La cultura della Corda. Tecniche di annodatura e infilatura. Parte seconda

Ancora ricordo l’impressione che mi fece quel quadretto nel tinello di mia nonna materna. La famiglia di mia madre era di antica nobiltà che nei secoli aveva fatto e disfatto parecchi patrimoni. Mia nonna era tra quelli che li disfecero nel tempo record di dieci anni per la sua malaugurata tendenza ad andare dagli strozzini. Ella, infatti, vivendo di rendita, aveva bisogno di soldi liquidi per pagare bollette, cibo, vestiti e donne di servizio e, per averne sull’unghia, vendeva una villa o un podere andando appunto dai cravattari. Sia come sia il patrimonio ereditato sparì in una decina d’anni, poi vennero la guerra e il passaggio della Linea Gotica.

Il passaggio del fronte, nel caso di Rimini, fu particolarmente brutale per via dei 388 bombardamenti aereonavali (uno stillicidio costante di raid — quasi giornalieri — che durò per 11 interminabili mesi), per gli scontri terrestri tra tedeschi e angloamericani e infine perché i comandi alleati diedero la città per tre giorni in sacco alle truppe vittoriose. Alla fine del conflitto la percentuale di distruzione del patrimonio edilizio e infrastrutturale della città risultò superiore all’80%, più alto di quello della città di Dresda, che rappresenta, insieme a Coventry in Inghilterra, il simbolo della distruzione che arriva dal cielo. Della casa di famiglia si salvò solo un’ala e con essa qualche oggetto dell’antico splendore. Tra questi oggetti uno mi colpì particolarmente: era un dipinto/ricamo eseguito nella prima metà del XIX secolo dalla contessa Luisa Lettimi, la cui figlia aveva innalzato la bandiera italiana sull’Arco di Augusto a Rimini. Il quadro raffigurava l’Italia turrita, ma la cosa straordinaria era che lo sfondo era ricamato non con filo ma con capelli della ricamatrice secondo le tecniche delle spille “Memento mori” dell’epoca vittoriana. Purtroppo pare che il suddetto quadretto sia scomparso.  

Spilla da lutto “Memento mori” dell’epoca vittoriana con ricami di capelli di vari colori

L’idea di utilizzare i capelli come filo o per fare corde può sembrarci bizzarra, ma tutte sappiamo quanto possano essere forti i capelli, specie se intrecciati.  
I capelli hanno, infatti, una serie di proprietà che li rendono perfetti per essere utilizzati nella produzione di filati: hanno un’elevata resistenza alla trazione, sono termicamente isolanti, flessibili, leggeri e assorbono l’olio. Un singolo capello umano può sostenere fino a 100 grammi di peso, il che significa che l’intera capigliatura potrebbe potenzialmente reggere ben 12 tonnellate. Questo varia, ovviamente, a seconda dello stato di salute della persona da cui la chioma proviene. Sembra anche esserci una variazione etnica quando si tratta della resistenza dei capelli: a quanto pare, i capelli asiatici sono i più resistenti. Questo per le caratteristiche fisiche in senso stretto, ma i capelli umani sono “molto di più” rispetto al pelo o al vello animale. 

Campioni di capelli umani da usare per fare cordami “ecologici”

I capelli sono sempre stati una parte del corpo umano rivestita di grande importanza in tutte le culture. Il significato simbolico dei capelli, in quanto caratteristica distintiva dell’aspetto umano, ha svolto un ruolo significativo nell’espressione dell’identità, dello status sociale e delle credenze in tutte le culture e in tutte le epoche. Il taglio dei capelli spesso ha un ruolo nei riti di passaggio anche perché i capelli come le ossa durano “in eterno” ovvero resistono alla decomposizione per millenni. I capelli lunghi e lasciati crescere sono simbolo di forza spirituale (e fisica) negli uomini, di seduzione e sessualità sfrenata nelle donne.  
I capelli femminili possono essere considerati una metafora dei peli pubici delle donne, in quanto condividono caratteristiche simili come morbidezza e finezza. Rispetto a quelli maschili, i peli pubici femminili tendono a essere più sottili, meno ruvidi e talvolta di colore più chiaro, con sfumature che possono variare dal biondo al rosso — differenze attribuibili principalmente all’influenza degli ormoni. 
Nella cultura Occidentale essi sono legati strettamente alle metafore sessuali e ai tabù a esse connessi, cosa che ha reso i capelli sempre più sacri e/o intoccabili. I capelli, tuttavia, per il fatto di poter crescere moltissimo, sono un mezzo eccellente per fare corde e cordami, come le liane in ambiente equatoriale del resto; due materiali che sono già utilizzabili come corda di per sé. Ovviamente una corda fatta con capelli femminili aveva e ha un valore cerimoniale molto maggiore di una corda fatta con fibre vegetali o altri materiali. Nella cultura giapponese, più che in Occidente, i capelli hanno conservato più a lungo la funzione utilitaria tanto che i capelli femminili venivano intrecciati per farne robustissime corde da utilizzare nei templi shintoisti. 

