Esther Miriam Zimmer Lederberg. Una vita nell’ombra 

Esther Miriam Zimmer Lederberg è stata una microbiologa americana e una pioniera della genetica batterica. Eppure, nonostante le sue scoperte fondamentali nel campo della microbiologia, non ha mai ottenuto una posizione universitaria a tempo indeterminato. I libri di testo dedicano molto spazio alle sue scoperte, ma il più delle volte ignorano il suo contributo e le attribuiscono esclusivamente al marito Joshua. 

Nata a New York il 18 dicembre 1922, Esther era la maggiore dei due figli di David Zimmer, un tipografo di origine polacca, e di Pauline Geller. Trascorse la sua infanzia nel Bronx durante gli anni della Grande Depressione: la sua era una famiglia di modeste condizioni. 
Nel Bronx, frequentò la Evander child’s High School, dove si diplomò nel 1938 con ottimi voti, che le permisero di ottenere una borsa di studio per l’Hunter College, un’università di New York. Ben presto si appassionò alla biochimica e decise di intraprendere studi scientifici, nonostante il fatto che i suoi insegnanti cercassero di convincerla a studiare francese o letteratura, perché aveva una grande propensione per le lingue e loro erano convinti che, essendo una donna, avrebbe trovato enormi difficoltà a percorre una carriera scientifica. 

Dopo la laurea triennale, nel 1942 Esther ottenne una nuova borsa di studio che le permise di iscriversi al corso di laurea magistrale in genetica alla Stanford University. La sola borsa di studio non era però sufficiente per coprire tutte le spese e lei doveva lavorare per integrarla. Molti anni dopo racconterà di essersi ridotta a nutrirsi delle zampe delle rane avanzate dalle dissezioni del laboratorio. 
A Stanford, poco prima di laurearsi, Esther sposò Joshua Lederberg, anche lui un giovane studente, e dopo aver completato il suo master, si trasferì all’Università del Wisconsin per raggiungere il marito, che lì aveva ottenuto una docenza. Nel 1950 conseguì il dottorato con una ricerca sul processo di mutazione genetica nella specie batterica Escherichia coli
Poco dopo, studiando le colture di Escherichia coli, fece la sua prima scoperta importante: la presenza del fago lambda su quei microrganismi. Un fago è un tipo di virus che infetta i batteri. A quel tempo si credeva che tutti i virus fossero esclusivamente “litici”, cioè dopo essere penetrati nel nucleo della cellula, si replicavano fino a farla scoppiare, uccidendola. Esther si accorse che il fago lambda si comportava diversamente: era “lisogeno”, cioè la cellula infettata dal virus si replica normalmente, dando origine a nuove cellule che contengono il genoma del virus nel loro nucleo. Solo in particolari condizioni il virus comincia a replicarsi dentro il nucleo, uccidendo la cellula. 

Si tratta del meccanismo, oggi fondamentale nei testi di biologia, denominato “ciclo lisogeno”. Questa scoperta fu annunciata in un abstract pubblicato nel 1951, del quale lei era l’unica autrice, e poi descritta più ampiamente in un articolo del ‘53, firmato da entrambi i coniugi Lederberg. 
Continuando in questa ricerca, Esther fece la sua seconda importante scoperta: la presenza nella cellula di un plasmide, che fu chiamato “fattore di fertilità F”, che agiva da mediatore nel processo. Questo le permise di comprendere come funzionava il meccanismo in base al quale l’infezione da fago permetteva la ricombinazione genetica nel batterio ospite: durante la replicazione del virus, alcuni geni restavano agganciati al fago e inseriti poi nel nucleo di una nuova cellula batterica. Questo processo prese il nome di “trasduzione”. 
Di queste scoperte, che furono divulgate in articoli a firma di entrambi i coniugi Lederberg, Esther aveva l’abitudine di discutere all’interno del gruppo di ricerca e questo ha fatto sì che restassero testimonianze del suo contributo fondamentale. 
A lei si deve anche la tecnica della replica plating, o “piastratura delle repliche”, che permette di replicare delle capsule Petri su cui si sono fatte sviluppare colonie di batteri, facendo in modo che le colonie ottenute abbiano tutte la stessa disposizione spaziale sulle piastre, che così risultano tutte identiche tra loro. Il metodo consiste nel premere leggermente un panno di velluto sterile sulla piastra, una specie di “timbro” che permette di ottenerne una copia. Studiando le colonie di batteri così ottenute, Esther e Joshua Lederberg dimostrarono definitivamente che le mutazioni genetiche sono il risultato di un processo casuale, e possono qualche volta, se vantaggiose da un punto di vista adattativo, propagarsi. In precedenza era ancora vivo il dibattito con chi riteneva che l’evoluzione fosse il risultato di un processo di risposta a una specifica pressione ambientale. 
La biografa Rebecca Ferrell ritiene che il metodo inventato da Esther Lederberg sia stato probabilmente ispirato dall’uso della pressa che aveva osservato da bambina nella tipografia di suo padre. 

