Carissime lettrici e carissimi lettori,
«…Non si lavora Agosto, nelle stanche tue lunghe oziose ore. Mai come adesso è bello inebriarsi di vino e di calore, di vino e di calore». Celebra così Francesco Guccini nella sua famosissima Canzone dei dodici mesi, quello che inizia oggi, ottavo dell’anno, designato, almeno da noi, terra quasi bruciata dalla forza del sole cocente (che il cantautore addice soprattutto a luglio, come di tradizione) all’ozio.
È chiamato anche popolarmente “capo d’inverno”, perché in situazioni climatiche in realtà più appartenenti al passato, con agosto dovrebbero iniziare i primi segnali di fine della stagione più calda e afosa (la famosa canicola finisce il 26) e tutto ciò che segue nel ricordo di “mollezze” ataviche, come spesso ci hanno ricordato i poeti
In effetti, abbiamo appena vissuto un tracollo di clima proprio in quella è stata la coda di questo ultimo mese molto estivo, che si presenta, ricordando sempre Guccini: «Con giorni lunghi di colori chiari ecco Luglio, il leone. Riposa, bevi e il mondo attorno appare come in una visione, come in una visione». E qui, nell’ultima luna del cielo del cancro, ci sono nata io! La pioggia e il vento ci hanno rinfrescate e rinfrescati, muovendo alberi e mare, ma meteorologicamente non è detta l’ultima parola.
Come dicevamo, capitando proprio i primi giorni del mese (siamo al 2), facciamo il punto sugli avvenimenti belli (pochi) e brutti (tanti) capitati sotto il cielo di agosto. Intanto, da non dimenticare domani, prima domenica di agosto è la festa di tutti gli amici e le amiche e noi ci uniamo a festeggiare un sentimento così importante (e necessario) da provare. In una notte agostana si celebrano i desideri. Il 10 agosto, la notte di San Lorenzo, ogni stella cadente offre a chi la vede la possibilità di un sogno. E comunque è un’esperienza celeste di quelle suggerite dalla professoressa Margherita Hack concreta studiosa di stelle e di cieli.
Purtroppo, nei ricordi del tempo, questo mese è iniziato male. Nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974 muoiono 12 persone in un attentato fatto all’Italicus, un treno che stava transitando a San Benedetto Val Di Sambro, nel territorio di Bologna, il cui fortunato anticipo sui tempi di marcia ha evitato una strage ancora più dolorosa. L’orologio fisso sulle 10,30 al binario uno della stazione di Bologna segna una ferita ben più grande. Un giorno prima (il 2 agosto) e sei anni dopo (era il 1980) furono 85 i morti e centinaia i feriti tra chi era nella sala d’attesa, verso ritorni o vacanze estive, uccisi da una bomba, forse non ancora chiarita abbastanza.
Ancora ad agosto appena iniziato, il 4 agosto di tanti anni addietro (1956) il Belgio ha assistito al grande disastro della miniera di Marcinelle, un incidente che colpì molti immigrati italiani, con 262 vittime. E l’8 agosto è il giorno dedicato proprio all’immigrazione italiana nel mondo e al sacrificio del loro lavoro.
Poi sempre ad agosto il ricordo della Primavera di Praga. Il dispiacere dei carri armati sovietici che imponevano il silenzio a un paese coraggioso che ha eletto un poeta al Castello, sede del governo e in “odore” del genio di Josef Kafka. Mentre ancora brucia metaforicamente, gridando protesta, il corpo di Jan Palak davanti al Museo, nella piazza grande di Praga, in fondo a via Nazionale. Nel 1989 Vaclav Havel, così amato dall’indimenticabile per me Angelo Maria Ripellino, divenne presidente e salì al Castello di Praga. «Dopo la Primavera di Praga Havel cominciò una intensa attività politica, che lo portò a fondare Charta 77. Più volte fu sottoposto dalle autorità sovietiche a provvedimenti restrittivi. La sua dissidenza gli costò cinque anni di carcere. Leader della Rivoluzione di Velluto nel dicembre 1989, quale esponente del Forum civico (coalizione dei gruppi dissidenti), fu eletto presidente della Cecoslovacchia e dopo le elezioni del giugno 1990, fu il primo Capo di Stato non comunista dal 1948. Nel 1992, dopo la dichiarazione di indipendenza della Slovacchia rassegnò le dimissioni. Nel gennaio del 1993 fu eletto Presidente della Repubblica ceca. Nonostante le precarie condizioni di salute fu confermato nella carica anche nelle consultazioni del 1998. Cessati gli incarichi in politica nazionale, dal 2003 rivolse il proprio impegno nelle istituzioni internazionali» (Treccani).
