La ricerca toponomastica di Mapping Diversity, che ha preso in esame le strade di 32 grandi città europee situate in 19 Stati diversi, ha evidenziato che l’Europa ricorda di preferenza uomini bianchi appartenenti al proprio Paese, trascura le donne e gli stranieri del suo stesso continente e ignora quasi completamente i personaggi extraeuropei. Questa almeno è stata la tendenza fino a tempi molto recenti e Berlino non ha fatto eccezione: il 31% delle sue strade si riferisce a uomini e solo il 4,7 porta nomi di donne.
Eppure, la capitale tedesca intende prendere le distanze da questa tendenza generale e ne sta dando prova. Rispetto alle nostre città in cui le figure femminili religiose arrivano a toccare il 50% delle già sparute intitolazioni a donne, Berlino si presenta molto più laica: prevalgono le protagoniste della storia (26,71%), i nomi generici o legati alla proprietà dei suoli (16,15%) e i nomi di letterate (14,49%). Le figure mitologiche costituiscono l’11,80%, mentre le donne dello spettacolo raggiungono l’8,90%. Le scienziate sono il 5,18%, seguite dalle lavoratrici con il 4,35% e dalle artiste con il 3,52%. Le suore hanno una presenza del 2,90%, mentre le sante raggiungono il 2,69%. Le benefattrici rappresentano appena lo 0,83%, seguite dalle sportive con l’1,45% e dalle madonne con l’1,03%.
Secondo un recente sondaggio dell’Agenzia di Stampa Tedesca (marzo 2025), a cui hanno risposto tutti i distretti berlinesi tranne Spandau, la percentuale di strade con nomi femminili nei diversi quartieri varia tra il 2,3 e il 13%. I valori maschili sono a due cifre quasi ovunque e in 5 distretti oltre un terzo delle aree di circolazione è intitolato a uomini.

Come si evince dal grafico, la percentuale più alta di strade femminili la si trova nel distretto di Mitte, con valori vicini al 13% e, a seguire, in quello di Lichtenberg, con il 10%; le percentuali più basse sono a Pankov, Reinickendorf, Treptow-Köpenick e Steglitz-Zehlendorf, che non superano il 3%. Tuttavia, se si analizza il grafico ragionando sul gap di genere, emergono considerazioni del tutto diverse. Va tenuto presente, infatti, che non c’è discriminazione né misoginia se un comune, un municipio, o in questo caso un distretto intitola tutte le sue vie a date storiche, luoghi geografici e nomi comuni, perché ciò che determina la disparità è il rapporto tra presenze femminili e maschili. A questo valore, che indica chiaramente il gap di genere, diamo il nome di indice di femminilizzazione.
Nel quadro berlinese, nonostante Pankov abbia il minor numero di strade femminili (poco più del 2%), risulta essere tra i distretti che registrano il più alto indice di femminilizzazione, pari al 33%, perché ben poche strade sono intitolate a uomini (circa il 7%).
Rispetto all’indice di femminilizzazione, i distretti migliori sono nell’ordine Mette (40%), Pankov e Lichtenberg (33%), Marzahn-Hellersdorf (30%). Il gap è molto pronunciato invece nei distretti di Reinickendorf (7%), Steglitz-Zehlendorf e Tempelhof-Schöneberg (tra il 10 e l’11%).

Per avere un termine di paragone, va considerato che in Italia l’indice medio di femminilizzazione — dopo oltre dodici anni di incontri, flash mob, mostre, progetti, inviti e pressioni a tutti i nostri comuni da parte di Toponomastica femminile — si aggira oggi intorno al 7-8%.
A parte questa constatazione, che già di per sé porta a riflettere, il caso di Berlino è interessante sia perché la volontà di un riequilibrio di genere è partita alla fine degli anni Novanta, quindi con notevole anticipo rispetto a gran parte dei Paesi europei, sia perché in questi trent’anni sono state attivate sperimentazioni e meccanismi che suggeriscono buone pratiche e lasciano sperare in un cambiamento radicale.
Nel 1996, la città giardino di Rudow, a sud del distretto Neukölln ha visto sorgere un grande complesso residenziale con circa 1700 appartamenti. Il Consiglio distrettuale propose di intitolare alle donne tutte le strade, le piazze e i sentieri dell’area. Diversi oppositori sostennero che non sarebbe stato possibile trovare un numero sufficiente di figure femminili degne di essere nominate. Nonostante ciò, la proposta prevalse sulle proteste rendendo Rudow il primo quartiere “femminile” della Germania, con 19 aree di circolazione dedicate a donne provenienti da ambiti diversi — sindacaliste, politiche, archeologhe, scrittrici, religiose, vittime del nazismo — e in armoniosa convivenza (Ottilie Baader; Liselotte Berger, Gertrud Dorka, Hiltrud Dudek, Käte Frankenthal, Marianne Hapig, Elly Heuss-Knapp, Helene Jung, Elfriede Kuhr, Friederike Nadig, Helene Nathan, Elisabeth Selbert, Edith Stein, Dorothea Stutkowski, Orsoline, Mathilde Vaerting, Helene Weber, Helene Wessel e Jeanette Wolff).