Il complesso originale del tempio Higashi Hongan-ji è stato distrutto più volte da incendi. Il tempio principale a Kyoto è stato ricostruito l’ultima volta nel 1895 e ora fa parte di una delle strutture in legno più grandi al mondo. Per costruire le due sale principali del tempio è stato necessario sollevare e spostare enormi travi di legno. Tuttavia, all’epoca era quasi impossibile trovare corde abbastanza resistenti per questo lavoro. Con uno straordinario atto di devozione, le donne seguaci del tempio si riunirono per dare una mano. Si tagliarono i lunghi capelli e li intrecciarono in corde spesse e resistenti, in grado di sollevare le pesanti travi.
Corda fatta con capelli umani, Kyoto 1895

Le corde possono essere ricavate da fonti animali, tra cui peli, setole e capelli umani, pelle, tendini o intestini, nonché da piante. L’uso intensivo di materie prime di origine animale era comune, ad esempio, tra le popolazioni delle pianure dell’Africa centro-meridionale, come i San, e nelle zone artiche, dove la disponibilità di piante che producono fibre adatte è minima. In questi casi, tuttavia, potevano venir utilizzate fibre vegetali ottenute per via commerciale da gruppi umani limitrofi. L’utilizzo di fibre ottenute sia da fonti animali che vegetali facilitò la nascita di due tecnologie parallele: una fu la creazione di manufatti compositi, ovvero fatti con diversi materiali, ad esempio l’invenzione di un’ascia costituita da una pietra scheggiata legata a un bastone mediante una corda, una tecnologia che spronò anche l’invenzione della colla. Secondariamente, lo sviluppo di tecnologie quali l’intreccio e la tessitura permise di realizzare oggetti interamente a partire da fili, creando una serie di manufatti quali borse e reti che a loro volta rivoluzionarono la raccolta, la pesca e probabilmente la caccia. 

Bilum o borsa fatta di corda intrecciata, Papua Nuova Guinea 

È stata l’archeologa inglese Karen Hardy nel suo articolo Prehistoric string theory. How twisted fibers helped to shape the world (2008) a proporre prove indirette e parallelismi tra i dati archeologici e quelli etnografici come evidenze che avvalorassero la Teoria della Corda Preistorica (Prehistoric String Theory). 
È corretto tuttavia sottolineare che non è la mera presenza della produzione di una ‘corda’ il dato significativo come Tim Ingold mise in evidenza con l’esempio dei sistemi di fissaggio utilizzati dagli uccelli tessitori (Ploceidae S.) (Ingold, T. 2000. “Of string bags and birds’ nests”, in T. Ingold (ed.) The Perception of the Environment:349-61. London: Routledge.).  

L’uccello tessitore prepara il suo nido 
Nidi di uccelli tessitori (Ploceus philippinus) finiti

Possiamo dire pertanto che le tecniche di annodatura e infilatura non sono interdipendenti. È possibile annodare le fibre senza torcerle ed è possibile torcere i fili senza annodarli. Pertanto, le due tecniche possono essersi evolute indipendentemente sia nel tempo che nello spazio. 
Fu l’invenzione della tecnica dell’annodatura/intreccio con le corde che segnò il punto di svolta nella tecnologia umana preistorica.  
Secondo Turner (Turner, J. 1996. “On theories of knots”. In J.C. Turner & P. van de Griend (eds) History and Science of Knots. Singapore: World Scientific) possiamo teorizzare l’evoluzione di questa tecnica in base ai tipi di nodi fondamentali che egli così classifica: il nodo di fissaggio (per fissare una corda a un oggetto), il nodo di giunzione (per unire due corde in linea) e il nodo vero e proprio (per intrecciare una corda in modo da formare un pomello o un fermo). 
Come ho detto nel precedente articolo, uno dei problemi del cordame e degli oggetti a esso collegati è la loro mancanza diretta nei siti archeologici, un fattore che ha portato negli studi a non considerarli affatto. Tuttavia esistono prove indirette della presenza di corde e cordami che sono state trascurate da generazioni di archeologi/ghe. 
Uno dei punti più controversi al momento è di datare a quando si può far risalire l’inizio della Tecnica della Corda. Ricordo qui che gli ominidi iniziarono a utilizzare strumenti rudimentali in pietra circa 3,3 milioni di anni fa segnando l’inizio dell’era paleolitica. Il genere Homo si evolse dall’Australopithecus di cui il fossile più noto è l’Australopithecus afarensins AL 288-1 nota come Lucy. 