In questo mese un anniversario importante che dovrebbe darci lezioni di non ripetere e di non arrivare a tali punti di non ritorno. Tra il 6 e il 9 agosto 1945, settantacinque anni fa, due bombe atomiche portarono distruzione e morte su due città giapponesi: Hiroshima (che fu la prima ad essere bombardata) e Nagasaki (tre giorni dopo). A sganciare le atomiche sui cieli del Giappone furono gli aerei dell’aviazione militare statunitense. La prima bomba, terribilmente nominata Little Boy, esplose nelle prime ore del mattino, alle 8,15. Insieme all’altra, Fat Man, buttata su Nagasaki, fece contare all’umanità, che non sempre (o mai?) ha memoria, tra le 150.000 e 220.000 vittime, tantissime letteralmente evaporate (gravissime ustioni a chi si trovava più lontano) a causa dell’altissimo calore emanato dall’ordigno. Purtroppo si è sempre pensato che un atto come quello che è stato fatto in Giappone potesse essere l’unica strada per fermare la guerra. Un esempio: Padre John A. Siemes, professore di filosofia moderna all’Università Cattolica di Tokyo e testimone dell’attacco atomico su Hiroshima, scrisse: «Abbiamo discusso tra noi l’etica dell’uso della bomba. Alcuni la considerano nella stessa categoria dei gas venefici ed erano contrari all’uso sulla popolazione civile. Altri erano dell’opinione che nella guerra totale, come era portata avanti dal Giappone, non c’era differenza tra civili e soldati, e che la bomba stessa fu una forza effettiva che tendeva a porre fine allo spargimento di sangue, avvertendo il Giappone di arrendersi ed evitando quindi la distruzione totale. Mi sembra logico che colui che sostiene la guerra totale in principio non possa lamentarsi della guerra contro i civili» (fonte Wikipedia).
Cosa ne pensano oggi i e le giapponesi, a quasi un secolo di distanza? «In un sondaggio del 2015 — cita ancora Wikipedia — , il 79% dei giapponesi ha dichiarato che i bombardamenti non potevano essere giustificati, mentre il 14% ha detto che potevano esserlo. Sebbene sia stato l’esercito giapponese ad iniziare la guerra del Pacifico, anche coloro che erano critici nei confronti dei militari non supportavano necessariamente i bombardamenti atomici. Shigeru Yoshida (politico che è anche stato ambasciatore in Italia negli anni ’30) e Jiro Shirasu, esperto di economia, erano entrambi noti per la loro opposizione alla guerra e per i contrasti con i militari durante il conflitto. Dopo la Seconda guerra mondiale, ottennero una forte popolarità tra il pubblico giapponese. Il GHQ fece pressione sulla parte giapponese affinché traducesse in pochi giorni la bozza della nuova costituzione scritta in inglese. Si dice che usarono la parola “atomico” — un tabù per i giapponesi dell’epoca — per intimidirli e accelerare il processo, dicendo in modo diretto: “Stiamo godendo del vostro sole atomico. Udendo ciò, Yoshida si infuriò, batté il piede e gridò: “Ma che diavolo è stato?!” Rispose sarcasticamente: “GHQ sta per Go Home Quickly!” — un sentimento che Jiro Shirasu condivise».
Abbiamo già scritto nel passato dell’origine del nome di questo mese che per i latini era sextilis, perché sesto nel calendario romano che iniziava a marzo. Dedicato all’imperatore Augusto come le sue feriae di Ferragosto (feriae Augusti) fu fatto di 31 giorni per compensare il mese di luglio dedicato a Giulio Cesare.
Oggi in Italia è il mese per eccellenza del non lavoro e delle ferie. Il periodo in cui le città, caotiche d’inverno, acquistano come un sonno riposante e la presenza dei supermercati stavolta ha tolto la paura a chi rimane, per lavoro o per scelta di piacere, anche nel risparmiare esose vacanze, di rischiare di restare senza il cosiddetto “pane quotidiano”. Dunque agosto in città è bello, per tanti aspetti.
La guerra, le guerre (maschiliste, ma non di tutti gli uomini) continuano. Terrò fede ancora, purtroppo, alla mia promessa poetica. Intanto la tristezza prosegue in una enorme scia di dolore e di sangue. La stampa ordinaria non ne dà notizia, ma il governo israeliano si sta sporcando di un ennesimo crimine, questa volta contro i suoi e le sue cittadine. Alcuni soldati dell’esercito si stanno rendendo conto della realtà e guardando finalmente all’orrore. Spesso non hanno scelta: disertano le file militari, ma, soprattutto tanti di loro, altre giovani vite, se ne vanno dal mondo che vedono ingiusto, si suicidano non volendo sentire e subire più questo terrore.
Ma noi vogliamo credere che trionferà l’amore un giorno e in senso universalmente laico (troppi danni compiuti nei secoli in nome di un Dio senza colpe, qualora esista per noi).
