui molti nell’industria bellica e un finanziamento straordinario pluriennale di 100 miliardi di euro per la Difesa. 

La seconda linea prevede lo stanziamento 150 miliardi di euro per prestiti del Fondo Safe (Security Action For Europe) per investimenti nella produzione di armamenti, probabilmente per riconvertire il declinante comparto automobilistico dell’Unione verso la produzione di armi. 

La terza linea contempla l’aumento dei finanziamenti della Banca europea degli investimenti (Bei) alle industrie belliche, fino ad oggi escluse per questioni etiche, e «la movimentazione di capitali privati, soprattutto risparmio delle famiglie e fondi pensione, tramite l’istituzione dell’Unione del risparmio e degli investimenti. Ciò al fine ultimo di attivare la stratosferica cifra di 10.000 miliardi di euro (oltre 4 volte il Pil dell’Italia) depositati in conti correnti bancari, trasformandoli in capitali di rischio a beneficio del riarmo e del comparto industrial-militare europeo». A ciò si è recentemente aggiunta la decisione al Vertice della Nato all’Aja del 24 e 25 giugno scorsi di aumentare al 5% del Pil le spese militari dei Paesi Ue entro il 2035, decisione a cui si è opposto, in splendida solitudine, il Premier socialista spagnolo Pedro Sanchez. Questa decisione, che peraltro si spera non potrà essere operativa senza il consenso dei Parlamenti nazionali, comporterebbe per il nostro Paese, secondo l’osservatorio sulle spese militari Milex, un aumento di spesa dai 45 miliardi di euro annui attuali a 145 nel 2035, con un aumento a regime di circa 100 miliardi. 
L’austerità fiscale rigidamente imposta come un dogma agli Stati membri per le spese sociali negli ultimi 30 anni si è magicamente inchinata al furore riarmista senza peraltro suscitare in chi ci governa alcuna riflessione sui danni all’economia e ai popoli dei Paesi europei prodotti dalle politiche sanzionatorie, né preoccupazioni per le conseguenze sui prezzi del petrolio che potrebbero derivare dalla chiusura dello Stretto di Hormuz. Un’Unione europea, con una Presidente di Commissione sottoposta a mozione di censura, ingessata sulle sue posizioni e totalmente irrilevante come soggetto geopolitico, come ha ricordato Alberto Negri sul Manifesto nel suo articolo, sottolineando che Trump non si è minimamente degnato di informare l’Unione del bombardamento sui siti nucleari dell’Iran. 

Nel frattempo si sono riuniti i Brics sotto la presidenza brasiliana, praticamente ignorati dai media mainstream e dalle riviste più autorevoli di geopolitica che si sono soffermate solo sull’assenza del leader russo, inseguito da un mandato di arresto della Corte penale internazionale e di Xi Jinping. Tra le decisioni prese spicca la richiesta di riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu, fatta da due delle potenze che godono del diritto di veto, Cina e Russia e la proposta di un seggio permanente per l’Africa, nonché una riforma delle quote dei diversi Stati nel Fondo Monetario internazionale. I Brics, che Putin chiama, con qualche ragione, “la maggioranza mondiale” sono molto diversi tra loro e stentano a raggiungere la piena convergenza dei loro obiettivi, soprattutto in tema di dedollarizzazione. 
Ma il cosiddetto Occidente, che non è più quello che siamo stati abituati a conoscere, si dimostra incapace di cogliere i segnali della transizione egemonica verso un vero multilateralismo nelle relazioni internazionali. 

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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