La levatrice 

L’interessante romanzo, ambientato nella Sardegna dell’inizio del secolo scorso durante lo svolgimento della Grande guerra, inizia con una scena immersa un’atmosfera pregna di sacralità, quella di un parto durante il quale ai gesti esperti della levatrice si accompagna la nenia della vecchia tzia Nonnora, custode delle tradizioni dell’Isola, che recita antiche formule magiche perché l’evento della nascita si accordi con gli influssi della natura e degli astri. 

Opera prima di Bibbiana Cau, da poco pubblicata dall’editrice Nord dopo aver concorso alla XXXV edizione del Premio Italo Calvino, La levatrice cattura per l’intensità della storia e la credibilità dei personaggi raccontando la vicenda della “levatrice empirica” Mallena, che vive in un piccolo centro del Sassarese. 

La protagonista è una donna del popolo, come tante altre persone del suo tempo è analfabeta perché non ha potuto studiare come avrebbe voluto (e come invece stanno facendo la figlia tredicenne Rosa, che sogna di diventare maestra, e il secondo figlio Daniele) ed è originaria di Orgosolo, da dove è fuggita insieme al suo amore Jubanne per non essere obbligata a un matrimonio combinato dal padre per risolvere una disamistade. A Norolani (il nome è inventato) fa da anni la llevadora, senza diploma naturalmente, ma tutte le donne del circondario si fidano di lei per la sua esperienza e perché si dedica alle partorienti e ai neonati con cura e attenzione, senza risparmiarsi. La sua opera è di grande rilevanza soprattutto per le tante famiglie povere, da cui Mallena può aspettarsi di ricevere, in cambio del suo lavoro, solo piccoli doni in natura. Ha fatto nascere anche i figli del sindaco, e tuttavia non riesce a vedersi riconoscere la funzione che svolge e a ottenere dall’amministrazione comunale di essere pagata. Soprattutto ora che suo marito è al fronte questo riconoscimento sarebbe importante, e diventa addirittura indispensabile quando Jubanne torna a casa con una gamba amputata: la sospirata pensione di guerra tarda ad arrivare e intanto occorre più denaro per pagare medici e medicine. Invece non solo la richiesta della llevadora viene respinta, ma il Consiglio comunale decide di assumere una levatrice diplomata, mentre a Mallena viene formalmente vietato di esercitare; tutte le donne però continuano a volere lei, e non la sennorina Angelica che sì, ha studiato all’Università, ma non ha esperienza, non ha figli e ha pure il torto di essere una “continentale”, quindi una mezza straniera in Sardegna. 

Il contesto della vicenda è un mondo nel quale convivono medicina ufficiale e medicina popolare, fiducia nella scienza e riti ancestrali: con intelligenza e sensibilità il testo coglie la complessità di questo momento di transizione e anche di conflitto tra due realtà profondamente diverse, quella di Mallena e di tzia Nonnora, legata alla pratica della cura («quando c’è bisogno di aiutare qualcheduno, tocca farlo anche senza pretendere mercede alcuna, specie da chi non può pagare» sostiene la protagonista») e quella della società moderna dove tutto (tranne il lavoro delle donne) ha un prezzo e in cui vengono meno le antiche regole di solidarietà della società rurale precapitalistica. Ma lo scontro, che avviene nel Consiglio comunale di Norolani, tra chi sostiene il diritto di Mallena e chi preferisce una levatrice diplomata all’università, passa anche fra uomini e donne, e tra legge e giustizia. 

La contrapposizione tra la legge (fatta dagli uomini) e la giustizia (reclamata dalle donne e da chi non ha nulla) è in effetti uno dei temi portanti del testo. «La Legge è sempre giusta ma solo per chi la fa e per voi che ve la scrivete a piacimento» si lamenta un’anziana con i carabinieri mandati a controllare Mallena; e sarà poi la stessa Mallena a sfogare rabbia e dolore con il marito, ormai in fin di vita a causa di una gangrena gassosa non diagnosticata in tempo dall’arrogante medico del paese, il dottor Onnis: “Quale Deus ci allevia dalle sofferenze? Quali miracoli della mejghina scritta nei libri ci salva? Quale governo pensa al bene di gente come noi? E quale zustizia difende gli onesti e i poveri senza pace?” (p. 369).  