Già da alcuni anni, la legge berlinese sulle intitolazioni stradali sollecita ad avere una maggiore attenzione verso i nomi femminili e il 17 giugno 2004 è stata emanata una specifica risoluzione sull’assegnazione di nomi femminili per la denominazione di nuove vie e piazze (Risoluzione BVV 1367/II).
La risposta è stata immediata e il distretto di Mitte si è adeguato prevedendo che le nuove strade fossero intitolate a donne fino a quando non si sarebbe raggiunta la parità di genere. Stessa regola è stata adottata da Friedrichshain-Kreuzberg, il cui consiglio distrettuale consapevole della distribuzione non equa dei nomi, nel 2005 ha deciso di assegnare a strade, vie, ponti e simili solo nomi di donne, fino al raggiungimento della parità. Anche nel distretto di Lichtenberg, si sta cercando di dare priorità ai nomi femminili per le nuove strade così come a Pankow, in cui nel 2010, è stato deciso di aumentarne la percentuale. Anche nei distretti di Tempelhof-Schöneberg e Spandau, in tempi più recenti, i consigli distrettuali hanno deciso di utilizzare solo nomi femminili per vie, sentieri, parchi e spazi verdi d’ogni tipo.
Diversi quartieri, inoltre, hanno l’intenzione di valutare e pianificare misure di ridenominazione, muovendosi su un terreno molto complesso. Cambiare il nome di una via significa creare un certo disagio a chi vi abita, soprattutto in termini di impegno burocratico e costi. Di norma, gli uffici distrettuali variano gratuitamente l’indirizzo sulla carta d’identità, ma ciò non avviene su carte e libretti di circolazione. La modifica inoltre va comunicata a banche, assicurazioni, fornitori eccetera. Tale decisione spetta comunque al distretto, e ognuno è regolato da norme proprie, ma nel complesso si tende a soppesare con attenzione i danni collaterali del cambiamento e a favorire le ridenominazioni in alcune situazioni particolari, quali la presenza di connotazioni razziste, antisemite, coloniali o antidemocratiche nei nomi esistenti.
E su questo le istituzioni locali concordano nel tenere il punto. La società tedesca, che ha rimosso senza esitazioni le tracce del nazismo dalle proprie strade, si mostra invece riluttante a farsi carico delle pesanti responsabilità coloniali in Africa e, nonostante l’attivismo di associazioni democratiche e degli enti locali, permangono ancora oggi sulle vie di Berlino intitolazioni a esploratori, mercanti, comandanti e politici tutt’altro che memorabili. La proposta del distretto di sostituire i loro nomi con quelli di figure provenienti dagli stessi Paesi colonizzati trova l’opposizione di una fascia considerevole della cittadinanza che ritiene la manovra disagevole e poco rilevante e raccoglie firme per ostacolarla.
Diverse sostituzioni sono già avvenute.
Wissmannstraße — un tempo dedicata a Hermann von Wissmann, le cui spedizioni militari schiacciarono la resistenza anticoloniale delle popolazioni costiere (Tanzania, Ruanda, Burundi) e del Congo — è oggi Lucy-Lameck-Straße, in onore della prima donna che ricoprì un incarico ministeriale nel governo della Tanzania.

Gröbenufer — che prendeva il nome dal maggiore Otto Friedrich von der Gröben, costruttore della forte di Gross-Friedrichsburg, base per il commercio e il trasporto organizzato di schiavi — è stato ribattezzato May-Ayim-Ufer, in memoria dell’autrice, educatrice e attivista del Movimento Nero in Germania.

Anna Mungunda, la prima donna del popolo herero a prendere parte al movimento indipendentista della Namibia, ha trovato spazio in un tratto della Petersallee, un tempo dedicata a Carl Peters, discusso fondatore della colonia “Africa Orientale Tedesca”.

Altre intitolazioni sono tutt’oggi in discussione. Una consultazione aperta invita ad analizzare 196 nomi che hanno combattuto e denunciato l’imperialismo tedesco e si sono battuti per i diritti umani delle genti colonizzate. Tra loro la cantante sudafricana Miriam Makeba e l’attivista keniota Wangari Maathai.
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Articolo di Francesca Faretra

Laureanda in Lingue moderne per la comunicazione internazionale, presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Ha conseguito la laurea triennale in Lingue e mediazione linguistico-culturale, sostenendo una tesi sulle strategie e problematiche di traduzione del dialetto napoletano in lingua tedesca. Appassionata di letteratura classica, arte e affascinata dal mondo delle lingue e dalla diversità culturale.