Ricostruzione dello scheletro dell’Australopithecus afarensis AL 288-1, più noto come “Lucy” 

La prima testimonianza del genere Homo è il reperto LD 350-1 risalente a 2,8 milioni di anni fa e rinvenuto in Etiopia; i primi utensili in pietra della cultura Oldowan scoperti a Ledi-Geraru e risalenti a 2,6 milioni di anni fa, potrebbero essere stati fabbricati dalla stessa specie dell’LD 350-1, un individuo intermedio tra gli australopiteci e l’Homo. L’invenzione degli affilati strumenti Oldowan potrebbe essere legata a cambiamenti biologici unici nell’Homo.  

Mandibola del primo esempio del genere Homo LD 350-1

La prima specie denominata l’Homo habilis si evolse 2,3 milioni di anni fa. La differenza più importante tra l’Homo habilis e l’Australopithecus era un aumento del 50% delle dimensioni del cervello.  

Teschio di Homo habilis 

L’Homo erectus si è evoluto circa 2 milioni di anni fa ed è stata la prima specie di ominide a lasciare l’Africa e a diffondersi in Eurasia. Forse già 1,5 milioni di anni fa, ma sicuramente 250.000 anni fa, gli ominidi iniziarono a usare il fuoco per riscaldarsi e cucinare.  

Teschio di Homo erectus e ricostruzione forense 

A partire da circa 500.000 anni fa, il genere Homo si diversificò in nuove specie di esseri umani arcaici, come i Neanderthal in Europa, i Denisoviani in Siberia e l’H. floresiensis in Indonesia. Nello specifico l’Homo sapiens (l’essere umano anatomicamente moderno) è comparso circa 300.000-200.000 anni fa in Africa. L’H. sapiens si diffuse dall’Africa in diverse ondate, forse già 250.000 anni fa e sicuramente entro 130.000 anni fa, con la cosiddetta Dispersione meridionale, iniziata circa 70.000-50.000 anni fa che portò alla colonizzazione definitiva dell’Eurasia e dell’Oceania 50.000 anni fa. Nella migrazione l’H. sapiens incontrò e si incrociò con esseri umani arcaici in Africa e in Eurasia. 

Teschi di Homo sapiens (a sx) e neanderthal (a dx)

Tornando alla Rivoluzione della Corda, anche se non abbiamo ritrovamenti specifici a causa della deperibilità dei materiali, Warner e Bednarik (1996) sostengono che lo sviluppo dell’arte di annodare abbia avuto inizio tra 2,5 milioni e 250.000 anni fa anche se, come abbiamo visto con gli uccelli tessitori, la produzione di una corda non significa necessariamente la presenza di una tecnica di annodatura o/e intreccio.  
Partendo dal presupposto che pendenti e perline devono essere legati o cuciti in qualche modo, Karen Hardy propone la presenza di questi manufatti come la prima prova indiretta dell’esistenza di filo o cordicelle e classifica come i reperti più antichi gli oggetti perforati (una punta ossea e un incisivo di lupo) rinvenuti a Repolusthöhle in Austria e datati a circa 300.000 anni fa.  

Il dente di lupo perforato di Repolusthöhle

Ulteriori prove indirette dell’uso di corda e filo sono delle perle perforate fatte di gusci di uova di struzzo vecchie di 200.000 anni, conchiglie perforate artificialmente rinvenute nel sito sudafricano di Blombos e datate tra 75.000 e 80.000 anni fa, il cui modello di usura da utilizzo «è coerente con l’attrito causato dallo sfregamento contro fili, indumenti o altre perline» (Henshilwood, C., et al. 2004. “Middle Stone Age shell beads from South Africa”. Science 304: 404.), perline di conchiglia presenti in gran numero nel sito della grotta di Üçağızlı in Turchia (datato a 40.000 anni fa) e in quello di Ksar’Akil in Libano, mentre perline di guscio di struzzo sono state rinvenute in numerosi siti Msa dell’Africa orientale risalenti a 40.000 anni fa. 

Perline di conchiglia Nassarius kraussianus,rinvenute nei livelli risalenti a 75.000 anni fa nella grotta di Blombos; a) apertura realizzata con uno strumento in osso; b) sfaccettature appiattite prodotte dall’usura, probabilmente dovute allo sfregamento contro altre perline, fili o budella; c) tracce di ocra all’interno della conchiglia, probabilmente trasferite dal corpo di chi le indossava; d) vista esterna delle perline di conchiglia (Foto: Chris Henshilwood & Francesco d’Errico, © Chris Henshilwood) 
Conchiglie perforate dal sito di Üçağızlı in Turchia 
Conchiglie perforate del sito di Ksar’Akil in Libano

In copertina: prove di resistenza di due borse a rete fatte con capelli umani.

Continua. 

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Articolo di Flavia Busatta

Laurea in Chimica. Tra le fondatrici di Lotta femminista (1971), partecipa alla Second World Conference to Combat Racism and Racial Discrimination (UN Ginevra 1983) e alla International NGO Conference for Action to Combat Racism and Racial Discrimination in the Second UN Decade, (UN Ginevra 1988). Collabora alla mostra Da Montezuma a Massimiliano. Autrice di vari saggi, edita HAKO, Antrocom J.of A.

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