Rivivere quindici anni di Realismo terminale attraverso lo sguardo di una donna? È possibile. E gli occhi di Emanuela Oldani — blu, identici a quelli di suo zio Guido Oldani, il fondatore — fanno da prospettiva a questa intervista, che intende dare la misura non solo di una poetica, di un movimento, di un’avanguardia, ma dello spirito di un’epoca. La nostra. In occasione, quindi, della ricorrenza (13 luglio 2010–13 luglio 2025) della nascita del Realismo terminale — una delle due poetiche che animano la lirica italiana della nostra epoca — ascoltiamo Emanuela Oldani, donna appartenente al Rt.
Emanuela, cosa significa, e cosa comporta, quali prospettive schiude e quali responsabilità pone, nella tua esperienza, l’essere parte del Realismo terminale?
La poetica del Realismo terminale nasce nel 2010, ma i prodromi sono riconducibili ad anni prima. Il Realismo terminale diventa movimento nel 2014. Questi sono gli spazi temporali in cui si incardinano i momenti fondativi, per me indimenticabili, in quanto ho vissuto il privilegio di respirarli in famiglia. Ricordo quando giovane studentessa passavo per un saluto da mia nonna, nel tragitto per rincasare, e trovavo accomodato mio zio tra libri e fogli. Capitava che gli raccontassi qualcosa sulle lezioni universitarie di letteratura italiana moderna e contemporanea, io gli citavo testo e critica di qualche autore e lui mi raccontava qualche gustosissimo aneddoto degli incontri avuti proprio con quell’autore che nominavo, e io mi stupivo sempre di quante persone conoscesse. E così i poeti contemporanei dalle pagine dell’antologia prendevano vita. Non posso dimenticare quanto chiara sia stata la presentazione di Franco Loi, per citarne uno.
E di recente abbiamo ritrovato tra le carte dello zio un componimento inedito del poeta dialettale con dedica scritta di suo pugno: «Franco all’amico Guido…». Lascio immaginare la forte emozione, nei giorni della ricorrenza dei tre anni dalla scomparsa di Loi. Gli impegni letterari di mio zio sfociavano anche in pubblicazioni di cui faceva dono a suo fratello, cioè a mio papà, e trovavano spazio nel posto d’onore della nostra libreria in sala. Prima inconsapevolmente, poi passando gli anni con convinzione, ci siamo trovati inzuppati nella poetica del Realismo terminale, fin da quando era in nuce. La prossimità a ciò che mio zio aveva fondato e stava portando avanti mi ha fatto maturare la passione di voler approfondire la tematica, e di dedicare uno studio sul linguaggio poetico, con una attività esperienziale di creazione di testi poetici con i bambini, avente come focus la similitudine rovesciata, studio poi confluito nella discussione della tesi di laurea in Lettere presso l’Università Cattolica. Il mio relatore è stato il professor Giuseppe Langella. Sono stati anni bellissimi. La mia collaborazione con mio zio prosegue, cerco di far sì che non venga disperso un patrimonio, di farne memoria e di dare un aiuto nei nuovi sviluppi.
In questi tempi, per esempio, si stanno consolidando relazioni tra la poesia del Rt e l’economia, e si continuano a gettare ponti poetici nelle quattro direzioni cardinali del mondo. Il Realismo terminale, innervato nel presente, porta a una visione globale del mondo e determina una capacità, o perlomeno aiuta in questo, di giudicare il mondo. Evidentemente ciò diventa anche una responsabilità, perché manifestare il proprio giudizio, avendo compreso come gira il fumo, o non manifestarlo, vuol dire appunto attribuirsi una responsabilità o, come si usa dire, voltare la faccia dell’altra parte e far finta di niente. Credo che il Realismo terminale sia una delle poche occasioni in cui il singolo cittadino o l’umanità abbiano una responsabilità, perché fornisce una possibilità di lettura grazie alla quale poi non si può far finta di non conoscere, anzi, si conosce qualcosa in più. È come sapere di che malattia si soffre, e quindi cercare di eliminarla, oppure sapere di quale potenziale si dispone e cercare di utilizzarlo.

Il Manifesto del Realismo terminale. Quale tra le asserzioni del Manifesto serbi nella memoria e qual è il tuo commento (o risposta) a essa?