Entriamo, dunque, nel mondo della poesia. Era una ragazzina messicana di 16 anni e a lei era ancora sconosciuto l’amore. Ma Consuelo Velasquez, classe 1916, nota come Consuelita, scrisse una delle più intense canzoni del XX secolo intitolata Besame mucho. Era cresciuta in un ambiente cattolicissimo e la madre (rimasta presto vedova) tentò per lei la via del convento. Scoperta per caso da un musicista fu avviata, grazie al suo aiuto, al Conservatorio di musica. Dopo una breve parentesi statunitense ritornò in patria e si occupò di musica classica scrivendo oltre 200 opere, fu pianista e presidente dell’Uniòn de Compositores de Mexico. La sua canzone fu tradotta in 120 lingue e cantata dai Beatles, Sinatra, Presley, Placido Domingo. “Un sogno, una fantasia d’amore”, disse della sua produzione sopravvissuta a sé stessa in tutto il mondo.
E la versione di Bocelli.
Besame mucho
Besame,
besame mucho
como si fuera ésta noche
la última vez
Besame, besame mucho
que tengo miedo a perderte
perderte después
besame mucho
como si fuera ésta noche
la última vez
Besame, besame mucho
que tengo miedo a perderte
perderte después
Quiero tenerte muy cerca
mirarme en tus ojos
verte junto a mi
Piensa que tal vez mañana
yo ya estaré lejos,
muy lejos de ti
Besame,
besame mucho
como si fuera ésta noche
la última vez
Besame, besame mucho
que tengo miedo a perderte
perderte después
Besame,
besame mucho
que tengo miedo a perderte
perderte despues
Per Gaza
La poesia nella mia prigione
È nutrimento
È acqua e aria
Non c’è tempo per grandi funerali
Non c’è molto tempo: un razzo furioso sta arrivando
Ci accontenteremo di un bacio veloce sulla fronte
E un addio rapido, aspettando la nuova morte
Non c’è tempo per l’addio
Heba Abu Nada
(1991-2023)
Che sia presto pace.
Buona lettura a tutte e a tutti.
Questo numero di Vitamine vaganti si apre con Pornografia e violenza, studi sulle nuove generazioni europee, da leggere con attenzione, una riflessione accurata e documentata su come contrastare nelle scuole una crescente cultura della relazione affettiva sbilanciata. Si continua con Natura viva. Il corpo politico di una modella d’arte. Parte prima, il racconto in prima persona di uno dei ruoli più invisibili nel mondo della pittura. Impossibile non collegare questo tema a Carole A. Feuerman. La voce del corpo, che presentala prima grande retrospettiva europea a Roma delle oltre cento opere dell’artista newyorkese «che ha fatto del corpo femminile un’icona della contemporaneità, una forma assoluta, una metafora viva». Di un’altra mostra, dedicata a una fotografa ritrattista, ormai quasi dimenticata, ma che, nel periodo tra le due guerre, fu tra le più apprezzate e richieste si scrive in Ghitta Carell. Ritratti del Novecento.
Ancora di corpi femminili, ma nello sport considerato da sempre “maschile” scrive l’autrice di UEFA Femminile 2025. Sfida sul campo, sfida di genere.
Sono due le donne di Calendaria di questa settimana: Iela Mari, “narratrice senza parole”, illustratrice e scrittrice che si è dedicata alla letteratura dell’infanzia, al design e all’illustrazione innovativa degli albi illustrati e Ōtagaki Rengetsu, poeta giapponese, calligrafa, ceramista, monaca buddista dalla formazione multidisciplinare. Di Giappone si parla ancora con Il sistema degli indirizzi giapponesi, «meccanismo apparentemente criptico, che può disorientare turisti e nuovi residenti ma che nasconde in realtà una logica amministrativa profondamente coerente con l’evoluzione storica del Paese».
Sembrerà strano doverlo ricordare ma «ogni professione è aperta alle donne così come agli uomini, anzi, spesso le donne manifestano, magari in casi di emergenza, quella calma, quella risolutezza, quella capacità decisionale che le rende forti, sicure, affidabili». Lo rammenta l’autrice di Portuali e marittime, perché no? La disparità di genere nei porti italiani, un articolo che non è solo la recensione di un libro.
Si torna a parlare di geopolitica con la recensione del volume di Limes, Il rebus di Papa Leone XIV. Parte prima, in cui si analizzano due crisi: quella interna alla Chiesa Cattolica e quella degli Stati Uniti al tempo di Trump e del papa agostiniano e americano.
Per l’inizio dell’estate, in cui questi legumi si trovano freschi e pieni, suggeriamo un piatto completo e molto gustoso della cucina vegana: Piselli stufati, augurando come sempre a tutte e tutti: Buon appetito!
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
