Nell’era della “post verità” se si cercano notizie e informazioni su Francesca Albanese attraverso Google, compare per primo un sito israeliano che contiene pesanti attacchi al comportamento e alle opinioni della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati dal 1967. Come è noto “post-verità” è un neologismo coniato durante il primo mandato presidenziale di Trump e significa credere non ai fatti, ma alle menzogne propagate ad arte, con importanti implicazioni per il diritto di informazione che è alla base della democrazia e per il dibattito pubblico.
La macchina del fango su Francesca Albanese, nominata nel 2022 Relatrice speciale dell’Onu sulla situazione dei diritti umani per i territori palestinesi occupati, prima donna a ricoprire tale incarico, si era già messa in moto tempo fa in occasione del suo Rapporto Genocidio come cancellazione coloniale dell’ottobre 2024, ma si è pienamente realizzata dopo la pubblicazione di un atto dovuto rientrante nelle competenze della giurista irpina con più di 20 anni di esperienza nel campo del diritto internazionale: il Rapporto Dall’economia di occupazione all’economia di genocidio datato 30 giugno 2025 e reperibile qui.
Tale rapporto è stato presentato da Albanese in occasione della cinquantanovesima sessione del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite, l’organismo da cui si è unilateralmente dissociata l’Amministrazione Trump.
Secondo la sintesi del testo riportata dall’autorevole “Centro di Ateneo padovano per i diritti umani Antonio Papisca” il documento di Albanese definisce l’evoluzione dell’occupazione israeliana in Palestina come “progetto coloniale”, divenuto oggi “economia di genocidio” grazie a un ampio apparato economico-industriale che ha tratto profitto «dall’economia israeliana dell’occupazione illegale, dell’apartheid e ora del genocidio», nel silenzio delle e dei leader politici e dei governi. Il Rapporto riferisce in modo documentato che imprese israeliane e multinazionali tra cui Elbit Systems, Lockheed Martin, Google, Microsoft e Amazon «hanno fornito strumenti, tecnologie e supporto logistico alimentando il massiccio utilizzo della forza contro la popolazione civile palestinese. Queste collaborazioni includono forniture di armamenti, sistemi di sorveglianza biometrica, analisi predittive tramite intelligenza artificiale e servizi cloud critici per le operazioni militari».
Albanese ha richiamato la responsabilità penale internazionale degli Stati, delle imprese e dei dirigenti coinvolti, stigmatizzando in particolare il ruolo complice delle Università, in particolare le Facoltà di Giurisprudenza, parte integrante dell’apparato di oppressione nel perpetuare il regime di apartheid e nel produrre conoscenze, tecnologie e narrazioni funzionali all’occupazione israeliana. Così si legge al paragrafo 82 del Rapporto: «In Israele, le università […] contribuiscono all’impalcatura ideologica dell’apartheid, coltivando narrazioni allineate con lo Stato, cancellando la storia palestinese e giustificando le pratiche dell’occupazione. Parallelamente, i dipartimenti di scienza e tecnologia fungono da centri di ricerca e sviluppo per le collaborazioni tra l’esercito israeliano e i contraenti del settore bellico, tra cui Elbit Systems, Israel Aerospace Industries (Iai), Ibm e Lockheed Martin, contribuendo così alla produzione di strumenti per la sorveglianza, il controllo delle folle, la guerra urbana, il riconoscimento facciale e le uccisioni mirate, strumenti che vengono di fatto testati sui palestinesi».
Il paragrafo 84 riferisce che il programma Horizon Europe della Commissione europea facilita attivamente la collaborazione della Ricerca con istituzioni israeliane, incluse quelle coinvolte in pratiche di apartheid e genocidio, erogando molti soldi a entità israeliane incluso il Ministero della Difesa. Nel paragrafo 85 si afferma che «L’Università di Edimburgo detiene quasi 25,5 milioni di sterline (31,72 milioni di dollari), pari al 2,5% del suo patrimonio, in quattro colossi tecnologici — Alphabet, Amazon, Microsoft e Ibm — centrali nell’apparato di sorveglianza israeliano e nella distruzione in corso a Gaza […]. L’università collabora inoltre con aziende coinvolte nelle operazioni militari israeliane, tra cui l’italiana Leonardo S.p.a.». Il Rapporto della coraggiosa giurista dal curriculum esemplare non menziona soltanto le più grandi aziende tecnologiche globali impegnate nel settore bellico, ma anche compagnie petrolifere come Chevron e BP; Volvo, Hyundai, Caterpillar e altre aziende che gestiscono macchinari specificamente progettati per il trasporto, la demolizione e la costruzione nelle aree occupate; Booking.com e Airbnb, che affittano case nei territori occupati, trasportatori, banche, aziende agroalimentari e altri. Tutto questo non è che la punta dell’iceberg di una mole spaventosa di profitti delle multinazionali realizzati sulla pelle della popolazione palestinese.
Le sanzioni decise dagli Stati Uniti nei confronti di Albanese, peraltro non ancora specificate nel dettaglio, si inseriscono all’interno dell’opera di indebolimento delle istituzioni dell’ordine internazionale, in particolare la Corte penale internazionale e la Corte di Giustizia internazionale e nel tentativo di instaurazione di un ordine globale non più fondato sul diritto ma sulla forza. Albanese è accusata di antisemitismo nei confronti di funzionari israeliani, supporto al terrorismo di Hamas e tentativo di influenzare la Corte penale internazionale per ottenere sanzioni contro Israele.