Nel manifesto fondamentale pubblicato nel 2010, Il Realismo terminale, edito da Mursia, a pagina 29 c’è l’affermazione che definisce le città, le metropoli, come “pandemie abitative”, precedendo di dieci anni praticamente la vicenda della pandemia che poi è diventata un’esperienza comune. Al tempo in cui è stata scritta questa affermazione, nel 2010, le persone comuni, probabilmente in gran parte, neppure sapevano il significato della parola “pandemie”; è stata una previsione affascinante di quello in cui si sarebbe imbattuta poi l’umanità.
Un’altra asserzione è quella relativa alla nostra sorte: la nostra bilancia pende di qua o di là, nel momento in cui, verso la fine, c’è di mezzo la libertà dell’uomo: cioè noi ci artificializziamo e quindi diventiamo come la farfalla che prima di diventare farfalla è avvolta nel bozzolo. Il bozzolo si può schiudere, e l’insetto vola via e diventa una farfalla, oppure il bozzolo si cementifica e allora diventa una mummia e quella diventa una tomba egizia. Ci sono quindi le due possibilità, che dipendono da noi: quella di libererarci e librarci completamente farfalle oppure quella di rinchiuderci come tombe egizie.
Cosa hai provato la prima volta che hai letto le affermazioni del Manifesto?
Sembrava che i manifesti fossero riferibili ai tempi passati, al Futurismo, ad esempio, che è fondamentale, o all’Ermetismo o alle neoavanguardie e così via; sembrava in sostanza di tornare nel Novecento a parlare di “manifesto”, e invece il Realismo terminale è il manifesto del Terzo millennio, in concorrenza, azzarderei dire, con niente, perché non ci sono altri discorsi conclusivi, che si chiudano in sé, che chiudano il cerchio. Aprire il manifesto del Rt è stato lo stupore di trovarsi di fronte a un pensiero nuovo, al tempo in cui sembravano non esserci più pensieri. Ricordo che nel momento della stesura, a mano su supporto cartaceo, mio zio continuava a rileggere il manifesto, aggiungendo dettagli, precisazioni, con la consapevolezza che qualcosa sarebbe cambiato da quel momento.
Guido Oldani, a differenza di altri poeti e poetesse viventi, in che modo apre una via per la poesia italiana del nuovo secolo — e del nuovo millennio?
Probabilmente il cavallo di Troia che viene reso disponibile dal pensiero di Guido Oldani, attraverso il Realismo terminale, è il seguente: con la chiusura, la liquidazione del secondo millennio e con l’affacciarsi del terzo viene ad appalesarsi in maniera eclatante il fatto che la natura, l’umanità, l’essere umano singolo vanno progressivamente artificializzandosi. Osserviamo che il Pianeta diventa artificiale, il singolo vicino di casa diventa artificiale, noi stessi ci stiamo artificializzando; ora, vivere una vita espressiva e una vita emotiva e di pensiero in questo ambito fa sicuramente la differenza rispetto ai secoli andati. e anche, consapevolmente, rispetto alla modalità poetica degli altri poeti. Questa è una distinzione di fondo che traccia una strada, anche se non inconciliabile, sicuramente molto marcata, molto delimitata, molto diversa e molto autonoma rispetto alle altre scritture legittimamente presenti.

Quale il tuo personale apporto al Realismo terminale, e su quali delle asserzioni in esso pubblicate trovi suolo per la tua collaborazione?
La mia funzione non è una funzione poetica, pur collaborando quotidianamente con mio zio, insieme a Silvana Bianchi, fedele presenza pluridecennale. Direi che la nostra è piuttosto anche una funzione di gestione della comunicazione del Realismo terminale, della corrispondenza di mio zio, e personalmente me ne avvalgo, diventa un’opportunità comunicativa. Dal tipo di comunicazione si riconosce il messaggio. Sullo sfondo c’è sicuramente il profeta dei media McLuhan con la felice formula “il mezzo è il messaggio” e nel Realismo terminale c’è una coincidenza delle due cose. A parità di pensiero, quel pensiero diventa, con mezzi diversi, messaggi differenti: un messaggio conversativo, cartaceo o televisivo sono tre messaggi differenti pur essendo partiti da un unico pensiero, in quanto veicolati da tre differenti mezzi.