E nonostante le condizioni avverse la protagonista non si rassegna, non si piega, e non ha peli sulla lingua né alcun reverenziale timore quando si tratta di sostenere il proprio diritto, ma anche di smascherare i notabili del piccolo paese, denunciandone le viltà, l’ipocrisia, i comportamenti scorretti. Quando il parroco, l’interessato preide Nieddu, cui Mallena e sua suocera si rivolgono per averne aiuto, invece di rispondere in qualche modo alle richieste delle sue parrocchiane accusa la llevadora di frequentare poco la chiesa, lei indignata gli rovescia addosso tutto il disprezzo che prova per la sua condotta venale e meschina. Qualche tempo dopo, piombata in Comune a protestare, in un accesso di rabbia arriva a rovesciare la scrivania addosso al debole sindaco che non è riuscito ad appoggiare la sua domanda. Non solo la protagonista, poi, ma tutte le figure femminili della storia sono contraddistinte da una grande vitalità e non si lasciano abbattere dal clima di ingiustizia e sconforto che grava su di loro, a cominciare dalla levatrice diplomata Angelica che, rifiutata dalle donne di Norolani, comunque non si arrende e porta avanti la sua lotta per emanciparsi attraverso l’affermazione professionale. E saranno tutte le donne della zona a sostenere Mallena di fronte al prefetto di Bosa e a ottenere insieme a lei una piccola, forse temporanea vittoria. Una menzione per la sua intensità merita poi il personaggio di tzia Nonnora, con “il suo volto di pietra antica”, custode di rituali millenari, la cui presenza enigmatica e severa accompagna la comunità nel mistero del ciclo della vita. Ma tutti i personaggi, anche quelli di secondo piano, emergono con i loro tratti caratteristici, mentre la presenza del dialetto rende i dialoghi credibili e vivaci. 

Particolare attenzione è rivolta all’ambientazione e alla cultura materiale della Sardegna rurale dell’inizio del Novecento: l’asino è il mezzo di trasporto più utilizzato, poche persone possono permettersi un cavallo, come il medico, o addirittura progettare di comprarsi l’automobile, come il farmacista. Nelle case della povera gente, dove la protagonista si reca ad assistere le partorienti, le condizioni di vita sono spesso elementari: la stanza da bagno non esiste, i pavimenti sono ancora in terra battuta e ci si scalda coi bracieri. La “Nota dell’autrice” ci conferma nell’impressione che il libro nasca «dall’esigenza di raccontare le storie di donne che, seppur figure importanti all’interno della loro comunità, la storia ufficiale ha dimenticato», ma anche da un serio lavoro di documentazione. 

E poi c’è il paesaggio sardo, con il suo fascino aspro, c’è il bosco, la macchia mediterranea con i suoi aromi e le piante medicinali che Mallena ha imparato a conoscere e a utilizzare, e c’è la bellezza di una terra che, pensa la protagonista, «avrebbe potuto essere il paradiso, se solo le fosse stata data la possibilità di viverci senza affanni». 

Il romanzo, segnalato dal Comitato di lettura del Premio Calvino “per l’avvincente storia mix di tocco sociale e coloriture d’appendice di una llevadora del primo Novecento in una Sardegna in bilico tra pratiche di cura tradizionali e moderne”, sta ottenendo il successo di vendite che si merita, per la trama ricca e interessante, l’ambientazione accuratissima e il buon livello della scrittura. 

Bibbiana Cau
La Levatrice
Nord, 2025
pp. 384

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Articolo di Loretta Junck

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Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile, curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).

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