A difesa di Francesca Albanese, ingiustamente accusata dalla Missione degli Stati Uniti presso l’Onu, che ne ha proposto anche l’allontanamento e la sostituzione, si sono schierati il Centro di Ateneo per i diritti umani “Antonio Papisca” di Padova e la Fondazione PerugiAssisi per la pace che hanno espresso la loro solidarietà alla Relatrice Onu, ricordando che l’attacco alla sua persona fa parte della più ampia opera di smantellamento della credibilità e della centralità dell’Onu e dell’intera architettura multilaterale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Inoltre chi attacca Francesca Albanese «colpisce tutte le vittime e i sopravvissuti alle violazioni dei diritti umani e ai crimini di guerra e contro l’umanità che lo Stato di Israele sta compiendo a Gaza e nei Territori Palestinesi Occupati».
Intanto il 13 luglio in Via della Lungaretta, a Trastevere, è comparso un Murale provocatorio, in risposta alla candidatura di Trump per il Nobel per la pace da parte di Netanyahu, dello Street artist romano Harry Greb, che raffigura la giurista mentre mostra il riconoscimento dell’Accademia norvegese.
Su iniziativa di Tlon (Andrea Colamedici e Maura Gancitano), è stata scritta una lettera aperta in difesa della coraggiosa Relatrice, sottoscritta da decine di personaggi del mondo della cultura italiana. La lettera si rivolge anche alle massime cariche dello Stato chiedendo di «difendere una cittadina italiana sanzionata per aver svolto il proprio mandato delle Nazioni unite», e invita il Parlamento a «esprimersi con una mozione unitaria per la protezione diplomatica della Relatrice». Tre sono le proposte di candidatura di Albanese all’importante riconoscimento svedese che, se sommate, avrebbero già raggiunto più di 120 mila firme. Inoltre è stata presentata alla giunta di Roma una mozione che chiede la protezione diplomatica per Albanese e la sua candidatura al Nobel.
Il 15 luglio scorso i ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno rinviato l’approvazione della proposta della Commissione che prevedeva l’approvazione di sanzioni nei confronti di Israele accusandolo di avere violato l’articolo 2 dell’Accordo Ue dell’associazione con Israele, accordo entrato in vigore nel 2000 per facilitare il dialogo politico e gli scambi commerciali. L’articolo 2 prevede il rispetto dei diritti umani che secondo la Commissione sarebbero stati violati con la guerra di Gaza e l’occupazione dei territori della Cisgiordania. Gli unici Paesi favorevoli erano Spagna, Irlanda e Slovenia, di fatto una minoranza. Italia, Germania e Repubblica Ceca sono rimasti in prima linea nella volontà di non punire in alcun modo Israele, mentre gli altri Paesi erano divisi sui tipi di sanzioni da applicare. Gli Stati membri avrebbero potuto approvare anche solo alcune delle misure presentate dalla Commissaria Kaja Kallas, che andavano dalla sospensione totale dell’accordo di associazione o solo della sua parte commerciale, all’embargo dei prodotti provenienti dalle colonie in Cisgiordania all’esclusione di Israele da alcuni programmi europei come l’Erasmus per gli studenti o Horizon per la ricerca. Più di 200 Ong avevano sollecitato l’approvazione di queste sanzioni, come pure molte persone appartenenti alla diplomazia.
Intanto a Bogotà, in Colombia, si sono riuniti, sotto la Presidenza del socialista Petro, 32 Paesi, che rappresentano il Gruppo dell’Aja, costituitosi il 31 gennaio 2025 per difendere il diritto internazionale e per sostenere il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione. Era presente anche Francesca Albanese, che ha definito questo incontro come «il più importante sviluppo politico degli ultimi venti mesi», che giunge in un'”ora esistenziale” sia per il popolo palestinese che per quello israeliano. Il Gruppo dell’Aja potrebbe diventare «un nuovo centro morale nella politica mondiale».
Questa Conferenza avrebbe potuto essere organizzata dall’Ue in base a quanto proclamano i suoi trattati. Lo stanno facendo altri, mostrando una capacità di ascolto e una volontà di impegno molto superiori a quella di un’Unione Europea che è tale solo di nome ed è lontana anni-luce dai principi e valori che sono stati alla base della sua creazione. Inoltre né il Governo italiano né il Presidente della Repubblica (che per l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin non ha esitato a paragonare il Presidente della Federazione Russa a Hitler e a proposito di quello che sta facendo Netanyahu a Gaza e altrove tace) si sono espressi sui provvedimenti statunitensi, che, è bene ricordarlo, sono in aperta violazione dei privilegi e delle immunità Onu, nei confronti di Albanese, e non hanno manifestato solidarietà nei suoi confronti. Uno Stato che ha una delle migliori Costituzioni del mondo dovrebbe essere fiero di una giurista di tale coraggio e spessore dimostrati «nel porre fine all’impunità, promuovere lo stato di diritto, far rispettare il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto penale internazionale». A lei va tutta la nostra stima e solidarietà e chi scrive questo articolo la proporrebbe tra le candidate e i candidati alla Presidenza della Repubblica.
Per saperne di più: https://www.fanpage.it/innovazione/tecnologia/il-governo-israeliano-sta-comprando-annunci-su-google-per-screditare-francesca-albanese-lindagine-di-fanpage-it/
https://www.rainews.it/video/2025/07/la-relatrice-onu-francesca-albanese-contro-di-me-sanzioni-perche-ho-svelato-leconomia-del-genocidio-a-gaza-video-d7870c6c-ff64-4950-8e9f-9e10e19caf28.html
https://ilmanifesto.it/gruppo-dellaia-a-bogota-pressioni-su-israele
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

Grazie Sara, articolo preciso e chiaro, sappiamo da che parte è la verità e la giustizia; a far finta di non saperlo sono le alte cariche del nostro stato! Scusate ma “stato” l’ho scritto di proposito con la lettera minuscola, per evidenziare la pochezza di questo governo e presidente. Io sto con Francesca Albanese!
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Una gigante fra miserabili
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