Siamo dei cultori della parola, registriamo la lingua viva attuale che riporta spontaneamente espressioni in cui la figura retorica della similitudine appare rovesciata, ovvero il paragone non avviene come in passato con la natura quanto piuttosto con gli oggetti, i manufatti, i prodotti artificiali. Ciò traspare anche nei titoli assegnati alle raccolte di testi poetici e di narrativa realista terminale, penso al Cielo di lardo o a L’occhio di vetro, per citarne un paio. Leggo molti testi poetici, senz’altro tutti i testi di mio zio, e i suoi numerosi inediti che mio zio continua a scrivere, riconoscibilissimi per la musicalità e il suo particolarissimo timbro. Leggo anche testi di autori realisti terminali, apprezzo molto quelli che profumano di freschezza di idee di chi “nasce poeta”. A volte invece c’è il rischio di un certo manierismo.
Il Realismo terminale si può ritenere un movimento emancipatore della cultura e dell’essere umano? In quali modi?
Il Realismo terminale esprime una linea di tendenza, la esprime in quanto l’ha individuata presente nelle società plurime e non soltanto in questo o in quel Continente, è una modalità generale di espressione e questo rende consapevole l’essere umano di sé stesso, e in quanto tale l’essere umano consapevole ha sicuramente una possibilità emancipatoria. Se stiamo diventando sempre più simili a un modello che, in qualche modo, è stato determinato o desiderato, e se siamo consapevoli di ciò, è chiaro che abbiamo un grado di libertà di emancipazione in più, e questa è un’opportunità che può essere generalizzata, è sicuramente il vantaggio di sapere chi siamo, di prenderne consapevolezza. Succede anche questo, che noi non sappiamo spesso più chi siamo, e saperlo significa invece tornare al centro del gioco.
Linfa vitale scorre nei testi poetici realisti terminali, soprattutto penso ai progetti legati a tematiche civili attualissime. In questo campo si sono distinti autori, molto attivi nella poesia civile e impegnati in prima persona nel dare testimonianza a quanto espresso nei testi. La nuova consapevolezza che l’umanità ha di sé stessa, e ce l’ha sicuramente attraverso il Realismo terminale, si va poi a irraggiare, a diramare in una serie di modi che sono poi gli specifici artistici, filosofici, letterari e musicali, per cui c’è chi dipinge che attraverso il Realismo terminale diventa quel tipo di pittore o pittrice, e così c’è chi danza che diventa ballerino o ballerina in quel modo, attraverso il Realismo terminale, e la/il musicista che attraverso questa modalità raggiunge la sua propria espressione, per non parlare ovviamente della letteratura da cui il discorso parte e dove trova il suo baricentro, e così via, vale un po’ per tutte le discipline, assolutamente per tutte.
In quali termini il Realismo terminale può contribuire alla questione femminile?
Se è vero che noi stiamo diventando sempre più artificiali, cioè sempre più simili agli oggetti, allora è chiaro che uno, il soggetto, vede sé stesso come oggetto ma vede anche gli altri, e quindi l’altra, se è la situazione del rapporto con la donna, come oggetto; ma anche viceversa, la donna vede sé stessa come oggetto e vede l’altro, cioè l’uomo, come possibile oggetto. L’interazione fra queste due nuove entità è sicuramente una situazione che potrei definire come da “vetrina degli oggetti”, rispetto alla “vetrina delle anime”. L’anima è più oggettuale, e quindi sicuramente viene fuori un rapporto che potrebbe essere anche idilliaco, neo-idilliaco, oppure un rapporto conflittuale, come pare che stia avvenendo di questo periodo in maniera abbastanza ingravescente.
Il Realismo terminale apporta un contributo alla questione femminile anche partecipando alle iniziative di movimenti poetici, come quelle promosse dal Wpm World Poetry Movement, o dal Pop, Poets of the Planet. Il discorso della questione femminile si inserisce in quello più ampio dove sono intessute tematiche culturali, civili, sociali, ecologiche, geopolitiche, belliche, sanitarie di cui il Rt fotografa la trama e l’ordito. L’augurio che esprimo è che in un mondo spezzettato la poesia possa essere la forza per ricucirlo e che i poeti e le poetesse ne siano artefici.
In copertina: poesia intagliata in cinese su corteccia di betulla; immagine identificativa del rapporto del Realismo terminale con la Cina, che si è intensificato.
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Articolo di Marco Maccari

Giornalista pubblicista, docente, mi occupo di metodologie di apprendimento, diritti dell’informazione, arte, poesia, letteratura. Ho creato e gestito con alcuni collaboratori il blog giornalistico sudmilanese RADAR, individuando nel metodo giornalistico il test delle nostre democrazie. Mi interesso di diritti sociali, economici, culturali. Collaboro con il movimento internazionale del realismo terminale.