Esther Lederberg, Gunther Stent, Sydney Brenner, Joshua Lederberg, 1965

Per tutti gli anni ‘50, i due coniugi pubblicarono articoli in collaborazione e separatamente, mentre insieme facevano scoperte sui batteri che avrebbero rivoluzionato la biochimica. 
Tutti coloro che lavorarono con i Lederberg concordano nell’affermare che Joshua era un brillante teorico e divenne famoso per le sue grandi idee, ma Esther era una grande sperimentatrice, capace di sviluppare metodi originali che furono fondamentali per verificare sperimentalmente le ipotesi che via via elaboravano insieme. Insomma si trattava di un lavoro strettamente condiviso e collaborativo, svolto in grande sinergia. 
«Sono sicuro che Esther abbia tratto beneficio dalla presenza di Josh», afferma Millard Susman, professore emerito di genetica presso l’Università del Wisconsin-Madison, arrivato poco dopo la partenza dei Lederberg. «Ma ovviamente anche Josh ha tratto beneficio dalla presenza di Esther».  

Nel 1958, a soli 33 anni, Joshua vinse il premio Nobel, proprio per le sue scoperte di quel decennio — le stesse scoperte alle quali aveva sempre lavorato con Esther — riguardanti la ricombinazione genetica e l’organizzazione del materiale genetico dei batteri. Due anni prima, lui ed Esther avevano vinto insieme il Pasteur Award, per i loro “contributi eccezionali” alla scienza. Quando nel 1953 Joshua aveva vinto, da solo, un altro premio, l’Eli Lilly, lui stesso aveva dichiarato a un giornalista che anche Esther lo avrebbe dovuto ricevere. 
Anni dopo, in un necrologio dopo la morte di Esther, il noto microbiologo e professore di Stanford Stanley Falkow ha affermato che i «fondamentali contributi personali di Esther nel laboratorio di Joshua hanno sicuramente portato, in parte, al suo premio Nobel».

La consegna del Nobel a Joshua, nel 1958

Nella cerimonia per la consegna del Nobel, Esther fu invitata solo come “moglie”. Lui, nel suo discorso non fece alcun cenno al suo contributo. Si limitò a dire di avere «apprezzato la compagnia di molti colleghi, soprattutto mia moglie». 
Il Premio Nobel diede a Joshua un enorme prestigio. Subito dopo ebbe l’incarico di presidente del Dipartimento di genetica alla Stanford University e anche Esther ottenne per la prima volta una cattedra di ricerca, ma si trattava di un incarico a tempo determinato. Negli oltre 20 anni in cui restò in quella Università che non le fu mai concesso un impiego stabile. 
Nel 1976, divenne direttrice del centro di riferimento per i plasmidi e ricoprì questo ruolo fino alla pensione, nel 1985, ma continuò a lavorarci anche dopo il pensionamento. 
Nel 1966 divorziò da Joshua e fondò un’associazione per donne divorziate a Stanford. Era una grande esperta di musica rinascimentale e barocca e appassionata della danza. Fondò la Mid-Peninsula recorder orchestra. Fu proprio il comune interesse per la musica che le fece conoscere un ingegnere, Matthew Simon, di 19 anni più giovane, che sposò nel 1993, quando lei aveva 70 anni. 

Esther col suo secondo marito Matthew Simon

Dopo la sua morte, avvenuta nel 2006, suo marito Matthew ha dedicato la sua vita a fare in modo che lei non fosse dimenticata, realizzando e curando un sito web commemorativo per «rendere disponibili alla comunità scientifica e al pubblico alcuni dei risultati della scienziata Esther M. Lederberg». 

Nicole Perna, professoressa di genetica dell’Università del Wisconsin dice di lei: «L’eredità scientifica di Esther è enorme. La sua scoperta del batteriofago lambda ha preparato il terreno per così tanto lavoro a valle che si potrebbe insegnare un intero corso di genetica molecolare basato sulla ricerca condotta usandolo… E lambda è solo una delle tante scoperte rivoluzionarie di Esther». 
Esther Miriam Lederberg dovette lottare per tutta la sua vita di scienziata contro la discriminazione di genere. Si potrebbe concludere che forse i suoi insegnanti dell’Hunter College avevano avuto ragione a sconsigliarle di intraprendere questa strada, ma in realtà non è così, perché lei non si è mai arresa e, anche se non ha mai avuto i riconoscimenti che avrebbe meritato, è comunque riuscita a fare l’unica cosa che desiderava davvero: dedicare la sua vita alla ricerca scientifica. 

In copertina: Esther nel suo laboratorio. 

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Articolo di Maria Grazia Vitale

Laureata in fisica, ha insegnato per oltre trent’anni nelle scuole superiori. Dal 2015 è dirigente scolastica. Dal 2008 è iscritta all’Associazione per l’Insegnamento della Fisica (AIF) e componente del gruppo di Storia della Fisica. Particolarmente interessata alla promozione della cultura scientifica, ritiene importanti le metodologie della didattica laboratoriale e del “problem solving” nell’insegnamento della fisica.

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